Paul Graham: il pifferaio magico dei nerd

Come Fare Filosofia // How to Do Philosophy


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Traduzione e lettura in italiano di Federico Cimini dall’essay originale di Paul Graham "How to Do Philosophy" [Settembre 2007].

Al liceo decisi che all'università avrei studiato filosofia. Avevo diversi motivi, alcuni più onorevoli di altri. Uno dei meno onorevoli era scioccare le persone. Dove sono cresciuto, l'università era vista come una formazione per il lavoro, quindi studiare filosofia sembrava una cosa molto improduttiva. Un po' come fare dei buchi nei vestiti o mettersi una spilla nell'orecchio, che erano altre forme di impressionante inutilità che stavano diventando di moda.

Ma avevo anche dei motivi più onesti. Pensavo che studiare filosofia sarebbe stato una scorciatoia per la saggezza. Tutte le persone laureate in altre materie sarebbero finite con delle conoscenze specifiche. Io avrei imparato la vera natura delle cose.

Avevo provato a leggere qualche libro di filosofia. Non quelli recenti; non si trovavano nella biblioteca del liceo. Ma avevo provato a leggere Platone e Aristotele. Dubito che li capissi, ma sembrava che stessero parlando di qualcosa di importante. Credevo che avrei imparato cosa all'università.

L'estate prima dell'ultimo anno di liceo feci qualche corso universitario. Imparai molto nel corso di matematica, ma non in quello di filosofia. Eppure, il mio piano di studiarla rimase intatto. Era colpa mia se non avevo imparato nulla. Non avevo letto i libri assegnati con sufficiente attenzione. Avrei dato un'altra possibilità ai Principi della conoscenza umana di Berkeley all'università. Qualcosa di così ammirato e difficile da leggere doveva contenere qualche cosa di valore, se solo si riuscisse a capire cosa.

Ventisei anni dopo, ancora non capisco Berkeley. Ho una bella edizione delle sue opere complete. La leggerò mai? Sembra improbabile.

La differenza con allora è che adesso capisco perché probabilmente non valga la pena di cercare di capire Berkeley. Ora credo di capire cosa sia andato storto con la filosofia, e come lo potremmo sistemare.

Parole

Alla fine sono stato uno studente di filosofia per la maggior parte dell’ università. Non è andata come speravo. Non ho imparato nessuna verità magica per cui tutto il resto erano solo conoscenze specifiche. Ma almeno ora so perché. La filosofia non ha davvero un oggetto di studio come lo hanno la matematica, la storia o la maggior parte degli altri argomenti universitari. Non c'è un nucleo di conoscenza da padroneggiare. Al massimo si può conoscere ciò che diversi filosofi hanno detto sui vari argomenti. Pochi di loro hanno detto cose così corrette che la gente ha dimenticato chi le ha dette.

La logica formale è un oggetto di studio. Ho seguito diversi corsi di logica. Non so se ne abbia imparato qualcosa.

Mi sembra molto importante saper maneggiare le idee nella propria testa: vedere quando due idee non coprono tutte le possibilità, o quando una è la stessa di un'altra, ma leggermente diversa. ?Ma studiare logica mi ha insegnato l'importanza di pensare in questo modo, o mi ha reso più bravo a farlo? Non lo so.

Ci sono cose che so di aver imparato studiando filosofia. La più drammatica l'ho imparata subito, nel primo semestre del primo anno, in una lezione tenuta da Sydney Shoemaker. Ho imparato che io non esisto. Io sono (e voi siete) un insieme di cellule che si muove trascinata da varie forze, e che chiama se stessa "Io". Ma non c'è un'entità centrale e indivisibile che costituisce la nostra identità. Potreste teoricamente perdere metà del vostro cervello e continuare a vivere. Cioè, il vostro cervello potrebbe teoricamente essere diviso in due metà, e ciascuna potrebbe essere trapiantata in corpi diversi. Immaginatevi di svegliarvi dopo un'operazione del genere. Dovete immaginare di essere due persone.

