Il Procuratore Generale del Texas Ken Paxton ha appena intentato una causa contro Sony, Samsung, LG, Hisense e TCL Technology Group Corporation.
L’accusa è aver spiato i texani attraverso le loro SmartTV.
Un’iniziativa che merita di esser raccontata e seguita perché educativa e istruttiva.
La sigla e ne parliamo.
[SIGLA]
C’erano una volta le televisioni che si lasciavano guardare punto e basta.
Non ci sono più.
Le televisioni che abbiamo oggi in salotto, quelle che il mercato ci ha imparato a chiamare SmartTV, infatti, ci guardano mentre le guardiamo.
E, per dirla tutta, ci guardano con molta più attenzione e molto più in profondità di quanto noi non si faccia con loro.
Ma secondo il Procuratore Generale del Texas ci sarebbe molto di più.
Non solo, infatti, le SmartTV e, per loro, i loro produttori ci guarderebbero mentre noi le guardiamo ma, letteralmente, ci spierebbero.
Si farebbero, insomma, i fatti nostri a nostra insaputa.
E lo farebbero, inutile dirlo, per far soldi, tanti soldi rivendendo poi sul mercato della pubblicità tutto quello che scoprono su di noi, le nostre abitudini di consumo di contenuti digitali, i nostri gusti, i nostri orari e tanto di più deducibile da quello che guardiamo, come lo guardiamo e quando lo guardiamo.
Una miniera d’oro di dati personali che arriverebbe nei forzieri digitali dei produttori di SmartTV direttamente dai nostri salotti e dalle nostre camere da letto.
Secondo quanto dedotto nei cinque giudizi promossi dal Procuratore generale texano tutto questo sarebbe possibile essenzialmente grazie a quelli che, da un po', da questa parte dell’oceano, chiamiamo dark pattern, una congerie di informazioni in eccesso, interfacce disegnate a arte e flussi di raccolta dei consensi degli utenti a questo o quel trattamento di loro dati personali progettata e sviluppata scientificamente così da fare in modo che sia enormemente più facile prestare il consenso alle più invasive delle forme di monitoraggio commerciale immaginabili che negarlo.
È così che le SmartTV starebbero spiando i texani ed è per questo che i loro produttori, oltre a smettere di farlo, dovrebbero risarcirli.
Tutto questo, naturalmente, per stare ai cinque giudizi in Texas.
E, però, visto che le TV sono sostanzialmente le stesse, legittimo ipotizzare che da questa parte dell’oceano le cose non vadano così tanto diversamente.
Insomma, magari, la prossima volta che ci mettiamo davanti alla TV varrà la pena pensare che mentre noi la guardiamo, anche lei ci guarda e, ancora prima, varrebbe forse la pena dedicare qualche minuto in più alle informative sulla privacy che ci propongono quando le accendiamo per la prima volta e investire qualche minuto in più – secondo il Procuratore generale texano l’impresa è difficile e faticosa ma non impossibile – per negare tutti i consensi possibili a che le televisioni anziché lasciarsi guardare ci guardino.
In fondo le SmartTV le paghiamo già una volta quando le compriamo e non c’è davvero ragione per pagarle una seconda volta con i nostri dati personali per di più accettando l’idea che, in un modo o nell’altro, qualcuno curiosi nel nostro salotto o nella nostra camera da letto.
Buona giornata e, come sempre, good morning privacy.