Lectio: Atti degli Apostoli

Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 3 Dicembre 2012


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Commento a Atti 13, 26-43

La promessa fatta ai nostri padri Dio l'ha compiuta per noi, loro figli

Continua il discorso di Paolo ai Giudei di Antiochia in Pisidia. Nella prima parte (13,16b-25) ha rivisitato per sommi capi l’opera di Dio nell’A.T. per attuare la promessa fatta “ai nostri padri”. Essa si compie in Gesù e culmina nel lungo appello del Battista ad accoglierlo come il Salvatore promesso. In lui, discendenza di Abramo, saranno benedette tutte le genti (Gen 12,1ss) e Israele diventa luce delle nazioni (Lc 2,32; Is 42,6; 49,9; 46,13). L’apertura stessa ai pagani, avvenuta in Antiochia, è segno del compimento del disegno di Dio su Israele.
Questa seconda parte (13,26-37) presenta il nocciolo dell’annuncio cristiano. Paolo mostra come la parola di salvezza si è realizzata in Gesù e si realizza oggi negli ascoltatori che lo accolgono. Il racconto della sua crocifissione, sepoltura e risurrezione è interpretato alla luce delle Scritture, che in lui trovano il pieno compimento.
Il ricordo del passato serve per aprire gli occhi sul presente: Dio, come ha agito allora, agisce ancora e sempre. Ciò che Paolo dice, vale non solo per i suoi ascoltatori di allora, ma anche per noi cristiani di oggi. Se non sappiamo leggere l’azione di Dio “oggi”, siamo “praticamente atei”. Riduciamo la storia della salvezza a reperto fossile: un fatto del passato, senza significato per il presente. Chiudere Dio nelle nostre dottrine e spiegazioni sul passato, senza la sorpresa di scoprirlo oggi sempre all’opera nella nostra vita, significa negare che sia Signore della creazione (continua!) e della storia.
I vv. 27-28 contengono i dati fondamentali dell’annuncio su Gesù. I vv. 32-37 provano dalla Scrittura che in lui Dio compie per noi la promessa fatta ai nostri padri. L’appello alla fede è il punto d’arrivo (13,38-41). Attenti a non cadere nell’incredulità di fronte all’ “opera” che Dio compie nei nostri giorni! Dobbiamo accogliere “oggi” la sua salvezza, che non viene dalla legge, ma dalla fede.
La Scrittura infatti si compie “oggi nei vostri orecchi”, dice Gesù a chi lo ascolta (Lc 4,21). La fede è ricordo di ciò che Dio ha fatto allora per aprirci gli occhi su ciò che fa ancora. Egli è colui che è. Ed è e sarà sempre quello che già è stato: amore che si prende cura dei suoi figli, da sempre e per sempre.
La storia è un “con-certo”, una lotta, un canto e un controcanto, un contrapporsi di note. Ognuno fa la sua parte, amici e nemici, Dio e uomo, bene e male. Alla fine esce un’armonia sorprendente e bella, che è al di là delle singole note, ma che le comprende tutte e le armonizza. Alla fine tutto sarà bene ( Rm 8,28). È una sinfonia umano divina.
Veramente la storia è una “Divina commedia” tutta umana o, se si preferisce, una “Commedia umana” tutta divina.
Nel finale (vv. 42-43) c’è l’invito a tornare il sabato successivo. Molti giudei e proseliti accolgono l’invito.

