Paul Graham: il pifferaio magico dei nerd

Disuguaglianza e Rischio // Inequality and Risk


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Traduzione in italiano di Alessandro Collesano dall’essay originale di Paul Graham "Inequality and Risk" [Agosto 2005]. La lettura dell'articolo è di Nataša Mandić.

(Questo saggio è tratto da un intervento al Defcon 2005).

Supponiamo di voler eliminare la disuguaglianza economica. Ci sono due modi per farlo: dare soldi ai poveri o toglierli ai ricchi. Ma sono la stessa cosa, perché se volete dare soldi ai poveri, dovete prenderli da qualche parte. Non si possono prendere dai poveri, altrimenti finiscono al punto di partenza. Bisogna prenderli dai ricchi.

Naturalmente esiste un modo per rendere i poveri più ricchi senza semplicemente spostare denaro dai ricchi. Si potrebbero aiutare i poveri a diventare più produttivi, ad esempio migliorando l'accesso all'istruzione. Invece di togliere i soldi agli ingegneri per darli ai cassieri, si potrebbe permettere alle persone che sarebbero diventate cassieri di diventare ingegneri.

Questa è un'ottima strategia per rendere i poveri più ricchi. Ma l'evidenza degli ultimi 200 anni dimostra che non riduce la disuguaglianza economica, perché rende più ricchi anche i ricchi. Se ci sono più ingegneri, ci sono più opportunità di assumerli e di vendergli delle cose. Henry Ford non avrebbe potuto fare fortuna costruendo automobili in una società in cui la maggior parte delle persone erano ancora agricoltori di sussistenza; non avrebbe avuto né lavoratori né clienti.

Se si vuole ridurre la disuguaglianza economica, anziché limitarsi a migliorare il tenore di vita generale, non basta aumentare la ricchezza dei poveri. Cosa succede se uno dei vostri ingegneri appena laureati diventa ambizioso e diventa un altro Bill Gates? La disuguaglianza economica sarà più grave che mai. Se si vuole davvero comprimere il divario tra ricchi e poveri, è necessario spingere verso il basso la parte superiore, oltre a spingere verso l'alto la parte inferiore.

Come si fa a spingere verso il basso? Si potrebbe cercare di diminuire la produttività delle persone che guadagnano di più: fare in modo che i migliori chirurghi operino con la mano sinistra, costringere gli attori più famosi a mangiare troppo, e così via. Ma questo approccio è difficile da attuare. L'unica soluzione pratica è lasciare che le persone facciano il miglior lavoro possibile, e poi (attraverso la tassazione o la limitazione delle loro tariffe) confiscare ciò che si ritiene in eccesso.

Siamo chiari su cosa significhi ridurre la disuguaglianza economica: consiste nel togliere i soldi ai ricchi.

Quando si trasforma un'espressione matematica in un'altra forma, spesso si notano cose nuove. Così è in questo caso. Togliere i soldi ai ricchi si rivela avere conseguenze che non si potrebbero prevedere quando si formula la stessa idea in termini di "riduzione della disuguaglianza".

Il problema è che il rischio e la ricompensa devono essere proporzionati. Una scommessa con solo il 10% di probabilità di vincita deve pagare di più di una con il 50% di probabilità di vincita, altrimenti nessuno la accetterà. Quindi, se si riduce la parte superiore delle possibili ricompense, si diminuisce la disponibilità delle persone a correre rischi.

Trasponendo nella nostra espressione originale, otteniamo: diminuire la disuguaglianza economica significa diminuire il rischio che le persone sono disposte a correre.

Ci sono intere classi di rischi che non vale più la pena correre se il rendimento massimo diminuisce. Uno dei motivi per cui le aliquote fiscali elevate sono disastrose è che questa classe di rischi comprende l'avvio di nuove imprese.

Gli investitori

Le startup sono intrinsecamente rischiose. Una startup è come una piccola barca in mare aperto. Basta una grande onda e si affonda. Un prodotto concorrente, un rallentamento dell'economia, un ritardo nell'ottenimento dei finanziamenti o nell'autorizzazione del regolatore, una causa per un brevetto, l'evoluzione degli standard tecnologici, le dimissiono di un dipendente chiave, la perdita di un grosso cliente: ognuno di questi fattori può distruggervi da un giorno all'altro. Sembra che solo circa 1 startup su 10 abbia successo.

