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Traduzione in italiano di Gaia Salizzoni dall’essay originale di Paul Graham "Is It Worth Being Wise?" [Febbraio 2007].
Qualche giorno fa ho finalmente capito una cosa che mi sono chiesto per 25 anni: il rapporto tra saggezza e intelligenza. Chiunque può vedere che non sono la stessa cosa dal numero di persone che sono intelligenti, ma non molto sagge. Eppure intelligenza e saggezza sembrano correlate. Come?
Cos'è la saggezza? Direi che è sapere cosa fare in molte situazioni. E non sto cercando di fare un discorso profondo sulla vera natura della saggezza, ma solo di capire come usiamo questa parola. Una persona saggia è una persona che di solito sa qual è la cosa giusta da fare. Ma essere intelligenti non è anche sapere cosa fare in certe situazioni? Per esempio, sapere cosa fare quando la maestra vi dice, alle elementari, di contare tutti i numeri da 1 a 100?
Alcuni sostengono che la saggezza e l'intelligenza si applicano a tipi diversi di problemi: la saggezza ai problemi umani e l'intelligenza a quelli astratti. Ma non è vero. Alcune forme di saggezza non hanno nulla a che fare con le persone: per esempio, la saggezza dell'ingegnere che sa che certe strutture sono meno inclini al fallimento di altre. E certamente le persone intelligenti possono trovare soluzioni intelligenti ai problemi umani e a quelli astratti.
Un'altra spiegazione popolare è che la saggezza deriva dall'esperienza, mentre l'intelligenza è innata. Ma le persone non sono semplicemente sagge in proporzione alla quantità di esperienza che hanno. Oltre all'esperienza, alla saggezza devono contribuire altri fattori, alcuni dei quali sono innati - ad esempio, una predisposizione alla riflessione.
Nessuna delle due spiegazioni convenzionali della differenza tra saggezza e intelligenza regge all'esame. Allora qual è la differenza?
Se proviamo a osservare come le persone usano le parole "saggio" e "intelligente", ciò che sembra differenziarle è un tipo diverso di performance.
Curva
"Saggio" e "intelligente" sono entrambi modi per dire che qualcuno sa cosa fare. La differenza è che "saggio" significa che si ottiene un risultato medio elevato in tutte le situazioni, mentre "intelligente" che si ottiene un risultato spettacolare in alcune situazioni. In altre parole, se si disponesse di un grafico in cui l'asse delle x rappresenta le situazioni e l'asse delle y i risultati, il grafico della persona saggia sarebbe complessivamente alto, mentre quello della persona intelligente avrebbe dei picchi.
La distinzione è simile alla regola secondo cui si dovrebbe giudicare il talento al suo meglio e il carattere al suo peggio. Solo che si giudica l'intelligenza in base al suo meglio e la saggezza in base alla sua media. Una persona saggia sa cosa fare nella maggior parte delle situazioni, mentre una persona intelligente sa cosa fare in situazioni in cui pochi altri potrebbero farlo.
Dobbiamo fare attenzione a un’altra cosa: dovremmo ignorare i casi in cui qualcuno sa cosa fare perché ha informazioni interne. Per quanto semplice, questa spiegazione prevede, o almeno concorda, con entrambe le storie convenzionali sulla distinzione tra saggezza e intelligenza. I problemi umani sono i più comuni, quindi essere bravi a risolverli è fondamentale per ottenere un risultato medio elevato. E sembra naturale che un risultato medio alto dipenda soprattutto dall'esperienza, ma che picchi eclatanti possano essere raggiunti solo da persone con delle qualità rare e innate: quasi tutti possono imparare a essere bravi nuotatori, ma per essere nuotatori olimpionici occorre una certa corporatura.
Questa spiegazione suggerisce anche perché la saggezza è un concetto così sfuggente: non esiste. "Saggio" significa che una persona è mediamente brava a fare la scelta giusta. Ma dare il nome di "saggezza" alla presunta qualità che permette di farlo non significa che questa cosa esista. Nella misura in cui la "saggezza" significa qualcosa, si riferisce a un insieme di qualità diverse come l'autodisciplina, l'esperienza e l'empatia.
Allo stesso modo, anche se "intelligente" ha un significato, se insistiamo nel cercare un'unica cosa chiamata "intelligenza", andiamo incontro a problemi. E qualunque siano le sue componenti, non sono tutte innate. Usiamo la parola "intelligente" come indicazione di capacità: una persona intelligente può capire cose che pochi altri potrebbero capire. Sembra probabile che ci sia una predisposizione innata all'intelligenza (e anche alla saggezza), ma questa predisposizione non è di per sé intelligenza.
