Dice, ma non è un pulcino – è un elefante! Questo quantomai insolito appellativo per l’elefantino stiloforo del Bernini, che sorregge una delle guglie un tempo parte del tempio di Iside e rinvenuta nel 1665 nel convento domenicano eretto sullo stesso terreno, deriva dalle forme un pelino tracagnotte del pachiderma che rassomiglia piuttosto a un maialotto. Il romano non si lascia sfuggire un’occasione ghiotta e lo chiama con affetto “porcino”, un piccolo porco. Ma come? Bernini con quel popò di capoccia creativa che si ritrovava ha disegnato un elefante con la panza? Bernini avrebbe voluto che l’elefantino reggesse tutti i cinque metri e mezzo dell’obelisco sulle sue quattro zampe, escamotage già sperimentato nella fontana dei Fiumi a piazza Navona, ma un prete domenicano, che aveva sottoposto al Papa un progetto finito immediatamente in pattumiera, si oppose strenuamente e tanto disse e tanto fece che il Papa stesso obbligò Bernini a piazzare un piedistallo sotto l’elefante che, nonostante la gualdrappa, risulta inevitabilmente appesantito. Bernini però se la legò al dito e progettò la statua in modo che volgesse i corpulenti glutei verso il convento dei domenicani, sul lato della piazza, e spostò financo la coda dell’elefantino di lato per permetter loro di ammirare tutta la sua ventitreesima meravigliosità. Ce stava eh?
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