Commento a Atti 17, 16-34
Un Dio ignoto
Ai tempi di Paolo la grande e splendida Atene era ormai diventata una piccola città. Fuori dalle grandi vie di comunicazione, era senza importanza commerciale e militare. Però, anche se ridotta a circa 5.000 abitanti, dal punto di vista culturale e filosofico rappresentava ancora il centro del mondo. Per l’impero romano era un po’ come Firenze per l’Italia.
Il confronto di Paolo con gli ateniesi all’Areopago ha un valore simbolico eccezionale. È un modello di “inculturazione”: il messaggio evangelico entra in dialogo con la filosofia greca. Il suo insuccesso indica che è una via da non percorrere o una via da percorrere, per quanto sia ardua? Certamente il cristianesimo non può escludere il dialogo con nessuna cultura. Anche se il lavoro è difficile e di scarsi risultati immediati, bisogna “farsi tutto a tutti” (1Cor 9,22). È quanto fece Paolo, seguito da tanti altri pionieri, come P. Roberto de Nobili in India e P. Matteo Ricci in Cina.
Il dialogo culturale non deve però svendere la fede cristiana. Un discorso sapiente può svuotare la sapienza della croce: “Infatti la parola della croce è stoltezza per coloro che si perdono, ma per noi salvati è potenza di Dio” (1Cor 1,17s). Oggi come allora, bisogna tener presente che c’è sapienza e sapienza. C’è infatti la sapienza dell’egoismo, con relazioni di potere, che portano al proprio interesse (presunto) e alla morte. È la sapienza dei potenti di questo mondo, che lo dominano e lo distruggono. Ma c’è anche la sapienza dell’amore, con relazioni di solidarietà e servizio, che portano alla vita. È la sapienza di Dio e dei poveri, che edifica un mondo umano.
Questa distinzione critica tra sapienza e sapienza (leggi 1Cor 1,7-2,16!) – delle quali una sembra follia all’altra – è il più bel contributo della tradizione ebraico cristiana alla cultura mondiale: è la salvezza stessa di ogni cultura. Il Logos greco ha trovato con Paolo la distinzione fondamentale: c’è il logos della croce, che è la parola di amore, dono e perdono, che è diverso dal logos dei potenti, che è la parola dell’egoismo, del possesso e della violenza. Ciò che di più bello c’è nella cultura mondiale – i diritti dell’uomo con l’ideale di giustizia come libertà, uguaglianza e fraternità – è frutto dell’impatto della cultura ebraico-cristiana con quella occidentale.
Il confronto culturale è comunque necessario. Non solo per parlare una lingua comune con cui ci si possa intendere, ma anche perché qualsiasi cultura ha valori da comunicare alle altre.
Il punto di partenza del discorso di Paolo è sempre attuale. In ogni cultura, anzi in ogni persona, c’è un sacrario “al Dio ignoto”. Ignoto non perché Dio si nasconda, ma perché è diverso da ogni nostra rappresentazione. Questo un ebreo lo sa bene; il cristiano rischia spesso di ignorarlo. Molti credono di conoscerlo e riducono il mistero di Dio a un “pacchetto” di idee in formato tascabile, sempre utili ad ogni evenienza. Ci si dimentica che Gesù, anche se è “normalmente” usato dai cristiani per puntare al potere, fu ucciso come bestemmiatore e sovversivo dal potere religioso-politico.
Per questo dobbiamo mantenere sempre la dimensione del Dio ignoto - il “Deus semper maior” o, forse meglio, il “Deus semper minor”. Solo in questo modo possiamo andare incontro a ogni uomo, vero “sacrario di Dio”. Lui è intimo a noi più di noi stessi. Se non abbiamo questo atteggiamento, non possiamo annunciare il Vangelo: possiamo solo “immolare e mangiare” gli altri, per assimilarli a noi.
Questo “Dio ignoto”si rivela nel desiderio, comune a tutti, di essere amati e amare, di passare da un’esistenza vuota a una vita felice, bella e buona. È il desiderio di vincere ciò che è triste, brutto e ingiusto, tutto ciò che sa di morte. Tale desiderio innato è il sigillo del Dio vivente, la nostra somiglianza con lui, impressa in ogni figlio d’uomo – massimo comun divisore di ogni uomo.
Siamo chiamati ad essere ciò che siamo:”come Dio”. Non però come il dio dei potenti, che è follia di morte, bensì come il Dio di ogni figlio d’uomo, che è sapienza di vita.
L’uomo, come ogni animale, ovunque e da sempre, preferisce una carezza a una pedata.
Comune ad ogni uomo è pure il desiderio degli Ateniesi, sottolineato da Luca, di conoscere le ultime novità. Tale desiderio però resta sterile se le idee nuove non si traducono in una vita nuova. Dio è sì presente nella novità. Ma non tanto nella novità delle idee, quanto nella novità della realtà.
Dio è amore. E l’amore si manifesta nei fatti, più che nelle parole.
NB. Dopo il primo viaggio apostolico e il “Concilio” di Gerusalemme, che apre le porte ai pagani, Paolo ha via libera. Ora siamo al secondo viaggio, nel quale tutto è chiaro: compagno sarà il collaudato Barnaba, mèta sarà rivisitare le comunità già fondate, durata sarà il tempo necessario.
Ma tutto salta per imprevisti a catena. Compagno non sarà Barnaba, per via del litigio a causa di Marco; sarà invece Sila che, per caso, non è ancora rientrato a Gerusalemme. Ai due si aggregheranno per strada gli sconosciuti Timoteo e Luca. Meta prima non sarà Cipro, verso dove si è imbarcato Barnaba con Marco. Paolo passerà via terra per la Siria, confortando le comunità. Sua intento è ampliare l’annuncio della Parola in Asia; ma lo Spirito lo vieta e impedisce. Giunto a Troade, una visione notturna lo dirotta in Macedonia, dove passerà da Filippi a Tessalonica e a Berea, per salpare infine verso Atene. È così che il cristianesimo passa dall’Asia all’Europa. Durata di ogni tappa sarà il tempo determinato dai nemici che, in ogni luogo, scatenano persecuzione. Alla fine si può dire che la persecuzione è il motore stesso dell’evangelizzazione, oltre che la sua autenticazione e garanzia di fecondità. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
DIVISIONE
a. v. 16: irritazione di Paolo contro l’idolatria
b. v. 17: Paolo in sinagoga con giudei e al mercato con tutti
c. vv. 18-21: Paolo con i filosofi che lo portano all’Aeropago
d. vv.22-23: captatio benevolentiae e partenza dal dio ignoto
e. vv. 24-29: unicità di Dio e vanità degli idoli
f. vv. 30-31: annuncio del giudizio di Dio attraverso Gesù resuscitato dai morti
g. vv.32-34: reazioni negative di tutti, tranne alcuni