Uno dei motivi per cui tendiamo a pensare all'intelligenza come qualcosa di innato è che chi cerca di misurarla si è concentrata su i suoi aspetti più misurabili. Una qualità innata sarà ovviamente più comoda da lavorare rispetto a una qualità influenzata dall'esperienza, che potrebbe quindi variare nel corso di uno studio di ricerca.
Il problema nasce quando applichiamo la parola "intelligenza" a ciò che si sta misurando. Se si sta misurando qualcosa di innato, non si può misurare l'intelligenza. I bambini di tre anni non sono intelligenti. Quando ne descriviamo uno come intelligente, è un modo per dire che è "più intelligente di altri bambini di tre anni".
Divisione
Forse è un tecnicismo sottolineare che la predisposizione all'intelligenza non è la stessa cosa dell'intelligenza. Ma è un tecnicismo importante, perché ci ricorda che tutti noi possiamo diventare più intelligenti, così come possiamo diventare più saggi. La cosa allarmante è che potremmo dover scegliere tra le due cose. Se la saggezza e l'intelligenza sono la media e i picchi della stessa curva, allora convergono man mano che il numero di punti sulla curva diminuisce. Se c'è un solo punto, sono identici: la media e il massimo sono uguali. Ma quando il numero di punti aumenta, la saggezza e l'intelligenza divergono. E storicamente il numero di punti sulla curva sembra essere aumentato: la nostra capacità viene messa alla prova in una gamma sempre più ampia di situazioni.
Ai tempi di Confucio e Socrate, sembra che le persone considerassero la saggezza, l'apprendimento e l'intelligenza più strettamente correlate di quanto non lo siano oggi. Distinguere tra "saggio" e "intelligente" è un'abitudine moderna. E il motivo per cui lo facciamo è che le due cose si sono differenziate. Man mano che la conoscenza si specializza, ci sono più punti sulla curva e la distinzione tra i picchi e la media diventa più netta, come un'immagine digitale resa con più pixel.
Ma il cambiamento più eclatante, dato che intelligenza e saggezza si allontanano, è che potremmo dover decidere quale preferiamo. La società sembra aver votato per l'intelligenza. Non ammiriamo più il saggio, o almeno non come si faceva duemila anni fa. Ora ammiriamo il genio. Perché in realtà la distinzione di cui parlavamo ha un effetto piuttosto brutale: così come si può essere intelligenti senza essere molto saggi, si può essere saggi senza essere molto intelligenti. E questo non sembra particolarmente ammirevole.
Questo ci porta a James Bond, che sa cosa fare in molte situazioni, ma che deve affidarsi a Q per quelle che prevedono della matematica. In effetti, una media elevata può contribuire a sostenere picchi elevati. Ma ci sono ragioni per credere che a un certo punto si debba scegliere tra le due. Uno di questi è l'esempio delle persone molto intelligenti, che spesso sono così poco sagge che nella cultura popolare questo sembra essere considerato la regola piuttosto che l'eccezione. Forse il professore distratto è saggio a suo modo, o più saggio di quanto sembri, ma non lo è nel modo in cui Confucio o Socrate volevano che le persone fossero.
Novità
Sia per Confucio che per Socrate, saggezza, virtù e felicità erano necessariamente correlate. Il saggio era colui che sapeva qual era la scelta giusta e la faceva sempre; per essere la scelta giusta, doveva essere moralmente corretta; era quindi sempre felice, sapendo di aver fatto il meglio che poteva. Non riesco a pensare a molti filosofi antichi che sarebbero stati in disaccordo con questo, per quanto possa valere. "L'uomo superiore è sempre felice; l'uomo piccolo è triste", diceva Confucio.
Qualche anno fa, invece, ho letto un'intervista a un matematico che diceva che la maggior parte delle notti andava a letto scontento, sentendo di non aver fatto abbastanza progresso. È vero, le parole cinesi e greche che traduciamo con "felice" non significavano esattamente ciò che intendiamo noi, ma c'è abbastanza sovrapposizione da far sì che questa osservazione le contraddica.
Il matematico è un uomo piccolo perché è scontento? No, sta solo facendo un tipo di lavoro che non era molto comune ai tempi di Confucio. La conoscenza umana sembra crescere in modo frattale. Di volta in volta, qualcosa che sembrava un'area piccola e priva di interesse - persino un errore sperimentale - si rivela, quando esaminato da vicino, avere un contenuto pari a quello di tutta la conoscenza fino a quel momento. Molti dei germogli frattali che sono esplosi fin dall'antichità riguardano l'invenzione e la scoperta di cose nuove. La matematica, ad esempio, un tempo era un'attività svolta part-time da poche persone. Ora è la carriera di migliaia di persone.