La vera lezione qui è che i concetti della vita quotidiana sono imprecisi, e si rompono se portati al limite. Anche un concetto a noi caro come l’ Io. Mi ci è voluto un po' per capirlo, ma quando l'ho fatto è stato piuttosto improvviso, come qualcuno nel diciannovesimo secolo che capisce l'evoluzione e si rende conto che la storia della creazione che gli avevano raccontato da bambino era tutta sbagliata.

Al di fuori della matematica c'è un limite a dove arrivano le parole; in effetti, non sarebbe una cattiva definizione della matematica definirla come lo studio di termini che hanno significati precisi. Le parole quotidiane sono intrinsecamente imprecise. Non ce ne accorgiamo perché funzionano abbastanza bene nella vita quotidiana. Le parole sembrano funzionare, proprio come la fisica newtoniana. Ma puoi sempre romperle se le spingi abbastanza lontano.

Direi che questo è stato, purtroppo per lei, l’elemento portante della filosofia. La confusione delle parole non è solo un problema dei dibattiti filosofici, ma ne è una spinta.

Abbiamo il libero arbitrio? Dipende da cosa si intende per "libero". Le idee astratte esistono? Dipende da cosa si intende per "esistere".

A Wittgenstein si attribuisce l’idea che la maggior parte delle controversie filosofiche siano dovute a confusioni sul linguaggio. Non so quanto attribuire a lui questa scoperta. Credo che in molti lo abbiano realizzato, ma abbiano reagito semplicemente non studiando filosofia, piuttosto che diventandone professori.

Com’è potuto accadere? Può qualcosa che le persone hanno studiato per migliaia di anni essere davvero una perdita di tempo? Queste sono domande interessanti. In effetti, alcune delle più interessanti sulla filosofia. Il modo più utile per affrontare la tradizione filosofica potrebbe essere né di perdersi in speculazioni senza senso come Berkeley, né di fermarle come Wittgenstein, ma di studiarla come un esempio di ragione che è andata storta.

Storia

La filosofia occidentale inizia con Socrate, Platone e Aristotele. Ciò che sappiamo dei loro predecessori proviene da frammenti e riferimenti in opere successive; le loro dottrine sono cosmologie speculative che di tanto in tanto si avventurano nell'analisi. Presumibilmente, erano spinti da ciò che in ogni società porta alla creazione di cosmologie.

Con Socrate, Platone, e in particolare Aristotele, questa tradizione ha preso una svolta. Ha cominciato ad esserci molta più analisi. Sospetto che Platone e Aristotele siano stati incoraggiati in questo progresso dalla matematica. I matematici avevano dimostrato che potevano risolvere le questioni in un modo molto più conclusivo rispetto ad inventare storielle suggestive.

Oggi si parla così tanto di astrazioni che non ci si rende conto di quanto sia stato rivoluzionario farlo per la prima volta. Probabilmente sono passati migliaia di anni tra il momento in cui le persone hanno iniziato a descrivere le cose come calde o fredde e quando qualcuno ha chiesto "che cos'è il calore?" Senza dubbio è stato un processo molto graduale. Non sappiamo se Platone o Aristotele siano stati i primi. Ma le loro opere sono le più antiche che abbiamo che trattano questi temi su larga scala, e c'è una freschezza (per non dire ingenuità) in esse che suggerisce che alcune delle domande che hanno posto erano nuove almeno per loro.

Aristotele, in particolare, mi ricorda quello che accade quando le persone scoprono qualcosa di nuovo e sono così entusiaste da percorrere una percentuale enorme del nuovo territorio in una vita. Se è così, questo è un segno di quanto fosse nuovo questo tipo di pensiero.

