“Le certezze sono certe?”
È un cortocircuito filosofico intrigante: “certezza” suona come sinonimo di assenza di dubbio, ma quel “certe” dentro “certezze” sembra un paradosso. Le certezze si fondano su premesse — sensate, percezioni, ragionamenti — che a loro volta sono fragili, mutevoli. Allora dire “sono certe” significa che il fondamento è incrollabile. Ma chi può garantire che lo sia? Sospetto: nessuno. Le certezze sono scorci d’ombra che proiettiamo contro la parete dell’infinito.
“Chi dubita dei propri dubbi?”
Ecco un livello più meditativo: non è sufficiente dubitare; se si dubita dei nostri dubbi stessi, delle premesse che motivano il dubbio, delle retoriche interne che definiscono cosa merita di essere dubitato, si pratica un esercizio metadubitativo: un’auto-interrogazione perpetua.
1. “Le certezze sono certe?” — Il crollo dell’assoluto per eccesso di peso
La parola certezza deriva dal latino certus, participio passato di cernĕre, “separare, distinguere, decidere”. Certus è ciò che è stato “cernuto”, scelto, isolato dal flusso delle possibilità come stabile. È già un atto di taglio, non un dato.
Il tal Socrate, nel Menone e nei dialoghi aporetici, par smantellare continuamente la certezza apparente dei suoi interlocutori: non perché voglia imporre un dubbio sterile, ma perché ogni doxa (opinione) che si crede sapere mostra crepe quando la si interroga. Socrate non distrugge, scava.
Il tal Pirrone e i suoi seguaci scettici par andarono oltre: non solo non abbiamo certezze, ma anche se le avessimo non potremmo sapere di averle. La epoché (sospensione del giudizio) è la risposta pratica: vivere senza affermare né negare assoluti, per conquistare una forma di ataraxia (imperturbabilità).
Il tal Gadamer, molto più tardi, in Verità e metodo, par mostrare che ogni “certezza” è in realtà un orizzonte storico e linguistico. Non esistono certezze fuori dal linguaggio; esistono solo precomprensioni che si credono universali finché non vengono messe in dialogo con altre.
In altre parole: la certezza è una costruzione situata. È figlia del tempo, della lingua, della fisiologia percettiva, della cultura. Come una trave che regge il soffitto finché non ti accorgi che è fatta di gesso.
2. “Chi dubita dei propri dubbi?” — Il ribaltamento metariflessivo
Qui si compie un salto più raro. Non si tratta più di chiedere se abbiamo certezze, ma chi controlla il meccanismo del dubbio.
Il dubbio è spesso accolto come un principio “puro”: cartesiano, metodico, garante della ragione. Ma…
Il tal Cartesio dubita di tutto, eccetto del dubbio stesso, che lo conduce al celebre cogito. Tuttavia, non dubita mai della struttura stessa del dubbio. Questo è il tallone d’Achilleus del metodo: il dubbio diventa un nuovo dogma, un fondamento indiscusso.
Il tal Sesto Empirico era più radicale: anche il dubbio deve essere sospeso. Se dubiti e ti aggrappi al dubbio, hai solo sostituito un idolo con un altro. Occorrerebbe dubitare anche del dubbio, altrimenti si resta prigionieri di un’idea negativa ma ancora totalizzante.
Nuovamente il tal Gadamer, suggerisce che la vera comprensione nasce non dal sospetto assoluto, ma dal riconoscimento dei nostri pregiudizi produttivi: ciò che ci permette di pensare è anche ciò che dobbiamo continuamente mettere in questione. È un gioco di orizzonti mobili.
Dubitare dei propri dubbi significa riconoscere che il dubbio stesso ha motivazioni, pulsioni, linguaggi impliciti, bias. Il dubbio può essere ideologico, emotivo, difensivo. Può servire a proteggere zone d’ombra più che a illuminare.
Dubitare dei propri dubbi è dubitare del dispositivo che ti fa dubitare. È il punto cieco che osserva sé stesso allo specchio.
Certezze fragili: costruzioni temporanee
Dopo aver distrutto certezze e dubbi, rimane una domanda pratica: come vivere, pensare, agire?
La risposta che propongo — a metà tra Gadamer e una certa lucidità tragica — è questa:
Le “certezze” non vanno eliminate, ma trattate come strutture provvisorie, come impalcature per edifici in perenne restauro.
Dubitare dei propri dubbi non significa dissolversi nell’indecisione, ma impedire che il dubbio diventi nuova tirannia.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.