Paul Graham: il pifferaio magico dei nerd

Notizie dal Fronte // News from the Front


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Traduzione in italiano di Ariel Di Porto dall’essay originale di Paul Graham "News from the Front" [Settembre 2007].

La lettura dell'articolo è di Irene Mingozzi.

Qualche settimana fa, ho avuto un pensiero così eretico da sorprendermi: può non essere così importante dove tu sia andato all'università.

Per me e molti ragazzi della classe media, entrare in una buona università era il fulcro della mia vita durante l'adolescenza. Chi ero? Uno studente. Essere un bravo studente significava ottenere buoni voti. E qual era lo scopo di ottenere buoni voti? Entrare in una buona università. Ma per quale motivo qualcuno dovrebbe perseguire questo obiettivo? Ci sono molte ragioni: imparare di più, ottenere un lavoro migliore, guadagnare di più. Tuttavia, sembrava non essere così rilevante quali benefici ne derivassero. L'università rappresentava il collo di bottiglia attraverso il quale sarebbero fluite tutte le prospettive future; tutto sembrava migliorare se avessi ottenuto l'ammissione in un'università di prestigio.

Tuttavia, qualche settimana fa mi sono reso conto di aver smesso di credere in tutto ciò.

Quello che mi ha spinto a riflettere è stato il recente trend di dedicare un'attenzione ossessiva alla scelta dell'asilo per i propri figli. Mi è sembrato che questa decisione non potesse essere così determinante. O non avrebbe potuto contribuire all'ammissione di tuo figlio ad Harvard, oppure, se invece potesse influire, allora significa che entrare ad Harvard non avrebbe più lo stesso significato. E così mi sono chiesto: quanto conta davvero già in questo momento?

È venuto fuori come io abbia tanti dati sul tema. Io, insieme a tre soci, porto avanti un fondo di investimento chiamato Y Combinator. Noi investiamo in aziende che non sono altro che un gruppo di amici con un’idea. L’idea non conta troppo: sicuramente cambierà. Il maggior peso decisionale è sui founders. Il founder medio è uscito dal college da tre anni. Alcuni si sono appena laureati, altri sono ancora all’università. Ci posizioniamo come fossimo un graduate program, o un’azienda che assume persone neolaureate. Tranne per il fatto che le nostre scelte sono testate immediatamente ed in modo visibile. Ci sono due possibili risultati per una startup: il successo e il fallimento, e di solito il risultato si capisce entro un anno.

Il test applicato ad una startup è tra i test più puri del mondo reale. Una startup ha successo o fallisce in base principalmente agli sforzi dei founders. Il successo è deciso dal mercato: puoi avere successo solo se agli utenti piace quello che hai costruito. E agli utenti non importa dove hai studiato.

Oltre ad avere dei risultati misurabili in modo estremamente preciso, ne abbiamo molti. Invece di fare pochi, grandi investimenti ogni anno, come un fondo di venture capital tradizionale, facciamo molti piccoli investimenti. Attualmente, finanziamo circa 40 aziende l’anno, selezionate da 900 applications che rappresentano circa 2000 persone.

Tra il numero di persone che giudichiamo ed il veloce ed inequivocabile test che viene applicato alle nostre scelte, Y Combinator è un’opportunità senza precedenti di imparare come scegliere i vincitori. Una delle cose più sorprendenti che ho imparato è che importa veramente poco l’università che si ha frequentato.

Credevo di essere già guarito dall’idea di preoccuparmi di questo. Non c’è niente di meglio di frequentare Harvard per curarti delle illusioni che tu possa avere sullo studente medio di Harvard. Eppure Y Combinator ci ha mostrato come continuiamo a sovrastimare le persone che hanno frequentato scuole di elite. Abbiamo fatto colloqui a persone provenienti dal MIT, da Harvard, da Stanford e spesso ci troviamo a pensare che queste devono essere più intelligenti di quanto sembrano. Ci sono volute alcune iterazioni per imparare a fidarci del nostro istinto.

Nella pratica, tutti pensano che chi è andato al MIT, ad Harvard o a Stanford deve obbligatoriamente essere intelligente. Anche le persone che odiano il fatto che questi abbiano potuto frequentare queste scuole lo crede.

