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Traduzione in italiano di Dario Ricci dall’essay originale di Paul Graham "Good and Bad Procrastination" [Dicembre 2005].
Molte delle persone più eccezionali che conosco sono incredibili procrastinatori. Potrebbe quindi essere che procrastinare non sia sempre una cosa negativa?
La maggior parte di coloro che scrivono sulla procrastinazione, lo fa per proporre modi per curarla. Ciò, però, è tecnicamente impossibile: c'è un numero infinito di cose che si potrebbero fare: ogni volta che si lavora su una cosa, non si sta lavorando su tutto il resto. Quindi la domanda non è come evitare la procrastinazione, ma come procrastinare BENE.
Ci sono tre tipi di procrastinazione, che dipendono da cosa si fa al posto di occuparsi di una certa cosa: si può fare A - niente, B - qualcosa di meno importante, o C - qualcosa di più importante. Quest’ultimo, suppongo, è il tipo migliore di procrastinazione.
È il caso del professore “con la testa fra le nuvole”, che quando sta pensando a qualcosa di interessante scorda di radersi, di mangiare, o di guardare dove sta andando. La sua testa è assente dalla realtà quotidiana perché è in una realtà parallela in cui sta lavorando a un progetto a cui tiene.
In questo senso le persone più eccezionali sono dei procrastinatori! Sono dei procrastinatori di tipo C: rimandano le piccole cose per dedicarsi a quelle più importanti.
Quali sono le "piccole cose”? Approssimatamente, tutto ciò che non ha speranza di essere citato nel proprio necrologio. È difficile dire in anticipo quale sarà il proprio lavoro migliore: sarà un’opera magna sull'architettura dei templi Sumeri, o un poliziesco scritto sotto falso nome? C’è invece un'intera classe di attività per cui di certo non verremo ricordati: fare la lavatrice, pulire casa, scrivere biglietti di auguri. Si tratta di attività che possono senza dubbio essere catalogate come “piccole incombenze”.
La procrastinazione è positiva quando permette di evitare queste piccole incombenze per occuparsi delle parti del lavoro che veramente contano.
Le persone che vorrebbero che ci occupassimo di queste “piccole incombenze” probabilmente non riterranno questo tipo di procrastinazione altrettanto positiva. Ma forse sono poi le stesse persone con cui dobbiamo insistere di più per ottenere le cose fatte. Invece le persone che decidono di dedicare il loro tempo a progetti veramente importanti, anche quelle che all’apparenza sembrano più miti, diventano inflessibili quando si tratta di evitare le “piccole incombenze”.
Alcune piccole incombenze, come rispondere alle lettere, se ignorate svaniscono da sole - anche se probabilmente insieme a loro svaniscono anche gli amici. Altre, come falciare il prato, o pagare le tasse, se rimandate non fanno altro che peggiorare. In linea di principio sarebbe meglio non rimandare questo tipo di incombenze: sono cose che prima o poi sarà comunque necessario fare. Perché quindi non “farlo ora”, come recitano gli avvisi di mancato pagamento?
Il motivo per cui conviene mettere da parte anche le incombenze che se rimandate peggiorano, è che le parti del lavoro che veramente contano hanno bisogno di due cose di cui le incombenze non hanno bisogno: tanto tempo e l'umore giusto. Se un progetto ci ispira, può valere la pena di rimandare tutto quello che avremmo dovuto fare nei giorni successivi per concentrarci solo su quello. È vero, quando decideremo di occuparci delle incombenze che abbiamo procrastinato probabilmente potremmo metterci più tempo rispetto a quanto ce ne avremmo messo se le avessimo fatte subito. Ma se in quei giorni riusciamo a essere molto produttivi, probabilmente il risultato finale sarà migliore.
Potrebbe essere che la differenza dipenda dal TIPO di lavoro, piuttosto che dalla quantità di tempo necessario per portarlo a termine. Potrebbero esserci lavori cui è necessario dedicare periodi di tempo lunghi e ininterrotti, piuttosto che dividerli in tanti piccoli slot. Quando penso alle persone che conosco che hanno fatto grandi cose, non le immagino a spuntare diligentemente una lista di cose da fare: le immagino sgattaiolare via per lavorare su qualche idea innovativa.
