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Or


Nel decimo Canto, Dante, guelfo "bianco" e in quanto tale condannato all'esilio nel 1302, incontra fra i dannati nel sesto cerchio dell' Inferno - quello dove si trovano le anime che hanno peccato di incontinenza e in particolare di eresia - due fiorentini illustri. Si tratta di Farinata degli Uberti, che era stato capo dei ghibellini, e di Cavalcante de' Cavalcanti, padre dell'amico di gioventù del poeta, Guido. Così Firenze fa da sfondo alle disquisizioni tra i personaggi, tra lotte di fazioni e ricordi nostalgici.
Introduzione e voce di Carlo Colognese
Illustrazione di Gustavo Doré
Episodi precedenti:
Ora sen va per un secreto calle,
«O virtù somma, che per li empi giri
La gente che per li sepolcri giace
E quelli a me: «Tutti saran serrati
Suo cimitero da questa parte hanno
Però a la dimanda che mi faci
E io: «Buon duca, non tegno riposto
«O Tosco che per la città del foco
La tua loquela ti fa manifesto
Subitamente questo suono uscìo
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
E l’animose man del duca e pronte
Com’io al piè de la sua tomba fui,
Io ch’era d’ubidir disideroso,
poi disse: «Fieramente furo avversi
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
Allor surse a la vista scoperchiata
Dintorno mi guardò, come talento
piangendo disse: «Se per questo cieco
E io a lui: «Da me stesso non vegno:
Le sue parole e ’l modo de la pena
Di subito drizzato gridò: «Come?
Quando s’accorse d’alcuna dimora
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
e sé continuando al primo detto,
Ma non cinquanta volte fia raccesa
E se tu mai nel dolce mondo regge,
Ond’io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
Ma fu’ io solo, là dove sofferto
«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
El par che voi veggiate, se ben odo,
Quando s’appressano o son, tutto è vano
Però comprender puoi che tutta morta
Allor, come di mia colpa compunto,
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
E già ’l maestro mio mi richiamava;
Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
Elli si mosse; e poi, così andando,
«La mente tua conservi quel ch’udito
«quando sarai dinanzi al dolce raggio
Appresso mosse a man sinistra il piede:
che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
By Nel decimo Canto, Dante, guelfo "bianco" e in quanto tale condannato all'esilio nel 1302, incontra fra i dannati nel sesto cerchio dell' Inferno - quello dove si trovano le anime che hanno peccato di incontinenza e in particolare di eresia - due fiorentini illustri. Si tratta di Farinata degli Uberti, che era stato capo dei ghibellini, e di Cavalcante de' Cavalcanti, padre dell'amico di gioventù del poeta, Guido. Così Firenze fa da sfondo alle disquisizioni tra i personaggi, tra lotte di fazioni e ricordi nostalgici.
Introduzione e voce di Carlo Colognese
Illustrazione di Gustavo Doré
Episodi precedenti:
Ora sen va per un secreto calle,
«O virtù somma, che per li empi giri
La gente che per li sepolcri giace
E quelli a me: «Tutti saran serrati
Suo cimitero da questa parte hanno
Però a la dimanda che mi faci
E io: «Buon duca, non tegno riposto
«O Tosco che per la città del foco
La tua loquela ti fa manifesto
Subitamente questo suono uscìo
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
E l’animose man del duca e pronte
Com’io al piè de la sua tomba fui,
Io ch’era d’ubidir disideroso,
poi disse: «Fieramente furo avversi
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
Allor surse a la vista scoperchiata
Dintorno mi guardò, come talento
piangendo disse: «Se per questo cieco
E io a lui: «Da me stesso non vegno:
Le sue parole e ’l modo de la pena
Di subito drizzato gridò: «Come?
Quando s’accorse d’alcuna dimora
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
e sé continuando al primo detto,
Ma non cinquanta volte fia raccesa
E se tu mai nel dolce mondo regge,
Ond’io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
Ma fu’ io solo, là dove sofferto
«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
El par che voi veggiate, se ben odo,
Quando s’appressano o son, tutto è vano
Però comprender puoi che tutta morta
Allor, come di mia colpa compunto,
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
E già ’l maestro mio mi richiamava;
Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
Elli si mosse; e poi, così andando,
«La mente tua conservi quel ch’udito
«quando sarai dinanzi al dolce raggio
Appresso mosse a man sinistra il piede:
che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.