Tutto questo serve a spiegare come Platone e Aristotele possano essere molto impressionanti, e al contempo ingenui ed in errore. Era impressionante anche solo porre le loro domande. Questo non significa che abbiano sempre trovato le risposte giuste. Non è offensivo dire che i matematici greci antichi fossero in certa misura ingenui, o perlomeno mancassero di alcuni concetti che gli avrebbero semplificato la vita. Quindi spero che le persone non si offendano troppo se propongo che i filosofi antichi fossero altrettanto ingenui. In particolare, non sembrano aver compreso appieno ciò che ho chiamato in precedenza il fatto centrale della filosofia: che le parole, se spinte troppo lontano, si rompono.

"Per la sorpresa dei costruttori dei primi computer digitali," scrisse Rod Brooks, "i programmi scritti per loro di solito non funzionavano."

Qualcosa di simile è accaduto quando le persone hanno iniziato per la prima volta a parlare in termini astratti. Con grande sorpresa, non arrivavano a risposte su cui fossero d'accordo. In effetti, sembrava che raramente arrivassero a delle risposte in generale.

In effetti, stavano discutendo su concetti distorti come immagini a bassa risoluzione.

La prova di quanto fossero inutili alcune delle loro risposte è nel loro scarso impatto. Nessuno, dopo aver letto la Metafisica di Aristotele, fa qualcosa di diverso come risultato.

Sicuramente non sto affermando che le idee debbano avere applicazioni pratiche per essere interessanti, vero? No, forse non è necessario. La vanteria di Hardy che la teoria dei numeri non avesse alcun uso non la squalificherebbe. Ma si è rivelato essere in errore. In effetti, è sospettosamente difficile trovare un campo della matematica che non abbia una vera applicazione pratica. E la spiegazione di Aristotele riguardo all'obiettivo finale della filosofia nel Libro A della Metafisica implica che anche la filosofia dovrebbe essere utile.

La conoscenza teorica

L'obiettivo di Aristotele era trovare il più generale dei principi generali. Gli esempi che fornisce sono convincenti: un operaio costruisce le cose in un certo modo per abitudine; un maestro artigiano può fare di più perché comprende i principi fondamentali. La tendenza è chiara: più la conoscenza è generale, più è ammirevole. Ma poi commise un errore—probabilmente l'errore più importante nella storia della filosofia. Notò che la conoscenza teorica è spesso acquisita per il puro gusto di conoscerla, per curiosità, piuttosto che per un bisogno pratico. Quindi propose due tipi di conoscenza teorica: una utile nelle questioni pratiche, e una no. Poiché le persone interessate a quest'ultima la ricercano per se stessa, allora deve essere più nobile. Così, nella Metafisica, stabilì come obiettivo l'esplorazione della conoscenza che non ha un'utilità pratica. Il che significa che quando affronta questioni grandiose ma vagamente comprensibili e si perde in un mare di parole, a nessuno suonava un campanello di allarme.

Il suo errore fu confondere il motivo con il risultato. Certamente, chi vuole comprendere qualcosa a fondo è spesso spinto dalla curiosità piuttosto che da una necessità pratica. Ma questo non significa che ciò che si apprende sia inutile. Avere una comprensione profonda di ciò che si fa è di grande aiuto pratico; anche se non si è mai chiamati a risolvere problemi avanzati, si possono individuare scorciatoie nella soluzione di quelli semplici, e la conoscenza non crollerà nei casi limite, come accadrebbe con formule che non si comprendono. La conoscenza è potere. È questo che rende prestigiosa la teoria. Ed è anche ciò che porta le persone intelligenti a essere curiose di certe cose e non di altre; il nostro DNA non è così disinteressato come potremmo pensare.

Quindi, anche se le idee non devono avere applicazioni pratiche immediate per essere interessanti, spesso le cose interessanti hanno anche applicazioni pratiche.

Il motivo per cui Aristotele non arrivò da nessuna parte nella Metafisica era in parte dovuto ai suoi obiettivi contraddittori: esplorare le idee più astratte partendo dal presupposto che fossero inutili. Era come un esploratore in cerca di un territorio a nord, partendo dal presupposto che si trovasse a sud.