Di recente ho trascorso un po' di tempo a dare consigli alle persone e ho scoperto che l'antica regola funziona ancora: cercare di capire la situazione nel miglior modo possibile, dare il miglior consiglio possibile in base alla propria esperienza e poi non preoccuparsi, sapendo di aver fatto tutto il possibile. Ma quando scrivo un saggio non provo assolutamente questa serenità. Anzi, sono preoccupato. E se finisco le idee? E quando scrivo, quattro sere su cinque vado a letto scontento, con la sensazione di non aver fatto abbastanza.
Consigliare le persone e scrivere sono tipi di lavoro fondamentalmente diversi. Quando le persone si rivolgono a te con un problema e tu devi capire quale sia la cosa giusta da fare, non devi (di solito) inventare nulla. Devi solo soppesare le alternative e cercare di giudicare quale sia la scelta più prudente. Ma questa stessa prudenza non può dirmi quale frase scrivere in un saggio. Una persona come un giudice o un ufficiale militare può essere guidata, in gran parte del suo lavoro, dal dovere, ma il dovere non è una guida nel fare le cose. I creatori dipendono da qualcosa di più precario: l'ispirazione. E come la maggior parte delle persone che conducono un'esistenza precaria, tendono a essere preoccupati, non contenti. In questo senso sono più simili al piccolo uomo dei tempi di Confucio, con la fame possibilmente sempre alla porta. Solo che invece di essere in balia dei raccolti, sono in balia della loro stessa immaginazione.
Limiti
Per me è stato un sollievo rendermi conto che essere scontenti potrebbe essere giusto. L'idea che una persona di successo debba essere felice ha un’eredità di migliaia di anni. Se ero bravo, perché non avevo la sicurezza che si suppone abbiano i vincitori? Ma questo, ora credo, è come se un corridore chiedesse: "Se sono un atleta così bravo, perché mi sento così stanco?". I bravi corridori si stancano comunque, solo che si stancano a velocità più elevate. Le persone il cui lavoro consiste nell'inventare o scoprire cose si trovano nella stessa posizione del corridore.
Non c'è modo di fare del proprio meglio, perché non c'è limite a ciò che si può fare. Il massimo che si può fare è paragonarsi ad altre persone. Ma più cose si fanno, meno questo conta. Un laureando a cui viene pubblicato qualcosa si sente una star. Ma per chi è ai vertici del settore, dov’è l’asticella? Chi corre può almeno confrontarsi con altri che fanno esattamente la stessa cosa; se si vince una medaglia d'oro olimpica, si può essere abbastanza soddisfatti, anche se si pensa che si sarebbe potuto correre un po' più velocemente. Ma cosa deve fare un romanziere?
Se invece fate un lavoro in cui vi vengono presentati dei problemi e dovete scegliere tra diverse alternative, c'è un limite massimo alle vostre prestazioni: scegliere sempre la migliore. Nelle società antiche, quasi tutti i lavori sembrano essere stati di questo tipo. Il contadino doveva decidere se valeva la pena rammendare un indumento e il re se invadere o meno il suo vicino, ma non ci si aspettava che nessuno dei due inventasse qualcosa. In linea di principio avrebbero potuto farlo; il re avrebbe potuto inventare le armi da fuoco e poi invadere il suo vicino. Ma in pratica le innovazioni erano così rare che non ci si aspettava che le facessero loro, così come non ci si aspetta che i portieri facciano gol.
In pratica, sembrava che ci fosse una decisione corretta in ogni situazione, e che se la prendevi avevi fatto il tuo lavoro alla perfezione, proprio come si considera che un portiere che impedisce all'altra squadra di segnare abbia giocato una partita perfetta. Ancora oggi, la maggior parte delle persone svolge un lavoro in cui vengono posti loro dei problemi e devono scegliere l'alternativa migliore. Ma con la crescente specializzazione della conoscenza, ci sono sempre più tipi di lavoro in cui le persone devono inventare cose nuove e in cui il rendimento è quindi illimitato. L'intelligenza è diventata sempre più importante rispetto alla saggezza, perché c'è più spazio per i picchi.
Ricette
Un altra cosa che ci suggerisce che dovremmo dover scegliere tra intelligenza e saggezza è la diversità delle loro ricette. La saggezza sembra derivare in gran parte dalla correzione delle qualità infantili e l'intelligenza dal coltivarle.