Ma quando poi pensi a cosa significhi essere andato in una scuola di elite, come può questo essere vero? Stiamo parlando di una decisione presa da un responsabile delle ammissioni - sostanzialmente da dei responsabili di risorse umane - basata sull’esame sommario di una pila gigantesca di application tristemente simili l’una con l’altra inviate da diciassettenni. E su cosa si basano queste? Su un test standardizzato facilmente aggirabile, un breve scritto che dice quello che i ragazzi pensano tu voglia sentirti dire, un colloquio con uno studente scelto casualmente, un curriculum scolastico che è in gran parte un indice di obbedienza. Chi si affiderebbe a un test del genere?

Eppure molte aziende lo fanno. Molte aziende sono parecchio influenzate da dove i candidati hanno studiato. Perché succede questo? Credo di avere la risposta a questo.

C’è un detto nel mondo aziendale: “Nessuno è mai stato licenziato per aver comprato prodotti IBM”. Può capitare di non sentire più questo detto su IBM, ma il significato resta vivo; c’è un’intera categoria di aziende di software enterprise che esiste solo per avvantaggiarsi della propria posizione.

Alle persone che comprano la tecnologia per grandi aziende non importa se spendono una fortuna per software mediocre. Non sono i loro soldi. Loro vogliono solo comprare da un fornitore che sembra sicuro, un’azienda con un nome riconosciuto, un venditore sicuro di sè, degli uffici impressionanti ed un software conforme alle mode del momento. Non si tratta necessariamente di un'azienda che vi fornirà i risultati sperati, ma di un'azienda che, se vi deluderà, vi sembrerà comunque una scelta oculata. Le aziende si sono quindi evolute per riempire questa nicchia.

Un recruiter di una grande azienda è quasi nella stessa posizione di chi si occupa di comprare tecnologia nella stessa azienda. Se qualcuno è andato a Stanford e non è palesemente pazzo, probabilmente è una scommessa abbastanza sicura. Ed una scommessa sicura è abbastanza. Nessuno misura le performance dei recruiter sulle performance successive delle persone che vengono scartate.

Ovviamente non sto dicendo che le università d’elite si siano evolute alla mercé delle debolezze di grandi aziende allo stesso modo di come è successo con le aziende di enterprise software. Ma loro si comportano come se questo fosse successo. In aggiunta alla forza del loro brand, i laureati in università di primo livello hanno due qualità cruciali che combaciano bene con il modo in cui lavorano le grandi aziende. Sono bravi a fare quello che gli viene richiesto, dal momento che è quello che serve per compiacere gli adulti che ti giudicano quando hai diciassette anni. Ed essere stati in un’università di elite li rende più sicuri di sé stessi.

Quando le persone erano abituate a spendere la loro intera carriera in una sola grande azienda, queste qualità sarebbero state di grande valore. I laureati di college di elite sarebbero stati capaci, ma allo stesso tempo suscettibili nei confronti delle autorità. E dal momento che le performances individuali sono difficili da valutare in grandi aziende, la loro fiducia in se stessi sarebbe stato il punto di partenza per la loro reputazione.

Nel nuovo mondo rappresentato dalle startup, le cose sono molto diverse. Non potremmo salvare qualcuno dal giudizio del mercato, anche se volessimo. Ed essere affascinante e fiducioso non conta niente con gli utenti. Tutto quello di cui si curano gli utenti è se tu crei qualcosa che gli piace. E se non lo fai, sei morto.

Sapere che il test è alle porte ci spinge a lavorare molto più duramente per ottenere le risposte giuste di quanto non farebbe chi sta semplicemente assumendo persone. Non possiamo permetterci di farci illusioni sui fattori che predicono il successo. E quello che abbiamo scoperto è che la variabilità dei risultati tra le scuole è talmente inferiore a quella tra gli individui da risultare trascurabile al confronto. Possiamo imparare di più su una persona nel primo minuto di conversazione che sapendo dove è andata a scuola.