E poiché il suo lavoro divenne la mappa di generazioni di futuri esploratori, li mandò tutti nella direzione sbagliata.

Forse, cosa ancora peggiore, li protesse sia dalle critiche esterne sia dalla loro stessa intuizione, stabilendo il principio per cui la conoscenza teorica più nobile è quella inutile.

La Metafisica è per lo più un esperimento fallito. Alcune idee si sono rivelate degne di essere conservate, ma la maggior parte dell'opera non ha avuto alcun effetto. È uno dei meno letti fra i libri famosi. Non è difficile da capire come i Principia di Newton, ma come un messaggio confuso.

Si potrebbe dire che sia un esperimento fallito ma interessante. Ma purtroppo non fu questa la conclusione a cui giunsero i successori di Aristotele leggendo opere come la Metafisica.

Poco dopo, il mondo occidentale entrò in un periodo di difficoltà intellettuale. Invece di considerare queste opere come versioni iniziali da superare, i lavori di Platone e Aristotele divennero testi venerati da padroneggiare e discutere. E così fu per un periodo sorprendentemente lungo. Solo intorno al 1600 (in Europa, dove nel frattempo il centro di gravità si era spostato) si trovarono persone abbastanza sicure di sé da trattare l'opera di Aristotele come un catalogo di errori. E anche allora, raramente lo dissero apertamente.

Se sembra sorprendente che l'intervallo sia stato così lungo, basta considerare quanto poco progresso ci sia stato in matematica tra l'epoca ellenistica e il Rinascimento.

Nel frattempo, si radicò un'idea sfortunata: che non solo fosse accettabile produrre opere come la Metafisica, ma che fosse un'attività particolarmente prestigiosa, svolta da una classe di persone chiamate filosofi. Nessuno pensò di tornare indietro e correggere l'argomento di base di Aristotele. E così, invece di risolvere il problema che Aristotele aveva scoperto cadendoci dentro—ossia che si può facilmente smarrirsi parlando in modo troppo vago di idee molto astratte—si continuò a caderci.

La singolarità

Curiosamente, le loro opere continuarono ad attrarre nuovi lettori. La filosofia tradizionale occupa una sorta di singolarità sotto questo aspetto. Scrivendo confusamente di grandi idee, si crea qualcosa di irresistibile per studenti inesperti ma intellettualmente ambiziosi. Finché non si impara, è difficile capire se qualcosa sia difficile perché l'autore stesso aveva le idee poco chiare o perché, come una dimostrazione matematica, rappresenta concetti intrinsecamente complessi. Per qualcuno che non ha ancora imparato la differenza, la filosofia tradizionale appare estremamente attraente: difficile (e quindi impressionante) come la matematica, ma con un campo d’azione molto più ampio. Proprio ciò che mi attirò quando ero al liceo.

Questa singolarità è ancora più singolare perché possiede un meccanismo di autodifesa. Quando qualcosa è difficile da capire, chi sospetta che sia privo di senso tende a rimanere in silenzio. Non esiste un modo per dimostrare che un testo non abbia senso. Al massimo, si può dimostrare che i suoi giudici ufficiali non riescono a distinguerlo da un semplice placebo.

E così, invece di denunciare la filosofia, la maggior parte di coloro che sospettavano fosse una perdita di tempo si limitava a studiare qualcos'altro. Questo è di per sé una prova abbastanza schiacciante, considerando le pretese della filosofia. Dovrebbe occuparsi delle verità ultime. Sicuramente, se mantenesse questa promessa, tutte le persone intelligenti se ne interesserebbero.

Poiché i difetti della filosofia allontanavano proprio le persone che avrebbero potuto correggerli, essi tendevano a perpetuarsi. Bertrand Russell scrisse in una lettera nel 1912:"Finora, le persone attratte dalla filosofia sono state per lo più quelle affascinate dalle grandi generalizzazioni, che erano tutte sbagliate, e così poche persone con una mente precisa ci si sono dedicate."

La sua risposta fu quella di lanciare Wittgenstein contro la filosofia, con risultati drammatici.