Le ricette per la saggezza, soprattutto quelle antiche, tendono ad avere un carattere correttivo. Per raggiungere la saggezza bisogna eliminare tutti i detriti che riempiono la testa quando si esce dall'infanzia, lasciando solo le cose importanti. Sia l'autocontrollo che l'esperienza hanno questo effetto: eliminare i pregiudizi che derivano rispettivamente dalla propria natura e dal contesto in cui si è cresciuti.
La saggezza non è solo questo, ma in gran parte sì. Molto di quello che c'è nella testa di un saggio è anche nella testa di un dodicenne. La differenza è che nella testa del dodicenne è mescolato con un sacco di spazzatura.
La ricetta per l'intelligenza sembra essere, invece, lavorare a problemi difficili. Si sviluppa l'intelligenza come si sviluppano i muscoli, attraverso l'esercizio. Ma non ci può essere troppa costrizione. Nessuna disciplina può sostituire la genuina curiosità. Perciò coltivare l'intelligenza sembra essere una questione di identificare qualche pregiudizio nel proprio carattere, qualche tendenza a interessarsi a certi tipi di cose, e coltivarlo. Invece di cancellare le proprie idiosincrasie nel tentativo di diventare un contenitore neutro per la verità, se ne seleziona una e si cerca di farla crescere da piantina ad albero.
I saggi sono tutti molto simili nella loro saggezza, ma le persone molto intelligenti tendono ad essere intelligenti in modi distinti. Forse uno dei motivi per cui le scuole funzionano male è che cercano di far germogliare intelligenza usando ricette per la saggezza.
La maggior parte delle ricette di saggezza ha un elemento di sottomissione. Come minimo, si deve fare quello che dice l'insegnante. Le ricette più estreme mirano ad abbattere l’individualità come in un l'addestramento militare. Ma questa non è la strada per l'intelligenza: mentre la saggezza passa attraverso l'umiltà, per coltivare l'intelligenza, può essere utile avere un'opinione anche erroneamente alta delle proprie capacità, perché ciò incoraggia a continuare a lavorare. Il motivo per cui è difficile imparare nuove abilità in tarda età non è solo che il cervello è meno malleabile. Un altro ostacolo, probabilmente ancora peggiore, è che si hanno standard più elevati.
Mi rendo conto che siamo su un terreno scivoloso. Non sto proponendo che l'obiettivo primario dell'istruzione sia quello di aumentare l'"autostima" degli studenti. Questo non farebbe altro che alimentare la pigrizia. E in ogni caso, non inganna i ragazzi, non quelli intelligenti. Un insegnante deve percorrere un sentiero stretto: vuole incoraggiare i ragazzi a inventarsi qualcosa da soli, ma non può limitarsi ad applaudire a tutto ciò che producono. Deve essere un buon pubblico: apprezzabile, ma non troppo facilmente impressionabile. E questo richiede molto lavoro. Bisogna avere una conoscenza sufficientemente buona delle capacità dei bambini a diverse età per sapere quando è il caso di sorprenderli.
Tradizionalmente lo studente è il pubblico, non l'insegnante; il compito dello studente non è quello di inventare, ma di assorbire un certo numero di materiali prescritti. Il problema di queste vecchie tradizioni è che sono troppo influenzate dalle ricette di saggezza.
Diverso
Ho volutamente dato a questo saggio un titolo provocatorio: ovviamente vale la pena essere saggi. Ma credo che sia importante capire il rapporto tra intelligenza e saggezza, e in particolare quello che sembra essere il crescente divario tra loro. In questo modo possiamo evitare di applicare all'intelligenza regole e norme che in realtà sono destinate alla saggezza.
Questi due termini per dire "sapere cosa fare" sono più diversi di quanto la maggior parte delle persone si renda conto. La strada per la saggezza passa attraverso la disciplina, mentre quella per l'intelligenza attraverso un'autoindulgenza accuratamente selezionata. La saggezza è universale, mentre l'intelligenza è idiosincratica. E mentre la saggezza porta alla calma, l'intelligenza porta spesso all'insoddisfazione.
Un amico fisico mi ha detto di recente che metà del suo dipartimento prendeva il Prozac. Forse se riconosciamo che una certa dose di frustrazione è inevitabile in certi tipi di lavoro, possiamo attenuarne gli effetti. Forse possiamo inscatolarla e metterla da parte per un po' di tempo, invece di lasciare che fluisca insieme alla tristezza di tutti i giorni per produrre quello che sembra un bacino di dimensioni allarmanti. Se vi sentite esausti, non è detto che ci sia qualcosa di sbagliato in voi. Forse state solo correndo troppo.