La nostra startup ha reso agli investitori del primo round 36 volte. Ciò significa che, con le attuali aliquote fiscali statunitensi, avrebbe avuto senso investire su di noi se avessimo avuto più di una probabilità su 24 di avere successo. Mi sembra giusto. Probabilmente è più o meno come apparivamo quando eravamo una coppia di nerd senza esperienza commerciale e operavamo in un appartamento.

Se questo tipo di rischio non pagasse, il venture investing, così come lo conosciamo, non esisterebbe.

Questo potrebbe andare bene se ci fossero altre fonti di capitale per le nuove imprese. Perché non lasciare che sia il governo, o una grande organizzazione quasi governativa come Fannie Mae, a fare il venture investing invece dei fondi privati?

Vi dirò perché non funzionerebbe. Perché in questo modo si chiede ai dipendenti statali o quasi statali di fare la cosa che sono meno in grado di fare: correre rischi.

Come sa chiunque abbia lavorato per il governo, l'importante non è fare le scelte giuste, ma fare scelte che possano essere giustificate in seguito in caso di fallimento. Se c'è un'opzione sicura, è quella che un burocrate sceglierà. Ma questo è esattamente il modo sbagliato di fare venture investing. La natura dell'attività implica che si vogliono fare scelte terribilmente rischiose, se la remunerazione in caso di successo è sufficientemente buona.

Attualmente i VC sono pagati in modo tale da concentrarsi sui casi di successo: ricevono una percentuale dei guadagni del fondo. E questo aiuta a superare la loro comprensibile paura di investire in un'azienda gestita da nerd che sembrano (e forse sono) studenti universitari.

Se ai VC non fosse permesso di arricchirsi, si comporterebbero come burocrati. Senza speranza di guadagno, avrebbero solo paura di perdere. E quindi farebbero scelte sbagliate. Rifiuterebbero i nerd a favore di un MBA in giacca e cravatta, perché l'investimento sarebbe più facile da giustificare in caso di fallimento.

Fondatori

Ma anche se si riuscisse in qualche modo a riprogettare il finanziamento di rischio senza permettere ai VC di diventare ricchi, ci sarebbe un altro tipo di investitore che non si può sostituire: i fondatori e i primi dipendenti delle startup.

Ciò che investono sono il loro tempo e le loro idee. Ma questi sono equivalenti al denaro; la prova è che gli investitori sono disposti (se costretti) a trattarli come intercambiabili, concedendo lo stesso status alla "sweat equity" (ndt: lavoro remunerato in cambio di quote di capitale anziché salario) e alle azioni acquistate in contanti.

Il fatto che si stia investendo del tempo non cambia il rapporto tra rischio e ricompensa. Se si intende investire il proprio tempo in qualcosa che ha poche probabilità di successo, lo si farà solo se ci sarà un guadagno proporzionalmente grande. Se non è possibile ottenere grandi guadagni, tanto vale andare sul sicuro.

Come molti fondatori di startup, l'ho fatto per diventare ricco. Ma non perché volessi comprare cose costose. Quello che volevo era la sicurezza. Volevo guadagnare abbastanza da non dovermi preoccupare dei soldi. Se mi fosse stato proibito di guadagnare abbastanza da una startup per fare questo, avrei cercato la sicurezza con altri mezzi: per esempio, andando a lavorare per una grande organizzazione stabile da cui sarebbe stato difficile essere licenziati. Invece di farmi il culo in una startup, avrei cercato di ottenere un bel lavoro a basso stress in un grande laboratorio di ricerca, o la cattedra in un'università.

È quello che fanno tutti nelle società in cui il rischio non viene premiato. Se non si può garantire la propria sicurezza, la cosa migliore è crearsi un nido in una grande organizzazione dove il proprio status dipende soprattutto dall'anzianità.

Anche se potessimo sostituire in qualche modo gli investitori, non vedo come potremmo sostituire i fondatori. Gli investitori contribuiscono principalmente con il denaro, che in linea di principio è identico indipendentemente dalla fonte. Ma i fondatori contribuiscono con le idee. Non si possono sostituire.

