Share OraLegale Podcast - Giurisprudenza e Nuove Tecnologie
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By Leonardo Cascio
The podcast currently has 12 episodes available.
Ti parlo ancora di una possibile via di uscita da una situazione di difficoltà economica in cui la tua famiglia si potrebbe trovare a causa di un carico di debiti a cui non riesce più a fare fronte. Lo sapevi che la legge definisce questa condizione come “sovraindebitamento” e offre alla tua famiglia la possibilità di porvi rimedio?
La legge sul sovraindebitamento (L. n. 3 del 2012) prevede tre strumenti (te l’ho già spiegato ma un ripasso è sempre utile):
Ebbene la giurisprudenza di merito ha riconosciuto la legittimazione attiva per le suddette procedure ad i coniugi congiuntamente.
Mi spiego meglio: se entrambi i coniugi si trovano nella situazione incolpevole di non riuscire a fare fronte ai debiti di cui si sono caricati è possibile presentare un unico progetto di rientro qualora siano conviventi e il sovraindebitamento abbia una causa comune: “la disciplina di cui alla L. 3 del 2012 ha quale scopo, tra gli altri, quello di porre rimedio di sovraindebitamento delle famiglie e che la mancata previsione, tra i soggetti che possono accedere alle procedure indicate nella stessa legge, delle “famiglie” non pare ostacolare un’interpretazione estensiva del concetto di “debitore” anche come ente collettivo costituito dai debitori appartenenti alla famiglia in crisi da sovraindebitamento, in particolare quanto lo squilibrio finanziario derivi proprio dalla gestione della vita in comune dei suoi membri” (Tribunale di Bergamo, Sez. II, Decr. 26/09/2018, fra le tante).
Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14 del 2019) ha accolto l’orientamento della giurisprudenza prevedendo all’art. 66 che “i membri della stessa famiglia possono presentare un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento quando sono conviventi o quando il sovraindebitamento ha un’origine comune”.
Il nuovo Codice dell’insolvenza ha disciplinato compiutamente la materia del fallimento e del sovraindebitamento anche se la piena entrata in vigore è stata differita al 2020.
Se la tua famiglia si trova, suo malgrado, nella condizione di non riuscire più a fare fronte ai debiti perché ad esempio uno dei coniugi ha perso il lavoro, oppure a causa di un’improvvisa malattia, la legge sul sovraindebitamento potrebbe essere la soluzione ai tuoi problemi: potete ricorrere ad una procedura che coinvolge tutti i componenti della famiglia.
Rivolgiti ad un professionista specializzato, come chi scrive, per una consulenza e per capire se la tua famiglia può essere liberata da un peso divenuto insostenibile.
Hai prestato una garanzia per consentire ad un tuo conoscente di ottenere un prestito ma adesso ti trovi in difficoltà perché il creditore intende rivalersi su di te?
Spesso, infatti, capita di voler aiutare una persona a noi cara la quale vorrebbe ottenere un prestito sebbene non sia in grado di prestare idonee garanzie. Allora avrai pensato “si tratta solo di una firma, manterrà l’impegno preso”. La crisi economica, purtroppo, ti ha colto di sorpresa come la banca che improvvisamente ti chiede di saldare il debito garantito ma, nel frattempo, la tua situazione finanziaria è peggiorata e non sei in grado di fare fronte alla garanzia prestata.
Lo sapevi che una delle procedure da sovraindebitamento, con l’ausilio di un professionista specializzato, potrebbe risolvere i tuoi problemi?
Ti voglio spiegare, in modo semplice e chiaro, come la giurisprudenza sia recentemente giunta a chiarire che anche il fideiussore/garante può accedere al piano del consumatore.