Traduzione in italiano di Gaia Salizzoni dall’essay originale di Paul Graham "Is It Worth Being Wise?" [Febbraio 2007].
Qualche giorno fa ho finalmente capito una cosa che mi sono chiesto per 25 anni: il rapporto tra saggezza e intelligenza. Chiunque può vedere che non sono la stessa cosa dal numero di persone che sono intelligenti, ma non molto sagge. Eppure intelligenza e saggezza sembrano correlate. Come?
Cos'è la saggezza? Direi che è sapere cosa fare in molte situazioni. E non sto cercando di fare un discorso profondo sulla vera natura della saggezza, ma solo di capire come usiamo questa parola. Una persona saggia è una persona che di solito sa qual è la cosa giusta da fare. Ma essere intelligenti non è anche sapere cosa fare in certe situazioni? Per esempio, sapere cosa fare quando la maestra vi dice, alle elementari, di contare tutti i numeri da 1 a 100?
Alcuni sostengono che la saggezza e l'intelligenza si applicano a tipi diversi di problemi: la saggezza ai problemi umani e l'intelligenza a quelli astratti. Ma non è vero. Alcune forme di saggezza non hanno nulla a che fare con le persone: per esempio, la saggezza dell'ingegnere che sa che certe strutture sono meno inclini al fallimento di altre. E certamente le persone intelligenti possono trovare soluzioni intelligenti ai problemi umani e a quelli astratti.
Un'altra spiegazione popolare è che la saggezza deriva dall'esperienza, mentre l'intelligenza è innata. Ma le persone non sono semplicemente sagge in proporzione alla quantità di esperienza che hanno. Oltre all'esperienza, alla saggezza devono contribuire altri fattori, alcuni dei quali sono innati - ad esempio, una predisposizione alla riflessione.
Nessuna delle due spiegazioni convenzionali della differenza tra saggezza e intelligenza regge all'esame. Allora qual è la differenza?
Se proviamo a osservare come le persone usano le parole "saggio" e "intelligente", ciò che sembra differenziarle è un tipo diverso di performance.
Curva
"Saggio" e "intelligente" sono entrambi modi per dire che qualcuno sa cosa fare. La differenza è che "saggio" significa che si ottiene un risultato medio elevato in tutte le situazioni, mentre "intelligente" che si ottiene un risultato spettacolare in alcune situazioni. In altre parole, se si disponesse di un grafico in cui l'asse delle x rappresenta le situazioni e l'asse delle y i risultati, il grafico della persona saggia sarebbe complessivamente alto, mentre quello della persona intelligente avrebbe dei picchi.
La distinzione è simile alla regola secondo cui si dovrebbe giudicare il talento al suo meglio e il carattere al suo peggio. Solo che si giudica l'intelligenza in base al suo meglio e la saggezza in base alla sua media. Una persona saggia sa cosa fare nella maggior parte delle situazioni, mentre una persona intelligente sa cosa fare in situazioni in cui pochi altri potrebbero farlo.
Dobbiamo fare attenzione a un’altra cosa: dovremmo ignorare i casi in cui qualcuno sa cosa fare perché ha informazioni interne. Per quanto semplice, questa spiegazione prevede, o almeno concorda, con entrambe le storie convenzionali sulla distinzione tra saggezza e intelligenza. I problemi umani sono i più comuni, quindi essere bravi a risolverli è fondamentale per ottenere un risultato medio elevato. E sembra naturale che un risultato medio alto dipenda soprattutto dall'esperienza, ma che picchi eclatanti possano essere raggiunti solo da persone con delle qualità rare e innate: quasi tutti possono imparare a essere bravi nuotatori, ma per essere nuotatori olimpionici occorre una certa corporatura.
Questa spiegazione suggerisce anche perché la saggezza è un concetto così sfuggente: non esiste. "Saggio" significa che una persona è mediamente brava a fare la scelta giusta. Ma dare il nome di "saggezza" alla presunta qualità che permette di farlo non significa che questa cosa esista. Nella misura in cui la "saggezza" significa qualcosa, si riferisce a un insieme di qualità diverse come l'autodisciplina, l'esperienza e l'empatia.
Allo stesso modo, anche se "intelligente" ha un significato, se insistiamo nel cercare un'unica cosa chiamata "intelligenza", andiamo incontro a problemi. E qualunque siano le sue componenti, non sono tutte innate. Usiamo la parola "intelligente" come indicazione di capacità: una persona intelligente può capire cose che pochi altri potrebbero capire. Sembra probabile che ci sia una predisposizione innata all'intelligenza (e anche alla saggezza), ma questa predisposizione non è di per sé intelligenza.