Ripercorriamo la catena di argomentazioni che abbiamo svolto finora. Mi sto avviando a una conclusione verso la quale molti lettori dovranno essere trascinati a calci e urla; quindi, ho cercato di rendere ogni anello indistruttibile. Diminuire la disuguaglianza economica significa togliere soldi ai ricchi. Poiché il rischio e la ricompensa sono equivalenti, diminuendo le ricompense potenziali diminuisce automaticamente la propensione al rischio delle persone. Le startup sono intrinsecamente rischiose. Senza la prospettiva di ricompense proporzionate al rischio, i fondatori non investiranno il loro tempo in una startup. I fondatori sono insostituibili. Eliminare la disuguaglianza economica significa quindi eliminare le startup.

La disuguaglianza economica non è solo una conseguenza delle startup. È il motore che le spinge, allo stesso modo in cui una cascata d'acqua spinge un mulino ad acqua. Le persone avviano startup nella speranza di diventare molto più ricche di prima. E se la società cerca di impedire a qualcuno di diventare molto più ricco di chiunque altro, impedirà anche a una persona di essere molto più ricca a t2 rispetto a t1.

Crescita

Questo argomento si applica in modo simile. Non è solo che se si elimina la disuguaglianza economica, non si ottengono startup. Nella misura in cui si riduce la disuguaglianza economica, diminuisce il numero di startup. Aumentando le tasse, la disponibilità a rischiare diminuisce in proporzione.

E questo sembra essere un male per tutti. Le nuove tecnologie e i nuovi posti di lavoro provengono entrambi in modo sproporzionato dalle nuove imprese. In effetti, se non ci sono startup, ben presto non ci saranno nemmeno aziende consolidate, proprio come se si smettesse di avere bambini, ben presto non ci sarebbero più adulti.

Suscita benevolenza dire che dovremmo ridurre la disuguaglianza economica. Messa in questo modo, chi può esser contrario? La disuguaglianza deve essere un male, giusto? Suona molto meno benevolo dire che dovremmo ridurre il tasso di creazione di nuove imprese. Eppure, l'uno implica l'altro.

In effetti, è possibile che la riduzione della propensione al rischio degli investitori non si limiti a far morire le startup in stato iniziale, ma uccida soprattutto quelle più promettenti. Le startup hanno una crescita più rapida a fronte di un rischio maggiore rispetto alle aziende consolidate. Questa tendenza vale anche per le startup? Ovvero, le startup più rischiose sono quelle che generano una crescita maggiore se hanno successo? Sospetto che la risposta sia sì. E questo è un pensiero agghiacciante, perché significa che se si riduce la propensione al rischio degli investitori, le startup più vantaggiose sono le prime a sparire.

Non tutte le persone ricche sono diventate tali grazie alle startup, ovviamente. E se lasciassimo che le persone si arricchissero avviando startup, ma tassassimo tutte le altre ricchezze in eccesso? Non diminuirebbe almeno la disuguaglianza?

Meno di quanto si possa pensare. Se si facesse in modo che le persone possano diventare ricche solo avviando startup, tutte le persone che vogliono diventare ricche avvierebbero startup. E questo potrebbe essere un'ottima cosa. Ma non credo che avrebbe un grande effetto sulla distribuzione della ricchezza. Le persone che vogliono arricchirsi faranno tutto ciò che occorre fare. Se le startup sono l'unico modo per farlo, ci saranno molte più persone che avvieranno startup. (Se si scrivono le leggi con molta attenzione, questo si ottiene. Più probabilmente, ci saranno molte persone che fanno cose che sulla carta possono sembrare startup).

Se siamo determinati a eliminare la disuguaglianza economica, c'è ancora una via d'uscita: potremmo dire che siamo disposti a fare a meno delle startup. Cosa succederebbe se lo facessimo?

Come minimo, dovremmo accettare tassi di crescita tecnologica più bassi. Se credete che le grandi aziende consolidate possano in qualche modo sviluppare nuove tecnologie con la stessa velocità delle startup, la palla passa a voi per spiegare come fare. (Se riuscite a proporre una storia lontanamente plausibile, potete fare una fortuna scrivendo libri di economia e facendo da consulenti per le grandi aziende).