Al contrario, forzare qualcuno a occuparsi di incombenze in un tempo prestabilito mette un limite alla sua produttività. Un'interruzione non è negativa solo per il tempo che sottrae, ma anche perché fa perdere la concentrazione. Probabilmente basta interrompere qualcuno anche solo un paio di volte al giorno per impedirgli di occuparsi efficacemente di problemi di una certa complessità.
Mi sono chiesto parecchie volte perché le startup siano più produttive all’inizio, quando sono solo due ragazzi in un appartamento. La ragione principale potrebbe essere che ancora non c'è nessuno a interromperli. In teoria, il fatto che i founder arrivino ad avere abbastanza soldi per assumere persone che facciano parte del lavoro dovrebbe essere positivo. Ma il superlavoro potrebbe essere meglio delle interruzioni: il rischio è che diluendo una startup con procrastinatori di tipo B, l'intera azienda cominci a risuonare alla loro frequenza. Sono guidati dalle interruzioni, e in breve lo diventano anche i founder.
Le piccole incombenze sono così efficaci nell’affossare i grandi progetti che un sacco di gente le usa proprio per quello scopo. Chi decide di scrivere un romanzo, per esempio, si renderà improvvisamente conto del fatto che la casa ha bisogno di essere pulita. Chi non riesce a scrivere un romanzo non lo fa stando seduto per giorni di fronte a una pagina bianca senza scrivere niente. Lo fa dando da mangiare al gatto, andando a comprare qualcosa per la casa, incontrando un amico per un caffè, leggendo la posta. "Non ho tempo per lavorare," dicono. E in effetti è vero che non hanno tempo di lavorare; hanno fatto in modo che fosse proprio così.
Un’altra variante del problema è quella in cui non si ha un posto per lavorare. La soluzione è andare a visitare i posti in cui hanno lavorato personaggi famosi, e rendersi conto di quanto fossero inadatti.
Io stesso ho usato entrambe queste scuse in diversi momenti. Negli ultimi 20 anni ho imparato un sacco di trucchi per farmi restar e sul pezzo, ma anche adesso non sempre ce la faccio. Certi giorni riesco a dedicarmi alle parti del lavoro che veramente contano; altri, invece, vengo fagocitato dalle incombenze. E so che di solito è colpa mia: sono io che permetto alle incombenze di fagocitare la mia giornata per evitare di occuparmi di qualche problema davvero difficile.
La forma più pericolosa di procrastinazione è quella di tipo B, ossia fare cose poco importanti, perché non sembra procrastinazione. Del resto si stanno "facendo delle cose": semplicemente, quelle sbagliate.
Qualsiasi consiglio sulla procrastinazione basato sull’utilizzo di una lista di cose da fare rischia di essere fuorviante, se non considera la possibilità che le attività contenute in quella lista siano esse stesse una forma di procrastinazione di tipo B. In realtà, quasi tutti sono in questa condizione. A meno che non si stia lavorando sulla cosa più importante di cui ci si potrebbe occupare, tutti sono procrastinatori di tipo B, indipendentemente da quante cose riescano a fare.
Nel suo famoso saggio "Tu e la tua ricerca" - lettura che consiglio a chiunque sia ambizioso, non importa di cosa si occupi - Richard Hamming suggerisce di fare a se stessi tre domande:
1) “Quali sono i problemi più importanti nel tuo campo?”
2) “Stai lavorando su uno di quelli?”
3) “E perché no?”
Hamming lavorava ai Laboratori Bell quando iniziò a porre queste domande. In linea di principio, chiunque dovrebbe essere in grado di lavorare sui problemi più importanti nel proprio campo. Forse non tutti possono lasciare un segno altrettanto sensazionale nel mondo, non ne ho idea. Ma qualunque siano le proprie capacità, ci sono progetti che le portano ai limiti. Quindi l’esercizio di Hamming può essere generalizzato come segue:
- “Qual è la cosa migliore sulla quale potresti lavorare? E perché non lo fai?”