NB. Qui Paolo sta parlando ad Ebrei. “Evangelizza Gesù” partendo da ciò che è loro noto: le promesse di Dio nella Scrittura. È utile notare che ogni promessa è tale se corrisponde ai desideri di vita “bella e buona” insiti nel cuore dell’uomo. Altrimenti non è una promessa, bensì una minaccia. Siccome questa è efficace, molte religioni dicono: “Se non fai questo, Dio ti punisce!”. Ma questa è l’immagine satanica di Dio che il serpente ha suggerito ad Eva! Ovviamente Paolo, quando parla ad Atene, non parte dalla Scrittura, ma da un loro poeta e dal loro desiderio di “conoscere l’ignoto”. Davvero Paolo si fa tutto a tutti. Non per fanatismo religioso, ma per amore dell’uomo che Dio stesso ama. È davvero necessaria la rivelazione di un Dio per scoprire ciò che già c’è nel cuore dell’uomo! È infatti a sua immagine e somiglianza, desiderio senza limite di conoscenza e di amore. Per questo i Vangeli, raccontando la storia di Gesù, esplicitano i desideri più profondi di ogni uomo e di ogni cultura. Infatti non contengono dottrine, leggi o idee astratte. Narrano fatti concreti, comprensibili a tutti, che realizzano il riscatto dalla schiavitù all’ignoranza e all’ingiustizia, ai vari mali e alla stessa morte. Presentano il passaggio da un’esistenza fallimentare a un’esistenza nella piena libertà di un amore ricevuto e dato senza condizioni. Offrono al lettore quella felicità alla quale ognuno aspira. Altrimenti si sente perduto, dannato all’inferno di una vita morta.
C’è stato il Sinodo sull’evangelizzazione. Purtroppo è stato come la favola del monte che, tra grande doglie, partorisce un topolino. Infatti è stato auto centrato, come ha osservato una persona autorevole. Non ha tenuto presente la storia dell’evangelizzazione, di come è stata, di come è riuscita o fallita, e perché. Soprattutto ha dimenticato due cose: il Vangelo stesso e l’azione di Dio nel cuore degli uomini. P. Adolfo Nicolás, generale dei gesuiti, ricorda uno studio di K. Rahner e J. Ratzinger sul concetto di rivelazione nel Concilio di Trento. Secondo loro, quando il Concilio parlava di Scrittura, intendeva l’Antico Testamento; quando parlava di Spirito, intendeva che esso fosse presente sia nel Nuovo Testamento che nel cuore dei fedeli. E di ogni uomo, possiamo aggiungere. Anche il più lontano.
Purtroppo molti pensano che evangelizzare sia insegnare il catechismo di Pio X o i comandamenti o i principi innegoziabili, ovviamente da imporre con leggi adeguate. Secondo loro bisognerebbe “insegnare l’alfabeto” della fede alla gente. Ma la fede cristiana non è una dottrina, bensì una persona, Gesù. La fede non è questione di alfabeto. È la storia elementare di Gesù: il suo essere figlio dell’uomo e fratello di tutti, lo rivela Figlio di Dio e salvatore dell’uomo. Questa storia è raccontabile e da raccontare in ogni alfabeto, perché l’uomo raggiunga la propria salvezza di figlio amato che ama i fratelli. Allora ogni lingua proclamerà che il Signore è Gesù, a gloria di Dio Padre (Fil 2,11).
Il cristianesimo va al di là di ogni lingua, razza e religione. La nuova legge è la libertà dei figli di Dio, da testimoniare a tutti. Siamo noi, cristiani (?) d’oggi, che dobbiamo ascoltare e imparare l’alfabeto delle varie culture, per parlare il loro linguaggio. Non siamo chiamati insegnare loro il nostro alfabeto e la nostra strana lingua “teologica”(?), possibilmente in latino. Che stupidità e profanazione!
Giustamente si sottolinea l’importanza del linguaggio. Il linguaggio proprio della “Buona notizia” è il racconto di Gesù e di ciò che fa. Dottrine e leggi non sono notizie, ma idee e ordini – spesso non ottimi, quando non cattivi! Teniamo inoltre presente che il primo linguaggio visibile è il vestito, poi il volto e, più di tutto, lo stile di vita. È necessario, per predicare “degnamente” il Vangelo ai poveri, avere bardature medievali o rinascimentali, vesti firmate, ecc.?
Oggi è la festa di S. Francesco Saverio. Mi piace leggere a proposito un breve racconto. Il re Giovanni III di Portogallo raccomanda al conte di Castanheira di fornire a Francesco Saverio [che era anche Nunzio apostolico di tutto l’oriente] abiti e libri per il viaggio. Francesco accetta. Non vuole però domestici. «“Accettate almeno un domestico, insisteva il conte, altrimenti, vedendovi in mare mescolato agli altri, occupato a lavare la biancheria a bordo della nave, o a cucinare, il vostro credito e la vostra autorità ne sarebbero diminuite presso le persone che voi dovete istruire!”. Ma il Padre Francesco rispondeva: “Signor Conte, ricercare credito e autorità con i mezzi che voi mi indicate, hanno trascinato la Chiesa nella situazione in cui la vedete adesso. Il mezzo per acquistarsi credito e autorità è lavare la biancheria, cucinare i propri pasti, semplicemente, e, oltre a questo, servire le anime del prossimo”» ( MONUMENTA XAVERIANA II, 837).


DIVISIONE
a. vv. 26-31: annuncio centrale su Gesù
b. vv. 32-37: prova scritturistica della risurrezione di Gesù
c. vv. 38-41: appello alla conversione e perdono dei peccati: giustificazione dalla fede
d. vv. 42-43: invito per il sabato dopo e buona accoglienza di molti
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Lectio: Atti degli ApostoliBy Silvano Fausti