Commento a Atti 18, 7-17
Un popolo numeroso c'è per me in questa città
Paolo abbandona Atene. Dal piccolo centro culturale, si trasferisce a Corinto. La vecchia città, distrutta dai romani nel 146 a.C., rimase deserta per un secolo. Si cominciò a ricostruirla nel 44 a.C. e divenne colonia Romana. Ai tempi di Paolo era diventata una grande città in espansione, con 300.000 abitanti e uno stadio con 18.000 posti a sedere. Due terzi della popolazione era di schiavi.
Posta a Km 60 da Atene, si trova sul Mar Ionio, dove c’è ora il canale che mette in comunicazione l’Ionio con l’Egeo. Allora, per non fare il giro del Peloponneso, c’era un sistema di rulli per trasferire le imbarcazioni piccole via terra al porto di Cencre, sul mar Egeo.
Porta di passaggio tra occidente ed oriente, era la capitale dell’Acaia. Lì si incontravano popolazioni greche, fenice, asiatiche, romane, ebree ed egizie. La gente, dedita al lavoro e al commercio, era ricca e famosa anche per il piacere e il vizio commercializzato. “Corintizzare” significava vivere una vita licenziosa. “Non a tutti è lecito vivere alla corinzia”, scriveva Strabone. Tutti i culti vi erano presenti. Il più noto era quello ad Afrodite, protettrice della città, con mille prostitute sacre addette al servizio.
Corinto può sembrare il luogo meno adatto per annunciare il Vangelo. Non è gente religiosa come quelli di Atene. È una città corrotta e ricca, con un’accozzaglia di tutte le religioni, dove l’una vale l’altra. Proprio lì, grazie a Paolo e compagni, nasce una comunità numerosa, una delle più importanti del primo secolo. Composta per lo più di schiavi e di gente povera, è vivace e ricca di doni. Sono pochi i ricchi e i potenti, che possono “corintizzare” (1Cor 1,26ss). Gli schiavi, provenienti dal mediterraneo orientale, erano religiose, e in crisi d’identità perché fuori dal loro contesto religiose. Per questo oggi può essere più facile annunciare il vangelo agli immigrati in Italia più che ai residenti nelle loro nazioni.
Le due lettere ai Corinzi ce la fanno conoscere meglio di ogni altra comunità. Paolo lì si ferma un anno e mezzo e si rivolge decisamente ai pagani. Il testo comincia con un’attività tranquilla (vv.1-4). C’è un crescendo con l’arrivo dei due compagni (vv.5-7). La conversione del capo della sinagoga dà inizio al “popolo numeroso” (vv. 8-11). Culmine del testo è l’episodio di Gallione, governatore romano (vv. 12-17). Con lui c’è il primo riconoscimento ufficiale del cristianesimo: la nuova religione non è un crimine (adìkema) né un’azione malvagia radioùrgema (azione facile, leggera).
Paolo resterà a Corinto per 18 mesi. Partirà pochi giorni dopo il buon esito del processo intentato contro di lui davanti al proconsole Gallione, fratello del famoso Seneca. Paolo non ha il carisma del pastore ma quello dell’apostolo: fondata una fiorente comunità, va ad evangelizzare altrove. In questo cammino fonda nuove comunità e approfitta per visitare e rafforzare nella fede quelle già ci sono.
Ad Atene Paolo si è confrontato con la cultura greca. Oltre che nella sinagoga, parlava nella piazza principale, come i filosofi epicurei e stoici. Ha completato la sua testimonianza all’Aeròpago. Il discorso, che lì ha tenuto, è una vera miniera di indicazioni sull’inculturazione. Paolo, partendo dalla critica agli idoli, giunge a parlare del Dio ignoto per introdurre il nocciolo del messaggio cristiano.
Il suo compito a Corinto è più semplice. Lavorando manualmente alle dipendenze di Aquila, è in contatto con gli schiavi che vengono da tutte le parti del mondo. In Grecia solo gli schiavi lavoravano, per servire i ricchi. I poveri sono più disposti ad accettare il messaggio di libertà. I ricchi invece credono di averla già e ignorano di essere schiavi dell’egoismo.
NOTA sul lavoro manuale e la comprensione del vangelo.