Penso che Wittgenstein meriti fama non tanto per aver scoperto che la maggior parte della filosofia precedente fosse una perdita di tempo - una conclusione che deve essere stata raggiunta da ogni persona intelligente che l’ abbia studiata un po’ senza proseguire - ma per il modo in cui reagì.

Invece di passare ad un altro campo, fece rumore dall’interno. Un Gorbaciov della filosofia.

Il mondo della filosofia è ancora scosso da Wittgenstein.

Nella sua vita trascorse molto tempo a parlare di come funzionano le parole. Poiché questo sembrava essere accettato, molti filosofi seguirono la stessa strada. Nel frattempo, percependo un vuoto nel campo della speculazione metafisica, coloro che un tempo si occupavano di critica letteraria iniziarono ad avvicinarsi a Kant, sotto nuove etichette come "teoria letteraria", "teoria critica" e, quando si sentivano particolarmente ambiziosi, semplicemente "teoria". Il risultato è la solita insalata di parole:

"Il genere non è come alcune delle altre modalità grammaticali che esprimono precisamente una modalità di concezione senza alcuna realtà corrispondente a tale modalità concettuale, e di conseguenza non esprimono precisamente qualcosa nella realtà che possa muovere l’intelletto a concepire una cosa in quel modo, anche quando quel motivo non è qualcosa insito nella cosa in sé."

La singolarità che ho descritto non sta scomparendo. Esiste un mercato per scritti che suonano impressionanti e che non possono essere confutati. Ci sarà sempre sia domanda che offerta. Quindi, se un gruppo abbandona questo territorio, ce ne sarà sempre un altro pronto a occuparlo.

Una Proposta

Potremmo riuscire a fare di meglio. Ecco un'ipotesi intrigante: forse dovremmo fare ciò che Aristotele intendeva fare, invece di ciò che ha effettivamente fatto. L'obiettivo che annuncia nella Metafisica sembra degno di essere perseguito: scoprire le verità ultime. Sembra un'ottima idea. Ma invece di cercare di scoprirle perché sono inutili, proviamo a scoprirle perché sono utili.

Propongo di riprovare, ma utilizzando come guida quel criterio finora disprezzato - l'applicabilità, per non finire in una palude di astrazioni. Invece di chiederci: Quali sono le verità più generali? Chiediamoci: Tra tutte le cose utili che possiamo dire, quali sono le più generali?

Per testare l’utilità, propongo di verificare se le persone che leggono ciò che abbiamo scritto fanno poi qualcosa di diverso. Sapere che dobbiamo fornire consigli definiti (anche se impliciti) ci impedirà di andare oltre la risoluzione delle parole che stiamo usando.

L'obiettivo è lo stesso di Aristotele; cambiamo solo l'approccio.

Un esempio di un'idea utile e generale è l'esperimento controllato. Un concetto che si è dimostrato ampiamente applicabile. Alcuni potrebbero dire che fa parte della scienza, ma in realtà non appartiene a nessuna scienza specifica; è letteralmente meta-fisica (nel nostro senso di "meta"). Un’ altra idea in questo senso è l’evoluzione. Essa ha avuto ampia applicazione - per esempio, negli algoritmi genetici e persino nella progettazione di prodotti. Un esempio più recente è la distinzione di Frankfurt tra la bugia e le sciocchezze.

Queste mi sembrano le basi di ciò che la filosofia dovrebbe essere: osservazioni molto generali che, se comprese, spingono a comportarsi diversamente.

Osservazioni di questo tipo riguarderanno necessariamente cose definite in modo impreciso. Una volta che si usano parole con significati precisi, si sta facendo matematica. Quindi partire dall'utilità non risolverà completamente il problema descritto sopra—non eliminerà la singolarità metafisica. Ma dovrebbe aiutare. Fornirà alle persone di buona volontà una nuova mappa per navigare nelle astrazioni. E forse, in questo modo, potranno produrre idee che renderanno evidenti le carenze delle opere prodotte da chi scrive con cattive intenzioni.