La maggior parte delle persone si schermisce davanti a questa domanda. Anch'io lo faccio: la vedo sulla pagina e passo velocemente alla frase successiva. Hamming prese l'abitudine di andare in giro a fare queste domande, e ciò non lo rese molto popolare. È una domanda però che qualunque persona ambiziosa dovrebbe affrontare.
Il problema è che usando quest'esca si potrebbe finire per prendere un pesce veramente grosso. Per fare un buon lavoro, trovare buoni progetti non basta. Quando li si trova, bisogna iniziare a lavorarci su, cosa che può risultare difficile. Più il problema è grosso, più difficile è mettersi all'opera.
Ovviamente la ragione per cui le persone trovano difficile lavorare su un particolare problema è che non le diverte. Quando si è giovani, in particolare, spesso si è costretti a lavorare su cose che non piacciono - perché troppo complesse, per esempio, o perché lo si è ricevuto come compito. Molti studenti delle superiori si bloccano lavorando su problemi grossi che non li divertono affatto, e scuola superiore è quindi sinonimo di procrastinazione.
Ma anche quando lavoriamo a un progetto che ci appassiona, spesso decidiamo di partire dai problemi più piccoli piuttosto che da quelli più grossi. Perché? Perché è così difficile dedicarsi ai problemi più grossi? Uno dei motivi è che si potrebbe non ricevere alcuna ricompensa nel prossimo futuro. Invece, lavorando su un problema che può essere risolto in un giorno o due, ci si aspetta di poter assaporare velocemente un senso di appagamento. Una ricompensa indefinitamente lontana nel futuro, invece, ci sembra meno vera.
Un'altra ragione per cui non si lavora sui grandi progetti è, ironicamente, la paura di perdere tempo. Cosa succede se questi grandi progetti falliscono? Tutto il tempo passato su di loro sarebbe stato sprecato.
In realtà probabilmente non è sprecato, in quanto lavorare su progetti impegnativi porta quasi sempre da qualche altra parte.
Ma quello che impedisce di occuparsi dei grandi problemi non può essere solo che non promettono una ricompensa immediata e che potrebbero far perdere molto tempo: se fosse tutto qui, non sarebbe peggio di andare in visita dai suoceri. C'è di più. I grandi problemi sono terrificanti. Occuparsene provoca quasi un dolore fisico. È come avere un aspirapolvere agganciato all’immaginazione: tutte le idee vengono risucchiate immediatamente, e non ne restano più. E comunque, l'aspirapolvere continua ad aspirare.
Un problema grosso non può essere affrontato in modo troppo diretto: meglio avvicinarsi un po’ in obliquo. Aggiustare bene l'angolazione è fondamentale: bisogna riuscire a catturare parte dell'eccitazione che il problema emana, ma senza farsi paralizzare. Una volta iniziato ad affrontare il problema, si può poi passare ad affrontarlo, in maniera sempre più diretta, come una barca che una volta partita inclina la vela sempre più verso il vento.
Se si vuole lavorare sulle cose grandi, pare che si debba ingannare se stessi per poterlo fare. Bisogna lavorare su cose piccole che possono in seguito maturare in cose grandi, o lavorare su cose progressivamente più grandi, o coinvolgere i collaboratori nelle responsabilità. Usare questi trucchi non è segno di debolezza: i risultati migliori sono stati ottenuti proprio in questo modo.
Parlando con persone che sono riuscite a realizzare grandi progetti, ho scoperto che tutte tengono lontane le incombenze, e tutte si sentono colpevoli nel farlo. Non penso che dovrebbero sentirsi colpevoli: ci sono più cose da fare di quanto chiunque potrebbe. Quindi è inevitabile che chi svolge al meglio il proprio lavoro lasci un sacco di incombenze in sospeso: non bisogna sentirsi in colpa per questo.
Penso che il modo migliore per "risolvere" i problemi di procrastinazione sia lasciarsi ispirare dalle cose che ci piacciono, piuttosto che attenersi a una lista di cose da fare.
Lavora su un progetto ambizioso che ti piace veramente, e abbi il coraggio di fare scelte controcorrente: lascerai indietro le cose giuste.