Uno dei motivi per cui tendiamo a pensare all'intelligenza come qualcosa di innato è che chi cerca di misurarla si è concentrata su i suoi aspetti più misurabili. Una qualità innata sarà ovviamente più comoda da lavorare rispetto a una qualità influenzata dall'esperienza, che potrebbe quindi variare nel corso di uno studio di ricerca.
Il problema nasce quando applichiamo la parola "intelligenza" a ciò che si sta misurando. Se si sta misurando qualcosa di innato, non si può misurare l'intelligenza. I bambini di tre anni non sono intelligenti. Quando ne descriviamo uno come intelligente, è un modo per dire che è "più intelligente di altri bambini di tre anni".
Divisione
Forse è un tecnicismo sottolineare che la predisposizione all'intelligenza non è la stessa cosa dell'intelligenza. Ma è un tecnicismo importante, perché ci ricorda che tutti noi possiamo diventare più intelligenti, così come possiamo diventare più saggi. La cosa allarmante è che potremmo dover scegliere tra le due cose. Se la saggezza e l'intelligenza sono la media e i picchi della stessa curva, allora convergono man mano che il numero di punti sulla curva diminuisce. Se c'è un solo punto, sono identici: la media e il massimo sono uguali. Ma quando il numero di punti aumenta, la saggezza e l'intelligenza divergono. E storicamente il numero di punti sulla curva sembra essere aumentato: la nostra capacità viene messa alla prova in una gamma sempre più ampia di situazioni.
Ai tempi di Confucio e Socrate, sembra che le persone considerassero la saggezza, l'apprendimento e l'intelligenza più strettamente correlate di quanto non lo siano oggi. Distinguere tra "saggio" e "intelligente" è un'abitudine moderna. E il motivo per cui lo facciamo è che le due cose si sono differenziate. Man mano che la conoscenza si specializza, ci sono più punti sulla curva e la distinzione tra i picchi e la media diventa più netta, come un'immagine digitale resa con più pixel.
Ma il cambiamento più eclatante, dato che intelligenza e saggezza si allontanano, è che potremmo dover decidere quale preferiamo. La società sembra aver votato per l'intelligenza. Non ammiriamo più il saggio, o almeno non come si faceva duemila anni fa. Ora ammiriamo il genio. Perché in realtà la distinzione di cui parlavamo ha un effetto piuttosto brutale: così come si può essere intelligenti senza essere molto saggi, si può essere saggi senza essere molto intelligenti. E questo non sembra particolarmente ammirevole.
Questo ci porta a James Bond, che sa cosa fare in molte situazioni, ma che deve affidarsi a Q per quelle che prevedono della matematica. In effetti, una media elevata può contribuire a sostenere picchi elevati. Ma ci sono ragioni per credere che a un certo punto si debba scegliere tra le due. Uno di questi è l'esempio delle persone molto intelligenti, che spesso sono così poco sagge che nella cultura popolare questo sembra essere considerato la regola piuttosto che l'eccezione. Forse il professore distratto è saggio a suo modo, o più saggio di quanto sembri, ma non lo è nel modo in cui Confucio o Socrate volevano che le persone fossero.
Novità
Sia per Confucio che per Socrate, saggezza, virtù e felicità erano necessariamente correlate. Il saggio era colui che sapeva qual era la scelta giusta e la faceva sempre; per essere la scelta giusta, doveva essere moralmente corretta; era quindi sempre felice, sapendo di aver fatto il meglio che poteva. Non riesco a pensare a molti filosofi antichi che sarebbero stati in disaccordo con questo, per quanto possa valere. "L'uomo superiore è sempre felice; l'uomo piccolo è triste", diceva Confucio.
Qualche anno fa, invece, ho letto un'intervista a un matematico che diceva che la maggior parte delle notti andava a letto scontento, sentendo di non aver fatto abbastanza progresso. È vero, le parole cinesi e greche che traduciamo con "felice" non significavano esattamente ciò che intendiamo noi, ma c'è abbastanza sovrapposizione da far sì che questa osservazione le contraddica.
Il matematico è un uomo piccolo perché è scontento? No, sta solo facendo un tipo di lavoro che non era molto comune ai tempi di Confucio. La conoscenza umana sembra crescere in modo frattale. Di volta in volta, qualcosa che sembrava un'area piccola e priva di interesse - persino un errore sperimentale - si rivela, quando esaminato da vicino, avere un contenuto pari a quello di tutta la conoscenza fino a quel momento. Molti dei germogli frattali che sono esplosi fin dall'antichità riguardano l'invenzione e la scoperta di cose nuove. La matematica, ad esempio, un tempo era un'attività svolta part-time da poche persone. Ora è la carriera di migliaia di persone.