In questi precedenti articoli ti ho già spiegato che esiste la legge 3 del 2012 la quale ha predisposto tre procedure, volte a risolvere le crisi da sovraindebitamento, a cui possono accedere i soggetti non fallibili secondo i parametri di cui all’art. 1 della Legge Fallimentare. È utile descrivere brevemente i tre strumenti contemplati dalla legge:
Se hai garantito per il debito altrui, generalmente, sei un fideiussore che, secondo la legge, è colui il quale, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui (art. 1936 c.c.). Il contratto di fideiussione consistente, quindi, in “un accordo stipulato tra creditore e fideiussore, rispetto al quale il debitore è terzo e garantisce l’adempimento dell’obbligazione altrui attraverso la personale obbligazione del fideiussore verso il creditore. L’obbligazione del fideiussore si configura, dunque, come obbligazione accessoria il cui oggetto è naturalmente identico a quello dell’obbligazione principale e, salvo patto contrario, si estende solo a tutti gli accessori del debito principale e alle spese. Non sono, quindi, efficaci, nei confronti del fideiussore i patti intervenuti tra creditore e debitore, modificativi dell’obbligazione principale garantita e ciò sia per la natura stessa dell’obbligazione fideiussoria, sia per il disposto degli articoli 1346 e 1372 del codice civile” Cass. civ. Sez. III, 05/07/2004, n. 12279.
La questione che ha affrontato la giurisprudenza riguarda la possibilità per il garante/fideiussore, il quale ha garantito il debito altrui contratto per fini commerciali o imprenditoriali, di accedere alle procedura da sovraindebitamento. In questa ipotesi era, infatti, pacifico che fosse possibile accedere agli strumenti dell’accordo dei creditori e alla liquidazione del patrimonio ma era discusso se fosse possibile accedere altresì al piano del consumatore che è riservato esclusivamente a coloro i quali abbiano assunto debiti per fini estranei ad attività i
In un precedente articolo (eccolo qui) ti ho parlato dei sistemi elettronici di rilevazione delle infrazioni al Codice della Strada (di seguito C.d.S.) e, in particole, del famigerato “Street Control” che è uno strumento elettronico munito di fotocamere e videocamere il quale, installato sulle volanti della Polizia Municipale, rileva i dati dei veicoli e li trasmette ad una centrale operativa al fine di elevare, in maniera veloce ed automatica, le multe per divieto di sosta. Tramite questo strumento elettronico, quindi, le contravvenzioni vengono elevate “a strascico” fotografando tutte le vetture parcate.
Recentemente lo “Street Control” è stato utilizzato per rilevare i dati delle vetture in movimento e contestare l’omessa revisione delle autovetture (art. 80 C.d.S.) e l’assenza di copertura assicurativa per la responsabilità civile (art. 193 C.d.S.).
Sempre in quel post ti avevo anticipato che, secondo la nostra opinione, tale prassi è illegittima: il G.d.p. di Marsala, tramite la sentenza n. 426 del 2017, di cui posso fornirti una copia gratuitamente contattando il blog a questa pagina, ha riconosciuto la fondatezza delle mie ragioni ed ha annullato la multa elevata a carico di un mio cliente, utente della strada, il quale si è visto notificare una multa per omessa revisione del proprio veicolo.
Ci tengo a precisare che la revisione dei veicoli è un obbligo imposto dalla legge nell’interesse della sicurezza collettiva ed è importante sottoporre, nei tempi previsti, il proprio veicolo alla revisione: non voglio incitare nessuno a circolare con un veicolo che non sia stato sottoposto a regolare revisione!
Ebbene, il G.d.p. Di Marsala ha accolto le mie argomentazioni basate principalmente sulle circolari del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (di seguito MIT) il quale ha costantemente escluso l’esistenza di strumenti elettronici autorizzati, ovvero omologati, per la contestazione dell’omessa revisione di veicoli in movimento.
Il MIT, tramite il parere n. 4851 del 2015, aveva ribadito che, nel rispetto delle regole imposte dal C.d.S., la contravvenzione debba essere contestata immediatamente. Secondo il MIT, quindi, lo strumento dello “Street Control” non poteva essere utilizzato per elevare sanzioni nei confronti di veicoli in movimento ma esclusivamente nei confronti di quelli in sosta e il cui conducente non fosse presente nelle vicinanze poiché in tale ipotesi era necessaria la contestazione immediata dell’infrazione.
Le Polizie Locali, tuttavia, hanno continuato ad utilizzare lo strumento “Street Control” per elevare le contravvenzione anche nei confronti dei veicoli in movimento.