Sembra ovvio se è presentata in questo modo: guarda l’individuo, non l’università che ha frequentato. Ma questa è un’affermazione più debole rispetto all’idea con la quale ho cominciato, cioè che non importa dove un individuo è andato al college. Nelle migliori università non dovresti essere in grado di imparare cose che non avresti la possibilità di imparare in scuole meno importanti?

Apparentemente no. Ovviamente questo non può essere provato per quanto riguarda un singolo individuo, ma si può dirlo guardando i dati aggregati: non è possibile, senza chiederlo, distinguere una persona che è andata in una scuola d’elite con una che è andata in una scuola che è decisamente più in basso nella graduatoria di US News.

Provare per credere.

Come può essere vero? Perché quello che si impara al college dipende molto più dalla persona che dal college stesso. Uno studente festaiolo può frequentare le scuole migliori senza imparare niente. E qualcuno con una vera sete per la conoscenza può trovare un gruppo di persone intelligenti per imparare anche in una scuola non così prestigiosa.

Gli altri studenti rappresentano il maggior vantaggio di andare in una scuola d’elite: si impara più da loro che dai professori. Ma si dovrebbe essere in grado di riprodurre questo facendo uno sforzo consapevole per trovare degli amici svegli. Nella maggior parte delle università si può trovare almeno una manciata di altri studenti intelligenti, e la maggior parte delle persone ha comunque solo una manciata di amici stretti.

Le probabilità di trovare professori intelligenti sono ancora migliori. La curva dei docenti è molto più piatta se confrontata con quella degli studenti, soprattutto in matematica e nelle scienze fondamentali; bisogna andare molto avanti nella lista dei college prima di smettere di trovare professori intelligenti nel dipartimento di matematica.

Per questo motivo non è sorprendente che abbiamo trovato il prestigio di diversi college inutile nel giudicare gli individui. C’è molta casualità nel modo in cui le università scelgono le persone, e quello che queste imparano dipende molto più da loro stessi che dal college che hanno frequentato. Tra queste due fonti di variabilità, l’università frequentata fornisce poca significatività. È in qualche misura un predittore di abilità, ma è così debole che lo consideriamo soprattutto una fonte di errore e cerchiamo consapevolmente di ignorarlo.

Dubito che quello che ho scoperto sia un’anomalia specifica relativa alle startup. Probabilmente, le persone hanno sempre sovrastimato l’importanza del college frequentato dalle persone. Ora siamo solamente capaci a misurarlo.

La cosa sfortunata non è che le persone vengano giudicate da un test superficiale, ma che molte persone giudichino loro stesse da questo. Molte persone, probabilmente la maggior parte delle persone in America, hanno una sorta di incertezza su dove andare al college, o se andarci o meno. La tragedia di questa situazione è che il più grande problema di non essere andato nel college in cui si sarebbe voluto andare è il tuo sentimento di avere un pezzo mancante da qualche parte. Da questo punto di vista, le università sono un po’ come dei club esclusivi. C’è solo un vero vantaggio ad essere un membro dei club esclusivi: sai che non ti perderesti molto se non lo facessi. Quando si è esclusi, si possono solo immaginare i vantaggi di essere un insider. Ma inevitabilmente, i vantaggi sono più grandi nella vostra immaginazione che nella vita reale.

Così è per il college. I college sono diversi, ma non quella scelta del destino che la gente si immagina. Le persone non sono quello che responsabili delle ammissioni decidono quando si è diciassettenni. Le persone sono quello che fanno.

Per questo, il maggior vantaggio di fregarsene di dove le persone sono andate al college non è solo quello di smettere di giudicarle (e di giudicare se stessi) in base a misure superficiali, ma anche quello di concentrarsi su ciò che conta davvero. Ciò che conta è ciò che si fa di se stessi. Credo che questo sia ciò che dovremmo dire ai ragazzi. Il loro compito non è prendere buoni voti per entrare in una buona università, ma imparare a fare. E non solo perché questo è più gratificante del successo mondano. Questa sarà sempre più la strada per il successo mondiale.

Note



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Paul Graham: il pifferaio magico dei nerdBy Irene Mingozzi