Ok, quindi la crescita è più lenta. È un male? Beh, uno dei motivi per cui è negativo in pratica è che gli altri Paesi potrebbero non accettare di rallentare con noi. Se ci si accontenta di sviluppare nuove tecnologie a un ritmo più lento rispetto al resto del mondo, si finisce per non inventare nulla. Tutto ciò che potreste scoprire è già stato inventato altrove. E l'unica cosa che potete offrire in cambio sono materie prime e manodopera a basso costo. Una volta caduti così in basso, gli altri Paesi possono fare quello che vogliono con voi: installare governi fantoccio, sottrarre i vostri lavoratori migliori, usare le vostre donne come prostitute, scaricare i loro rifiuti tossici sul vostro territorio - tutte cose che noi facciamo ora ai Paesi poveri. L'unica difesa è isolarsi, come facevano i Paesi comunisti nel XX secolo. Ma il problema è che poi bisogna diventare uno Stato di polizia per farlo rispettare.

Ricchezza e potere

Mi rendo conto che le startup non sono l'obiettivo principale di chi vuole eliminare le disuguaglianze economiche. Ciò che non piace è il tipo di ricchezza che si auto-perpetua attraverso un'alleanza con il potere. Per esempio, le imprese edili che finanziano le campagne dei politici in cambio di contratti governativi, o i genitori ricchi che fanno entrare i loro figli in buone università mandandoli in scuole costose progettate per questo scopo. Ma se si cerca di attaccare questo tipo di ricchezza attraverso la politica economica, è difficile colpire senza distruggere le startup come danno collaterale.

Il problema non è la ricchezza, ma la corruzione. Allora perché non colpire la corruzione?

Non abbiamo bisogno di impedire alle persone di essere ricche se possiamo impedire che la ricchezza si traduca in potere. E su questo fronte ci sono stati dei progressi. Prima di morire di alcolismo nel 1925, Reggie, il nipote sciupafemmine del Commodoro Vanderbilt, investì dei pedoni in cinque diverse occasioni, uccidendone due. Nel 1969, quando Ted Kennedy si gettò dal ponte di Chappaquiddick, il limite sembrava essere sceso a uno. Oggi potrebbe essere pari a zero. Ma ciò che è cambiato non è la ricchezza. Ciò che è cambiato è la capacità di tradurre la ricchezza in potere.

Come si fa a spezzare il legame tra ricchezza e potere? Esigendo trasparenza. Osservate attentamente come viene esercitato il potere e chiedete conto di come vengono prese le decisioni. Perché tutti gli interrogatori della polizia non vengono videoregistrati? Perché il 36% della classe 2007 di Princeton proviene da scuole private, mentre solo l'1,7% dei ragazzi americani le frequenta? Perché gli Stati Uniti hanno davvero invaso l'Iraq? Perché i funzionari governativi non rivelano di più sulle loro finanze, e perché solo durante il loro mandato?

Un mio amico che conosce molto bene la sicurezza informatica dice che il passo più importante è registrare tutto. Quando era un ragazzino e cercava di entrare nei computer, ciò che lo preoccupava di più era l'idea di lasciare una traccia. La necessità di evitarlo lo disturbava più di qualsiasi ostacolo posto deliberatamente sul suo cammino.

Come tutte le connessioni illecite, anche quella tra ricchezza e potere fiorisce in segreto. Se si espongono tutte le transazioni, il fenomeno si ridurrà notevolmente. Registrate tutto. È una strategia che sembra già funzionare, e non ha l'effetto collaterale di rendere povero l'intero Paese.

Non credo che molti si rendano conto che esiste un legame tra disuguaglianza economica e rischio. Io non l'ho capito fino in fondo fino a poco tempo fa. Sapevo già da anni che se non si riesce a fare carriera in una startup, l'alternativa è ottenere un posto di ricercatore di ruolo. Ma non avevo capito l'equazione che regolava il mio comportamento. Allo stesso modo, è ovvio empiricamente che un Paese che non permette alle persone di arricchirsi è destinato al disastro, che si tratti della Roma di Diocleziano o della Gran Bretagna di Harold Wilson. Ma fino a poco tempo fa non avevo capito il ruolo del rischio.

Se si cerca di attaccare la ricchezza, si finisce per colpire anche il rischio, e con esso la crescita. Se vogliamo un mondo più equo, credo sia meglio attaccare un passo più a valle, dove la ricchezza si trasforma in potere.

Si ringraziano Chris Anderson, Trevor Blackwell, Dan Giffin, Jessica Livingston e Evan Williams per aver letto le bozze di questo saggio e Langley Steinert, Sangam Pant e Mike Moritz per le informazioni sul venture investing.

Note



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Paul Graham: il pifferaio magico dei nerdBy Irene Mingozzi