Di recente ho trascorso un po' di tempo a dare consigli alle persone e ho scoperto che l'antica regola funziona ancora: cercare di capire la situazione nel miglior modo possibile, dare il miglior consiglio possibile in base alla propria esperienza e poi non preoccuparsi, sapendo di aver fatto tutto il possibile. Ma quando scrivo un saggio non provo assolutamente questa serenità. Anzi, sono preoccupato. E se finisco le idee? E quando scrivo, quattro sere su cinque vado a letto scontento, con la sensazione di non aver fatto abbastanza.
Consigliare le persone e scrivere sono tipi di lavoro fondamentalmente diversi. Quando le persone si rivolgono a te con un problema e tu devi capire quale sia la cosa giusta da fare, non devi (di solito) inventare nulla. Devi solo soppesare le alternative e cercare di giudicare quale sia la scelta più prudente. Ma questa stessa prudenza non può dirmi quale frase scrivere in un saggio. Una persona come un giudice o un ufficiale militare può essere guidata, in gran parte del suo lavoro, dal dovere, ma il dovere non è una guida nel fare le cose. I creatori dipendono da qualcosa di più precario: l'ispirazione. E come la maggior parte delle persone che conducono un'esistenza precaria, tendono a essere preoccupati, non contenti. In questo senso sono più simili al piccolo uomo dei tempi di Confucio, con la fame possibilmente sempre alla porta. Solo che invece di essere in balia dei raccolti, sono in balia della loro stessa immaginazione.
Limiti
Per me è stato un sollievo rendermi conto che essere scontenti potrebbe essere giusto. L'idea che una persona di successo debba essere felice ha un’eredità di migliaia di anni. Se ero bravo, perché non avevo la sicurezza che si suppone abbiano i vincitori? Ma questo, ora credo, è come se un corridore chiedesse: "Se sono un atleta così bravo, perché mi sento così stanco?". I bravi corridori si stancano comunque, solo che si stancano a velocità più elevate. Le persone il cui lavoro consiste nell'inventare o scoprire cose si trovano nella stessa posizione del corridore.
Non c'è modo di fare del proprio meglio, perché non c'è limite a ciò che si può fare. Il massimo che si può fare è paragonarsi ad altre persone. Ma più cose si fanno, meno questo conta. Un laureando a cui viene pubblicato qualcosa si sente una star. Ma per chi è ai vertici del settore, dov’è l’asticella? Chi corre può almeno confrontarsi con altri che fanno esattamente la stessa cosa; se si vince una medaglia d'oro olimpica, si può essere abbastanza soddisfatti, anche se si pensa che si sarebbe potuto correre un po' più velocemente. Ma cosa deve fare un romanziere?
Se invece fate un lavoro in cui vi vengono presentati dei problemi e dovete scegliere tra diverse alternative, c'è un limite massimo alle vostre prestazioni: scegliere sempre la migliore. Nelle società antiche, quasi tutti i lavori sembrano essere stati di questo tipo. Il contadino doveva decidere se valeva la pena rammendare un indumento e il re se invadere o meno il suo vicino, ma non ci si aspettava che nessuno dei due inventasse qualcosa. In linea di principio avrebbero potuto farlo; il re avrebbe potuto inventare le armi da fuoco e poi invadere il suo vicino. Ma in pratica le innovazioni erano così rare che non ci si aspettava che le facessero loro, così come non ci si aspetta che i portieri facciano gol.
In pratica, sembrava che ci fosse una decisione corretta in ogni situazione, e che se la prendevi avevi fatto il tuo lavoro alla perfezione, proprio come si considera che un portiere che impedisce all'altra squadra di segnare abbia giocato una partita perfetta. Ancora oggi, la maggior parte delle persone svolge un lavoro in cui vengono posti loro dei problemi e devono scegliere l'alternativa migliore. Ma con la crescente specializzazione della conoscenza, ci sono sempre più tipi di lavoro in cui le persone devono inventare cose nuove e in cui il rendimento è quindi illimitato. L'intelligenza è diventata sempre più importante rispetto alla saggezza, perché c'è più spazio per i picchi.
Ricette
Un altra cosa che ci suggerisce che dovremmo dover scegliere tra intelligenza e saggezza è la diversità delle loro ricette. La saggezza sembra derivare in gran parte dalla correzione delle qualità infantili e l'intelligenza dal coltivarle.