Uno svantaggio di questo approccio è che non produrrà il tipo di scrittura che può garantire la cattedra. E non solo perché attualmente non è di moda. Per ottenere la cattedra in qualsiasi disciplina, non si deve arrivare a conclusioni con cui si può non essere d'accordo. In pratica, ci sono due modi per affrontare questo problema. Nella matematica e nelle scienze, si può dimostrare ciò che si afferma, oppure formulare conclusioni in modo da non affermare nulla di falso ("6 degli 8 soggetti hanno avuto una riduzione della pressione sanguigna dopo il trattamento"). Nelle discipline umanistiche, si può evitare di trarre conclusioni definitive (per esempio, concludendo che un problema è complesso), oppure trarre conclusioni così limitate che nessuno si prenda la briga di contestarle.

Il tipo di filosofia che sto proponendo non può seguire nessuna di queste due strade. Al massimo potrà raggiungere il livello di rigore di un saggista, non quello di un matematico o di uno sperimentatore. Eppure, per superare il test di utilità, sarà necessario formulare conclusioni definite e abbastanza ampie. Peggio ancora, il test di utilità porterà inevitabilmente a risultati fastidiosi: non ha senso dire alla gente cose in cui credono già, e spesso si irritano quando si dice loro qualcosa di nuovo.

Ma ecco la parte entusiasmante: chiunque può farlo. Arrivare a ciò che è generale e utile partendo dall'utile e aumentando il grado di generalità potrebbe non essere il percorso ideale per un giovane professore in cerca di riconoscenze accademiche, ma lo potrebbe essere per tutti gli altri, inclusi i professori che le hanno già. Questo lato della montagna ha una pendenza graduale. Si può iniziare scrivendo cose molto specifiche ma utili, e poi renderle gradualmente più generali. Da Joe’s si fanno ottimi burrito. Cosa rende un burrito buono? Cosa rende il cibo buono? Cosa rende qualsiasi cosa buona? Si può fare con calma. Non è necessario arrivare fino in cima alla montagna. Non è nemmeno necessario dire a qualcuno che si sta facendo filosofia.

Se l'idea di fare filosofia sembra scoraggiante, ecco un pensiero incoraggiante: il campo è molto più giovane di quanto sembri. Anche se i primi filosofi della tradizione occidentale vissero circa 2500 anni fa, sarebbe fuorviante dire che la disciplina ha 2500 anni, perché per la maggior parte del tempo i suoi esponenti non facevano altro che scrivere commentari su Platone e Aristotele guardandosi le spalle per paura di un'invasione. Nei periodi in cui ciò non accadeva, la filosofia era strettamente intrecciata con la religione. Non riuscì a liberarsene fino a un paio di secoli fa, e anche allora fu afflitta dai problemi strutturali che ho descritto sopra. Se dico questo, alcuni diranno che è una generalizzazione ampia e ingiusta, mentre altri diranno che è ovvio e risaputo, ma lo dirò comunque: giudicando dalle loro opere, la maggior parte dei filosofi fino a oggi ha sprecato il proprio tempo. In un certo senso, la disciplina è ancora al primo passo.

Se pare un’affermazione assurda, non lo sembrerà più tra 10.000 anni. La civiltà sembra sempre antica, perché è sempre la più antica che sia mai stata. L'unico modo per capire se qualcosa è davvero vecchio è guardare alle sue strutture fondamentali, e da quel punto di vista la filosofia è ancora giovane; sta ancora vacillando dopo il crollo inaspettato del significato delle parole.

La filosofia è giovane quanto la matematica nel 1500. C'è ancora molto da scoprire.

Grazie a Trevor Blackwell, Paul Buchheit, Jessica Livingston, Robert Morris, Mark Nitzberg e Peter Norvig per aver letto le bozze di questo testo.

Note



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Paul Graham: il pifferaio magico dei nerdBy Irene Mingozzi