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Sicuramente avrai sentito parlare della recente pronuncia della Cassazione civile (sezione I, sentenza n. 11504 del 10/05/2017) in materia di assegno divorzile (chiamato volgarmente assegno di mantenimento) che ha suscitato tanto clamore mediatico. Si è detto molto e di più ma cercherò di spiegarti, in poche e semplici parole, cosa è cambiato e, soprattutto, quali saranno le conseguenze.
Il comma 6 dell’art. 5 della legge 898 del 1970 (di seguito legge sul divorzio) prevede che il Tribunale quando dichiara lo scioglimento del matrimonio (nome tecnico del divorzio) “dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha i mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
La legge, in altri termini, attribuisce al coniuge economicamente più debole, che non dispone di redditi propri sufficienti a garantirgli un adeguato sostentamento, il diritto al così detto assegno divorzile che l’ex coniuge sarà chiamato a versargli periodicamente (di norma mensilmente).
Il coniuge economicamente più debole, secondo la legge, può vantare il diritto a ricevere l’assegno di mantenimento quando non dispone di “mezzi adeguati”, ovvero versa nell’impossibilità oggettiva di procurarseli, per provvedere al proprio sostentamento.
È stata la giurisprudenza, in assenza di coordinate applicative, a riempire questi concetti e a individuare i criteri per la loro applicazione. Per l’orientamento giurisprudenziale tradizionale (rappresentato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 11490 del 1990) l’assegno divorzile doveva rispondere allo scopo di garantire il “tenore di vita” goduto durante il matrimonio. La giurisprudenza era giunta a tale conclusione sulla scorta della premessa che molte coppie si erano unite nel vincolo del matrimonio quando non esisteva il divorzio e rappresentava un vincolo indissolubile che sarebbe durato per tutta la vita.
Dovevano, quindi, essere garantiti all’ex coniuge i “mezzi adeguati” per poter continuare a godere del “tenore di vita” matrimoniale come se il vincolo coniugale non fosse mai cessato.
La Cassazione ha mutato il proprio orientamento tradizionale proprio sulla scorta dell’ultima osservazione che ti ho proposto: il divorzio, infatti, è ormai un fenomeno sociale ben noto e accettato (sono passati quasi 50 anni dall’entrata in vigore della legge sul divorzio) e tutti coloro che convolano a nozze devono essere consapevoli che, purtroppo, nulla è per sempre.
Il riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio implicava un’ultrattività del vincolo coniugale che, nonostante un Tribunale della Repubblica ne sancisse la fine, continuava a produrre effetti attribuendo una sorta di “diritto di rendita” in realtà non contemplato dalla legge. La Cassazione ha, quindi, elaborato la nozione di “indipendenza economica” archiviando il concetto di “tenore di vita” goduto durante il matrimonio.
Secondo il nuovo orientamento della Cassazione è necessario prendere atto che il matrimonio non è “per sempre” e, consapevoli di ciò, i coniugi non possono pensare che grazie al “si, lo voglio” si possa contare su una rendita vitalizia che gravi sull’altro coniuge.
È, d’altronde, evidente a tutti che il divorzio comporta un peggioramento della qualità di vita per entrambi i coniugi: raddoppiano tutte le spese per l’abitazione, le utenze le spese alimentari
Sicuramente avrai sentito parlare della recente pronuncia della Cassazione civile (sezione I, sentenza n. 11504 del 10/05/2017) in materia di assegno divorzile (chiamato volgarmente assegno di mantenimento) che ha suscitato tanto clamore mediatico. Si è detto molto e di più ma cercherò di spiegarti, in poche e semplici parole, cosa è cambiato e, soprattutto, quali saranno le conseguenze.
Il comma 6 dell’art. 5 della legge 898 del 1970 (di seguito legge sul divorzio) prevede che il Tribunale quando dichiara lo scioglimento del matrimonio (nome tecnico del divorzio) “dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha i mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
La legge, in altri termini, attribuisce al coniuge economicamente più debole, che non dispone di redditi propri sufficienti a garantirgli un adeguato sostentamento, il diritto al così detto assegno divorzile che l’ex coniuge sarà chiamato a versargli periodicamente (di norma mensilmente).
Il coniuge economicamente più debole, secondo la legge, può vantare il diritto a ricevere l’assegno di mantenimento quando non dispone di “mezzi adeguati”, ovvero versa nell’impossibilità oggettiva di procurarseli, per provvedere al proprio sostentamento.
È stata la giurisprudenza, in assenza di coordinate applicative, a riempire questi concetti e a individuare i criteri per la loro applicazione. Per l’orientamento giurisprudenziale tradizionale (rappresentato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 11490 del 1990) l’assegno divorzile doveva rispondere allo scopo di garantire il “tenore di vita” goduto durante il matrimonio. La giurisprudenza era giunta a tale conclusione sulla scorta della premessa che molte coppie si erano unite nel vincolo del matrimonio quando non esisteva il divorzio e rappresentava un vincolo indissolubile che sarebbe durato per tutta la vita.
Dovevano, quindi, essere garantiti all’ex coniuge i “mezzi adeguati” per poter continuare a godere del “tenore di vita” matrimoniale come se il vincolo coniugale non fosse mai cessato.
La Cassazione ha mutato il proprio orientamento tradizionale proprio sulla scorta dell’ultima osservazione che ti ho proposto: il divorzio, infatti, è ormai un fenomeno sociale ben noto e accettato (sono passati quasi 50 anni dall’entrata in vigore della legge sul divorzio) e tutti coloro che convolano a nozze devono essere consapevoli che, purtroppo, nulla è per sempre.
Il riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio implicava un’ultrattività del vincolo coniugale che, nonostante un Tribunale della Repubblica ne sancisse la fine, continuava a produrre effetti attribuendo una sorta di “diritto di rendita” in realtà non contemplato dalla legge. La Cassazione ha, quindi, elaborato la nozione di “indipendenza economica” archiviando il concetto di “tenore di vita” goduto durante il matrimonio.
Secondo il nuovo orientamento della Cassazione è necessario prendere atto che il matrimonio non è “per sempre” e, consapevoli di ciò, i coniugi non possono pensare che grazie al “si, lo voglio” si possa contare su una rendita vitalizia che gravi sull’altro coniuge.
È, d’altronde, evidente a tutti che il divorzio comporta un peggioramento della qualità di vita per entrambi i coniugi: raddoppiano tutte le spese per l’abitazione, le utenze le spese alimentari