Traduzione in italiano di Dario Ricci dall’essay originale di Paul Graham "Good and Bad Procrastination" [Dicembre 2005].
Molte delle persone più eccezionali che conosco sono incredibili procrastinatori. Potrebbe quindi essere che procrastinare non sia sempre una cosa negativa?
La maggior parte di coloro che scrivono sulla procrastinazione, lo fa per proporre modi per curarla. Ciò, però, è tecnicamente impossibile: c'è un numero infinito di cose che si potrebbero fare: ogni volta che si lavora su una cosa, non si sta lavorando su tutto il resto. Quindi la domanda non è come evitare la procrastinazione, ma come procrastinare BENE.
Ci sono tre tipi di procrastinazione, che dipendono da cosa si fa al posto di occuparsi di una certa cosa: si può fare A - niente, B - qualcosa di meno importante, o C - qualcosa di più importante. Quest’ultimo, suppongo, è il tipo migliore di procrastinazione.
È il caso del professore “con la testa fra le nuvole”, che quando sta pensando a qualcosa di interessante scorda di radersi, di mangiare, o di guardare dove sta andando. La sua testa è assente dalla realtà quotidiana perché è in una realtà parallela in cui sta lavorando a un progetto a cui tiene.
In questo senso le persone più eccezionali sono dei procrastinatori! Sono dei procrastinatori di tipo C: rimandano le piccole cose per dedicarsi a quelle più importanti.
Quali sono le "piccole cose”? Approssimatamente, tutto ciò che non ha speranza di essere citato nel proprio necrologio. È difficile dire in anticipo quale sarà il proprio lavoro migliore: sarà un’opera magna sull'architettura dei templi Sumeri, o un poliziesco scritto sotto falso nome? C’è invece un'intera classe di attività per cui di certo non verremo ricordati: fare la lavatrice, pulire casa, scrivere biglietti di auguri. Si tratta di attività che possono senza dubbio essere catalogate come “piccole incombenze”.
La procrastinazione è positiva quando permette di evitare queste piccole incombenze per occuparsi delle parti del lavoro che veramente contano.
Le persone che vorrebbero che ci occupassimo di queste “piccole incombenze” probabilmente non riterranno questo tipo di procrastinazione altrettanto positiva. Ma forse sono poi le stesse persone con cui dobbiamo insistere di più per ottenere le cose fatte. Invece le persone che decidono di dedicare il loro tempo a progetti veramente importanti, anche quelle che all’apparenza sembrano più miti, diventano inflessibili quando si tratta di evitare le “piccole incombenze”.
Alcune piccole incombenze, come rispondere alle lettere, se ignorate svaniscono da sole - anche se probabilmente insieme a loro svaniscono anche gli amici. Altre, come falciare il prato, o pagare le tasse, se rimandate non fanno altro che peggiorare. In linea di principio sarebbe meglio non rimandare questo tipo di incombenze: sono cose che prima o poi sarà comunque necessario fare. Perché quindi non “farlo ora”, come recitano gli avvisi di mancato pagamento?
Il motivo per cui conviene mettere da parte anche le incombenze che se rimandate peggiorano, è che le parti del lavoro che veramente contano hanno bisogno di due cose di cui le incombenze non hanno bisogno: tanto tempo e l'umore giusto. Se un progetto ci ispira, può valere la pena di rimandare tutto quello che avremmo dovuto fare nei giorni successivi per concentrarci solo su quello. È vero, quando decideremo di occuparci delle incombenze che abbiamo procrastinato probabilmente potremmo metterci più tempo rispetto a quanto ce ne avremmo messo se le avessimo fatte subito. Ma se in quei giorni riusciamo a essere molto produttivi, probabilmente il risultato finale sarà migliore.
Potrebbe essere che la differenza dipenda dal TIPO di lavoro, piuttosto che dalla quantità di tempo necessario per portarlo a termine. Potrebbero esserci lavori cui è necessario dedicare periodi di tempo lunghi e ininterrotti, piuttosto che dividerli in tanti piccoli slot. Quando penso alle persone che conosco che hanno fatto grandi cose, non le immagino a spuntare diligentemente una lista di cose da fare: le immagino sgattaiolare via per lavorare su qualche idea innovativa.
