Commento a Atti 14, 8-20a
Alzati sui tuoi piedi, diritto!
È il primo incontro diretto che Luca ci descrive tra Paolo e il mondo pagano, con tutti gli equivoci e le avventure del caso. Paolo qui rivive in prima persona la vicenda di morte e risurrezione di quel Gesù che prima perseguitava (At 9,4). Gesù “passò beneficando e risanando tutti”, e contro di lui si riunirono pagani e connazionali per compiere il disegno di Dio (At 10,38; 4,27s). Lo stesso accade ora a lui, che completa nella “sua carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo” (Col 1,24).
Come nel primo miracolo pubblico di Gesù e nei primi due di Pietro, anche qui c’è la guarigione di un paralitico. È un “segno” programmatico. L’attività di Gesù è far “camminare l’uomo” bloccato dalle sue colpe mediante il perdono (Mc 2,1ss).
Il primo miracolo di Pietro è guarire un giudeo, storpio dalla nascita, che sta “fuori”dalla “porta bella” del tempio per entrare danzando e lodando Dio (At 3,1ss). Il secondo è far alzare Enea, cristiano e paralitico da otto anni, che se ne sta nel suo lettuccio: “Enea, Gesù Cristo ti guarisce; sorgi e rifatti il letto” (At 10,32-35.34). Forse rappresenta Pietro, assopito nel “tepore” della prima comunità, chiamato a portare il Vangelo a tutti.
Paolo guarisce un pagano, incapace di stare in piedi, zoppo dal ventre di sua madre, il quale non aveva mai camminato. Rappresenta ogni uomo, che da Adamo in poi è fuggito da casa ed è incapace di ritorno. L’uomo è “Viator”: è sempre in cammino, perché di sua natura è ciò che diventa. Dio gli ha proposto di diventare come lui. Il serpente l’ha ingannato. Da allora l’uomo è diventato come i propri idoli, che hanno piedi e non camminano, idoli morti che danno morte. Ognuno di noi, giudeo, cristiano o pagano, ha le sue paralisi, che gli impediscono il cammino verso la felicità che desidera.
La vita dell’apostolo è una peripezia costante: da Antiochia di Pisidia sono scacciati (13,50), da Iconio debbono fuggire perché vogliono lapidarli. Qui, dopo aver persuaso le folle di non adorarli come dèi, sono inseguiti dai giudei zelanti di Antiochia e di Iconio, che persuadono le folle a lapidarli (14,19). I nemici si sono organizzati per estirpare “l’eresia cristiana”: fanno esattamente con Paolo quello che lui voleva fare con discepoli di Gesù. Gli apostoli, come Gesù, sono costantemente bloccati ed esposti a morte. Ma ad ogni blocco si apre una nuova via. La loro stessa esposizione a morte è un dare la vita, alla sequela del loro Signore.
Paolo è associato pienamente al suo mistero di morte risurrezione. “ Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita” (2Cor 4,11s), scrive Paolo a quelli di Corinto. Leggi sull’argomento 2 Cor 4,7-5,10; 11,12,10! “È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno dei cieli (At 14,22). “So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato al Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (At 20,23s).
Qui Paolo fa in prima persona l’esperienza, da lui approvata, di Stefano, il primo martire. Come dal sangue di Stefano germoglia l’apostolo Paolo, così dal sangue di Paolo la porta della fede sarà aperta, non solo ai giudei e ai pagani, loro proseliti o simpatizzanti, ma a tutti.
DIVISIONE
a. vv. 9-10: guarigione del paralitico
b. vv. 11-13: entusiasmo della folla
c. vv. 14-18: reazione efficace di Paolo contro la loro divinizzazione
d. vv. 19-20: lapidazione