Paolo, dopo l’esperienza di Atene, è arrivato a Corinto “in debolezza e con timore e tremore” (1Cor 2,3). Dato che Dio parla mediante la realtà, la luce e la salvezza gli viene dalla nuova situazione in cui si trova. Vive in un mondo di schiavi e padroni, dove solo gli schiavi lavorano. Lui stesso lavora, come Gesù e ogni maestro in Israele. In Gen 1,1ss Dio crea con la parola: “dice e avviene ciò che dice”. In Gen 2,4bss invece “lavora” per creare. I due racconti sono complementari, come per l’uomo il dire e il fare – se non s’inganna e non nganna. Nel secondo racconto Dio lavora a tutti i livelli: “fa” cielo e terra. Ma questa è arida prima che lui faccia l’impianto idrico per la pioggia dall’alto e che l’uomo la canalizzi dal basso. Allora Dio plasma l’uomo come l’artista che lavora argilla. Ma gli soffia dentro il suo respiro, la sua vita. Ne fa così l’anello di congiunzione tra creato e Creatore. Infatti è impastato di terra e insieme “invasato” da ispirazione divina. Fatto l’uomo, Dio pianta personalmente ogni albero bello e buono. Fa un giardino, pone l’uomo nel mezzo, ordinandogli di lavorare come lui e di custodirlo.
In Gen 3,1ss. c’è lo sconvolgimento del peccato. La menzogna di satana gli presenta un Dio padrone di tutto invece di un Dio operaio, che lavora e serve. Per questo la relazione che l’uomo ha con sé, con l’altro, con le cose e con Dio, è quella del padrone che domina su tutto e distrugge tutto, invece di un Dio che serve tutti e fa tutto per amore.
È qui che Paolo capisce con chiarezza che il Messia promesso è “Gesù crocifisso”, ucciso dal potere religioso come bestemmiatore e da quello civile come schiavo ribelle.
I Giudei cercano la potenza di Dio nei portenti e i Greci la sapienza di Dio nella loro sapienza mondana, che è giustificazione del potere dell’uomo sull’uomo. La croce, scandalo e follia di Dio, evidenza la perversione della religione e la stupidità del mondo. Per questo la croce è potenza e sapienza di Dio, che salva l’uomo dalla schiavitù del potere religioso e civile.
L’uomo libero non è il padrone che opprime e uccide. Questa è impotenza e insipienza di morte. L’uomo libero è chi, per amore, si fa servo dell’altro. Questa è potenza e sapienza di vita. I veri schiavi sono i padroni che schiavizzano gli altri.
Da qui in avanti Paolo sa di non sapere altro se non “Gesù, e questi crocifisso”, potenza e sapienza di Dio, che nessuno dei padroni di questo mondo è capace di intendere, altrimenti “non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1Cor 2,2.6-10).
Tutti i Vangeli sono scritti per far riconoscere Dio nella croce. Una conoscenza di Gesù come Figlio prima della croce è sempre e solo demoniaca. Anche Pietro fu chiamato satana perché non voleva accettare che il “figlio di Dio” fosse il crocifisso (cf. Mc 8,27-33 testi paralleli in Matteo e Luca). In Giovanni la croce è la stessa Gloria.
Paolo lavora per annunciare gratuitamente il vangelo. Preferisce morire piuttosto che far diversamente. Infatti non lo fa di sua iniziativa: non è padrone della Parola, ma schiavo della Parola di Gesù (1Cor 9,15ss), che lo tiene stretto a sé (cf At 185).
È sempre in agguato la tentazione del potere, sia per che evangelizza che per il pastore. L’evangelizzatore può rendersi padrone della Parola e il pastore padrone del gregge. Rinasce così la casta clericale degli scribi e dei sacerdoti, che, come hanno ucciso Cristo, ancora crocifiggono i poveri cristi.
Grande maestro di vita è il lavoro manuale! Secondo S. Tommaso d’Aquino serve per quattro cose: per vivere, per evitare l’ozio, per vincere la concupiscenza e per le elemosine. Inoltre è utile per altre tre cose:: contro il furto, contro la cupidigia dei beni altrui e contro i turpi imbrogli per procurarsi da vivere.
DIVISIONE
a. vv.1-4: da Atene a Corinto: incontro con Aquila
b. vv.5-6: arrivo di Sila e Timoteo e decisione di dedicarsi ai pagani
c. vv.7-8: Paolo ospite di un pagano e conversione del capo della sinagoga
d. vv. 9-11: un popolo numeroso c'è per me in questa città
e. vv.12-13: accuse contro Paolo, accusato di un culto contro la legge romana
f. vv. 14-15: disinteresse di Gallione su questioni religiose
g. vv. 16-17: scacciati dal tribunale, se la prendono con il capo sinagoga “traditore”