Il MIT per fugare ogni ulteriore dubbio è, quindi, tornato a occuparsi della questione con il parere n. 3311 del 2016 ribadendo che “allo stato attuale non risulta approvato, ovvero omologato, alcun dispositivo funzionante in modalità automatica per l’accertamento della omessa revisione del
Il MIT ha, inoltre, colto l’occasione per dichiarare l’irregolarità della prassi di convocare il conducente per l’esibizione della carta di circolazione in modo da “sanare” la mancata contestazione immediata: accade, infatti, che il verbale di contestazione contenga l’invito a presentarsi al comando della Polizia e
Attenzione, a seguito dell’entrata in vigore dal 25 maggio 2018 del GDPR i contenuti esposti da questo articolo e podcast potrebbero risultare obsoleti.
Hai aperto un sito web o creato una app al fine di promuovere la tua attività o la tua azienda? Sapevi che la legge ti impone di pubblicare determinate informazioni? Ti voglio spiegare cosa devi fare per evitare brutte sorprese.
Gli obblighi di pubblicazione variano in relazione al tipo di attività o di impresa che svolgi.
Se sei titolare di partita IVA dovrai indicarla sulla home page del sito, obbligo previsto dall’art. 35, D.P.R. 633/1972, modificato dall’art. 2, D.P.R. 404/2001, mentre la R.M. 16 maggio 2006, n. 60/E sottolinea che l’onere di pubblicazione riguarda anche siti web utilizzati per motivi pubblicitari.
Il Codice della Privacy ti impone, quando richiedi agli utenti del tuo sito i loro dati sensibile al fine di iscriverli ad una newsletter o affinché tu li possa contattare, di richiedere un consenso informato, espresso solo dopo la lettura dell’informativa sulla tutela della riservatezza.
Nel caso in cui dovessi omettere di chiedere il consenso ai tuoi utenti, potrebbe esserti irrogata una sanzione tra 6.000 e 36.000 euro prevista dall’art. 161, D.Lgs. 196/2003.
Torno a parlarti di un argomento a me molto caro: la crisi da sovraindebitamento ma questa volta ci occuperemo, in particolare, delle imprese.
Tengo molto a questa problematica perché guardandomi intorno vedo famiglie e imprese ridotte in grave difficoltà a causa di questa crisi economia che sembra non avere mai fine. Gli strumenti predisposti dalla legge 3 del 2012 consentono di tagliare il debito concedendo una seconda chance alle imprese in difficoltà (fresh start).
Ti ho già parlato di questo argomento ma è utile ricordarti che con il termine “sovraindebitamento” si intende la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile che non consente di pagare i debiti assunti.
La legge 3 del 2012 offre tre strumenti: il piano del consumatore, l’accordo con i creditori e la liquidazione del debitore che consentono di tagliare il debito.
Per imprenditore commerciale sotto-soglia si intendono tutte quelle imprese che, ai sensi dell’art. 1 della legge fallimentare, non sono fallibili quando ricorrono, nei tre anni antecedenti al momento del deposito dell’istanza, congiuntamente tre requisiti: un attivo patrimoniale annuo non superiore alla somma di €.300.000,00, ricavi lordi complessivi annui non superiori alla somma di €.200.000,00, debiti il cui ammontare non è superiore alla somma di €.500.000,00. Non sono fallibili neanche gli imprenditori la cui attività è cessata da oltre un anno.
L’imprenditore agricolo è colui che esercita attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento
Altrettanto importante è la categoria delle startup che comprende tutte quelle giovani imprese con un alto
Sono ormai molto diffusi i sistemi elettronici di rilevazione delle infrazioni al Codice della Strada (di seguito C.d.S.) che vengono contestate ai malcapitati guidatori i quali si vedono notificare al proprio domicilio il verbale di accertamento.
L’ultima novità è il famigerato “Street Control” che è uno strumento elettronico munito di fotocamere e videocamere il quale, installato sulle volanti della Polizia Municipale, rileva la targa e gli altri dati relativi al veicolo ed al luogo ove questo viene “fotografato” e trasmette questi dati ad una centrale operativa al fine di elevare, in maniera veloce ed automatica, le multe per divieto di sosta.
