Commento a Atti 8, 9 - 25
Il tuo argento vada con te in perdizione
Giacomo e Giovanni avevano invocato fuoco dal cielo su un villaggio di Samaritani che avevano rifiutato Gesù. Non avevano ancora lo Spirito del Figlio dell’uomo che è venuto a salvare, non a perdere i peccatori (cf Lc 9,54s). Ora un villaggio di Samaritani accoglie la Parola di Dio. Pietro e Giovanni sono inviati dagli apostoli a pregare per loro perché ricevano lo Spirito Santo. L’unico fuoco dal cielo che Dio conosce è quello del Figlio – fuoco che brucia il legno secco per risparmiare quello verde (Lc 23,31). Questo è il fuoco che lui è venuto a portare sulla terra (Lc 12,48). È lo stesso che ha anche Stefano: un amore più forte della morte, che sa dare la vita per chi lo uccide (Lc 23,34; At 7,60). L’unica vendetta di Dio è il perdono.
Pare strano che il battesimo di Filippo a chi si era convertito a Gesù non avesse conferito lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, protagonista degli Atti, è libero e sovrano: spira come e dove vuole, anche su chi ancora non è battezzato (10,44-48). Quindi non è necessaria l’imposizione delle mani da parte degli apostoli. Ma questa è la prima missione fuori dalla Giudea. Forse Filippo ha atteso che lo Spirito fosse dato per la prima volta dagli apostoli, le colonne della Chiesa di Gerusalemme, per significare l’unico Spirito che anima tutta la Chiesa, al di là delle differenze. Lo Spirito è l’amore: crea comunione nella Chiesa e tra le Chiese. Ed è unico – quello che è stato effuso prima e Gerusalemme per poi diffondersi nel mondo intero, accogliendo e vivificando in sé ogni diversità.
Qui siamo alla seconda tappa della testimonianza dei discepoli: compiuta a Gerusalemme con Stefano (At 1,8;-8,1), ora raggiunge la Samaria attraverso la Giudea.
L’episodio di Simone Mago – ha lo stesso nome di Simone detto Pietro! – fa da specchio al pericolo costante della Chiesa. Anche Gesù, all’inizio del suo ministero, smascherò in sé le stesse tre tentazioni in cui cadde Israele (Es 16,2-9: la manna; Es 32: il vitello d’oro; Es 17,1-7: “il Signore è in mezzo a noi sì o no?”). Le sperimentò e combatté, dal Giordano alla croce. Le prime due sono quelle dell’avere e del potere, facendo del possesso di cose e persone il proprio idolo. Qui siamo alla terza, quella fondamentale: possedere Dio, riducendo lui stesso a un idolo (Lc 4,1ss.; 23,35-39). Lo Spirito di amore, vita del Padre e del Figlio, non può essere comperato. È un dono. L’amore o è gratuito o non è! Comprare Dio, con danaro o buone opere, è il peccato che va direttamente contro la sua essenza. Il peccato originale della chiesa di Gerusalemme fu l’ipocrisia religiosa e la fiducia nel danaro, invece che in Dio (At 5,1ss). Ma non si può mentire allo Spirito o servire Dio e Mammona (Lc 16,13). Qui in Samaria emerge il peccato più radicale: interessa possedere non denaro, ma Dio stesso. È istintivo di ogni religione pervertirsi nell’atteggiamento del fariseo al tempio, che sente di avere dei crediti con Dio per le sue buone opere (Lc 18,9ss). Luca scrive il suo Vangelo per Teofilo (Lc 1,1) perché non cada nella perversione della fede e diventi come il fratello maggiore (Lc 15,1ss), che non accetta né il minore né il Padre – o come Pietro, che pensa di essere lui ad amare Gesù e morire per lui, fino a quando scopre che è Gesù ad amarlo come peccatore e a dare la vita per lui. L’amore non può mai essere meritato: sarebbe “meretricio”. Può essere ricevuto gratuitamente e poi corrisposto. L’unica condizione per ricevere il dono è la povertà di Maria che fa cantare il Magnificat.
DIVISIONE
a. vv.9-13: continua l’attività di Filippo con i seguaci di Simon Mago e con lo stesso Simone
b. vv.14-17. missione di Pietro e Giovanni
c. vv. 18-24: rimprovero di Pietro a Simone
d. v. 25: ritorno a Gerusalemme evangelizzando villaggi di Samaria