Commento a Atti 5, 1-11
Nel libro della Genesi, subito dopo il paradiso terrestre c'è la menzogna che riduce il giardino a deserto e introduce nel mondo il male e la morte.
Anche qui, dopo la scena idilliaca della comunità, in contrappunto al gesto libero di Barnaba, c'è quello di una coppia attacata al dio mammona, che vuol servire a due padroni. Il racconto è ricco di suggestioni.
La chiesa non è mai perfetta: denaro e menzogna sono il suo “peccato originale” con cui deve sempre fare il conto.
Il peccato di Anania e Saffira non è aver dato solo una parte – potevano dare anche niente –, ma la menzogna contro lo Spirito, vita della comunità. I due che mentono, muoiono.
In effetti la menzogna è morte di ogni relazione e principio di ogni male. La causa della loro morte improvvisa può essere il dolore provato al vedere scoperto il loro inganno e averne capita la gravità.
Certo non è punizione di Dio, che è morto in croce per i peccatori. Il racconto – un caso di “frode fiscale” – evidenzia come libertà e verità siano necessarie alla vita della comunità, mentre menzogna e schiavitù la uccidono. Il testo è una denuncia della gravità mortale della menzogna, alimentata da sfiducia nell'altro e interesse personale. Sfiducia e interesse sono sempre presenti: bisogna riconocerli, non mentire e pregare di esserne liberati.