Al contrario, forzare qualcuno a occuparsi di incombenze in un tempo prestabilito mette un limite alla sua produttività. Un'interruzione non è negativa solo per il tempo che sottrae, ma anche perché fa perdere la concentrazione. Probabilmente basta interrompere qualcuno anche solo un paio di volte al giorno per impedirgli di occuparsi efficacemente di problemi di una certa complessità.
Mi sono chiesto parecchie volte perché le startup siano più produttive all’inizio, quando sono solo due ragazzi in un appartamento. La ragione principale potrebbe essere che ancora non c'è nessuno a interromperli. In teoria, il fatto che i founder arrivino ad avere abbastanza soldi per assumere persone che facciano parte del lavoro dovrebbe essere positivo. Ma il superlavoro potrebbe essere meglio delle interruzioni: il rischio è che diluendo una startup con procrastinatori di tipo B, l'intera azienda cominci a risuonare alla loro frequenza. Sono guidati dalle interruzioni, e in breve lo diventano anche i founder.
Le piccole incombenze sono così efficaci nell’affossare i grandi progetti che un sacco di gente le usa proprio per quello scopo. Chi decide di scrivere un romanzo, per esempio, si renderà improvvisamente conto del fatto che la casa ha bisogno di essere pulita. Chi non riesce a scrivere un romanzo non lo fa stando seduto per giorni di fronte a una pagina bianca senza scrivere niente. Lo fa dando da mangiare al gatto, andando a comprare qualcosa per la casa, incontrando un amico per un caffè, leggendo la posta. "Non ho tempo per lavorare," dicono. E in effetti è vero che non hanno tempo di lavorare; hanno fatto in modo che fosse proprio così.
Un’altra variante del problema è quella in cui non si ha un posto per lavorare. La soluzione è andare a visitare i posti in cui hanno lavorato personaggi famosi, e rendersi conto di quanto fossero inadatti.
Io stesso ho usato entrambe queste scuse in diversi momenti. Negli ultimi 20 anni ho imparato un sacco di trucchi per farmi restar e sul pezzo, ma anche adesso non sempre ce la faccio. Certi giorni riesco a dedicarmi alle parti del lavoro che veramente contano; altri, invece, vengo fagocitato dalle incombenze. E so che di solito è colpa mia: sono io che permetto alle incombenze di fagocitare la mia giornata per evitare di occuparmi di qualche problema davvero difficile.
La forma più pericolosa di procrastinazione è quella di tipo B, ossia fare cose poco importanti, perché non sembra procrastinazione. Del resto si stanno "facendo delle cose": semplicemente, quelle sbagliate.
Qualsiasi consiglio sulla procrastinazione basato sull’utilizzo di una lista di cose da fare rischia di essere fuorviante, se non considera la possibilità che le attività contenute in quella lista siano esse stesse una forma di procrastinazione di tipo B. In realtà, quasi tutti sono in questa condizione. A meno che non si stia lavorando sulla cosa più importante di cui ci si potrebbe occupare, tutti sono procrastinatori di tipo B, indipendentemente da quante cose riescano a fare.
Nel suo famoso saggio "Tu e la tua ricerca" - lettura che consiglio a chiunque sia ambizioso, non importa di cosa si occupi - Richard Hamming suggerisce di fare a se stessi tre domande:
1) “Quali sono i problemi più importanti nel tuo campo?”
2) “Stai lavorando su uno di quelli?”
3) “E perché no?”
Hamming lavorava ai Laboratori Bell quando iniziò a porre queste domande. In linea di principio, chiunque dovrebbe essere in grado di lavorare sui problemi più importanti nel proprio campo. Forse non tutti possono lasciare un segno altrettanto sensazionale nel mondo, non ne ho idea. Ma qualunque siano le proprie capacità, ci sono progetti che le portano ai limiti. Quindi l’esercizio di Hamming può essere generalizzato come segue:
- “Qual è la cosa migliore sulla quale potresti lavorare? E perché non lo fai?”