Le ricette per la saggezza, soprattutto quelle antiche, tendono ad avere un carattere correttivo. Per raggiungere la saggezza bisogna eliminare tutti i detriti che riempiono la testa quando si esce dall'infanzia, lasciando solo le cose importanti. Sia l'autocontrollo che l'esperienza hanno questo effetto: eliminare i pregiudizi che derivano rispettivamente dalla propria natura e dal contesto in cui si è cresciuti.
La saggezza non è solo questo, ma in gran parte sì. Molto di quello che c'è nella testa di un saggio è anche nella testa di un dodicenne. La differenza è che nella testa del dodicenne è mescolato con un sacco di spazzatura.
La ricetta per l'intelligenza sembra essere, invece, lavorare a problemi difficili. Si sviluppa l'intelligenza come si sviluppano i muscoli, attraverso l'esercizio. Ma non ci può essere troppa costrizione. Nessuna disciplina può sostituire la genuina curiosità. Perciò coltivare l'intelligenza sembra essere una questione di identificare qualche pregiudizio nel proprio carattere, qualche tendenza a interessarsi a certi tipi di cose, e coltivarlo. Invece di cancellare le proprie idiosincrasie nel tentativo di diventare un contenitore neutro per la verità, se ne seleziona una e si cerca di farla crescere da piantina ad albero.
I saggi sono tutti molto simili nella loro saggezza, ma le persone molto intelligenti tendono ad essere intelligenti in modi distinti. Forse uno dei motivi per cui le scuole funzionano male è che cercano di far germogliare intelligenza usando ricette per la saggezza.
La maggior parte delle ricette di saggezza ha un elemento di sottomissione. Come minimo, si deve fare quello che dice l'insegnante. Le ricette più estreme mirano ad abbattere l’individualità come in un l'addestramento militare. Ma questa non è la strada per l'intelligenza: mentre la saggezza passa attraverso l'umiltà, per coltivare l'intelligenza, può essere utile avere un'opinione anche erroneamente alta delle proprie capacità, perché ciò incoraggia a continuare a lavorare. Il motivo per cui è difficile imparare nuove abilità in tarda età non è solo che il cervello è meno malleabile. Un altro ostacolo, probabilmente ancora peggiore, è che si hanno standard più elevati.
Mi rendo conto che siamo su un terreno scivoloso. Non sto proponendo che l'obiettivo primario dell'istruzione sia quello di aumentare l'"autostima" degli studenti. Questo non farebbe altro che alimentare la pigrizia. E in ogni caso, non inganna i ragazzi, non quelli intelligenti. Un insegnante deve percorrere un sentiero stretto: vuole incoraggiare i ragazzi a inventarsi qualcosa da soli, ma non può limitarsi ad applaudire a tutto ciò che producono. Deve essere un buon pubblico: apprezzabile, ma non troppo facilmente impressionabile. E questo richiede molto lavoro. Bisogna avere una conoscenza sufficientemente buona delle capacità dei bambini a diverse età per sapere quando è il caso di sorprenderli.
Tradizionalmente lo studente è il pubblico, non l'insegnante; il compito dello studente non è quello di inventare, ma di assorbire un certo numero di materiali prescritti. Il problema di queste vecchie tradizioni è che sono troppo influenzate dalle ricette di saggezza.
Diverso
Ho volutamente dato a questo saggio un titolo provocatorio: ovviamente vale la pena essere saggi. Ma credo che sia importante capire il rapporto tra intelligenza e saggezza, e in particolare quello che sembra essere il crescente divario tra loro. In questo modo possiamo evitare di applicare all'intelligenza regole e norme che in realtà sono destinate alla saggezza.
Questi due termini per dire "sapere cosa fare" sono più diversi di quanto la maggior parte delle persone si renda conto. La strada per la saggezza passa attraverso la disciplina, mentre quella per l'intelligenza attraverso un'autoindulgenza accuratamente selezionata. La saggezza è universale, mentre l'intelligenza è idiosincratica. E mentre la saggezza porta alla calma, l'intelligenza porta spesso all'insoddisfazione.
Un amico fisico mi ha detto di recente che metà del suo dipartimento prendeva il Prozac. Forse se riconosciamo che una certa dose di frustrazione è inevitabile in certi tipi di lavoro, possiamo attenuarne gli effetti. Forse possiamo inscatolarla e metterla da parte per un po' di tempo, invece di lasciare che fluisca insieme alla tristezza di tutti i giorni per produrre quello che sembra un bacino di dimensioni allarmanti. Se vi sentite esausti, non è detto che ci sia qualcosa di sbagliato in voi. Forse state solo correndo troppo.