La maggior parte delle persone si schermisce davanti a questa domanda. Anch'io lo faccio: la vedo sulla pagina e passo velocemente alla frase successiva. Hamming prese l'abitudine di andare in giro a fare queste domande, e ciò non lo rese molto popolare. È una domanda però che qualunque persona ambiziosa dovrebbe affrontare.
Il problema è che usando quest'esca si potrebbe finire per prendere un pesce veramente grosso. Per fare un buon lavoro, trovare buoni progetti non basta. Quando li si trova, bisogna iniziare a lavorarci su, cosa che può risultare difficile. Più il problema è grosso, più difficile è mettersi all'opera.
Ovviamente la ragione per cui le persone trovano difficile lavorare su un particolare problema è che non le diverte. Quando si è giovani, in particolare, spesso si è costretti a lavorare su cose che non piacciono - perché troppo complesse, per esempio, o perché lo si è ricevuto come compito. Molti studenti delle superiori si bloccano lavorando su problemi grossi che non li divertono affatto, e scuola superiore è quindi sinonimo di procrastinazione.
Ma anche quando lavoriamo a un progetto che ci appassiona, spesso decidiamo di partire dai problemi più piccoli piuttosto che da quelli più grossi. Perché? Perché è così difficile dedicarsi ai problemi più grossi? Uno dei motivi è che si potrebbe non ricevere alcuna ricompensa nel prossimo futuro. Invece, lavorando su un problema che può essere risolto in un giorno o due, ci si aspetta di poter assaporare velocemente un senso di appagamento. Una ricompensa indefinitamente lontana nel futuro, invece, ci sembra meno vera.
Un'altra ragione per cui non si lavora sui grandi progetti è, ironicamente, la paura di perdere tempo. Cosa succede se questi grandi progetti falliscono? Tutto il tempo passato su di loro sarebbe stato sprecato.
In realtà probabilmente non è sprecato, in quanto lavorare su progetti impegnativi porta quasi sempre da qualche altra parte.
Ma quello che impedisce di occuparsi dei grandi problemi non può essere solo che non promettono una ricompensa immediata e che potrebbero far perdere molto tempo: se fosse tutto qui, non sarebbe peggio di andare in visita dai suoceri. C'è di più. I grandi problemi sono terrificanti. Occuparsene provoca quasi un dolore fisico. È come avere un aspirapolvere agganciato all’immaginazione: tutte le idee vengono risucchiate immediatamente, e non ne restano più. E comunque, l'aspirapolvere continua ad aspirare.
Un problema grosso non può essere affrontato in modo troppo diretto: meglio avvicinarsi un po’ in obliquo. Aggiustare bene l'angolazione è fondamentale: bisogna riuscire a catturare parte dell'eccitazione che il problema emana, ma senza farsi paralizzare. Una volta iniziato ad affrontare il problema, si può poi passare ad affrontarlo, in maniera sempre più diretta, come una barca che una volta partita inclina la vela sempre più verso il vento.
Se si vuole lavorare sulle cose grandi, pare che si debba ingannare se stessi per poterlo fare. Bisogna lavorare su cose piccole che possono in seguito maturare in cose grandi, o lavorare su cose progressivamente più grandi, o coinvolgere i collaboratori nelle responsabilità. Usare questi trucchi non è segno di debolezza: i risultati migliori sono stati ottenuti proprio in questo modo.
Parlando con persone che sono riuscite a realizzare grandi progetti, ho scoperto che tutte tengono lontane le incombenze, e tutte si sentono colpevoli nel farlo. Non penso che dovrebbero sentirsi colpevoli: ci sono più cose da fare di quanto chiunque potrebbe. Quindi è inevitabile che chi svolge al meglio il proprio lavoro lasci un sacco di incombenze in sospeso: non bisogna sentirsi in colpa per questo.
Penso che il modo migliore per "risolvere" i problemi di procrastinazione sia lasciarsi ispirare dalle cose che ci piacciono, piuttosto che attenersi a una lista di cose da fare.
Lavora su un progetto ambizioso che ti piace veramente, e abbi il coraggio di fare scelte controcorrente: lascerai indietro le cose giuste.