Le volanti della Polizia locale, tramite questo strumento elettronico, elevano le contravvenzioni “a strascico” fotografando tutte le vetture parcate. Lo “Street Control” è stato, quindi, concepito e autorizzato per sanzionare le soste selvagge degli utenti della strada indisciplinati che parcheggiano le loro autovetture in divieto, o addirittura in seconda e terza fila, intralciando il traffico.
Le contestazioni della violazione delle norme che regolano la circolazione stradale è ormai diventata un’entrata per i bilanci degli enti locali i quali hanno intuito le potenzialità dello strumento di rilevazione in commento per multare anche i veicoli in movimento elevando, però, delle contravvenzione che sono del tutto illegittime e che, quindi, devono essere annullate.
Ti sarà capitato di ricevere la notifica di una multa con cui ti viene contestata l’omessa revisione della tua autovettura (art. 80 C.d.S.) ovvero che il veicolo non è assicurato per la responsabilità civile (art. 193 C.d.S.): ti voglio spiegare perché la multa che hai ricevuto non è valida e può essere impugnata.
È opportuno fare una premessa: il C.d.S. impone di contestare immediatamente al trasgressore l’infrazione salvo che ciò non sia possibile e in casi tassativamente elencati.
L’art. 200, co. 1, C.d.S., infatti, prevede che la violazione delle norme che regolano la circolazione stradale debba essere contestata immediatamente salvo i casi tassativamente elencati dall’art. 201 C.d.S. il quale prevede che la rilevazione dell’infrazione e la notificazione della contestazione “avvenga mediante dispositivi o apparecchiature che sono state omologati ovvero approvati per il funzionamento in modo completamente automatico”.
Le contravvenzioni elevate tramite l’uso dello Street Control nei confronti dei veicoli in movimento sono illeggittime.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (di seguito MIT) ha costantemente escluso l’esistenza di strumenti elettronici autorizzati, ovvero omologati, per la contestazione dell’omessa revisione di veicoli in movimento.
Il MIT, tramite il parere n. 4851 del 2015, ha chiarito che lo strumento elettronico denominato “Street Control” è autorizzato dalla legge ma ha specificato espressamente che, nel rispetto delle regole imposte dal C.d.S., la contravvenzione, qualora il conducente si trovi alla guida ovvero nei pressi del veicolo, debba essere contestata immediatamente: in altri termini, lo “Street Control” non può essere utilizzato per elevare sanzioni nei confronti di veicoli in movimento ma soltanto per quelli in sosta e il cui conducente non sia presenta.
Il MIT per fugare ogni ulteriore dubbio è tornato a occuparsi della questione con il parere n. 3311 del 2016 ribadendo che “allo stato attuale non risulta approvato, ovvero omologato, alcun dispositivo funzionante in modalità automatica per l’accertamento della omessa revisione del veicolo circolante”.<
I lavoratori sono spesso vittime di abusi, maltrattamenti e angherie di diverso tipo da parte sia dei colleghi sia del datore di lavoro. Quando questi episodi sono ripetuti nel tempo e sono finalizzati ad isolare la vittima oppure ad ottenerle le dimissioni, anche se le vittime sono arrivate persino a togliersi la vita, ricorrere l’ipotesi del così detto danno da mobbing. Cerchiamo di essere chiari e di procedere con ordine.
Non esiste una definizione univoca del danno da mobbing nonostante qualche tentativo di “imbrigliare” la figura al fine di evitare la proliferazione di azioni giudiziarie.
La definizione del mobbing è stata, però, fornita dalla giurisprudenza di legittima nonché dalla scienza medico-legale.
Il lavoratore/ vittima si trova, quindi, sottoposto ad una continua e sistematica serie di attacchi che lo isolano e lo rendono incapace di reagire. Gli studiosi hanno individuato una serie di condotte che sono “sintomatiche” del mobbing come gli attacchi a livello umano (rimproveri, sguardi, interruzioni dei discorsi) e contro la reputazione (calunnie), l’isolamento sistematico e, soprattutto, il cambio di mansione o il diniego a qualunque richiesta del lavoratore tesa a vedersi riconosciute le proprie progressioni di carriera.
Il mobbing, tuttavia, per essere distinto da una mera “conflittualità” deve verificarsi per un lasso di tempo rilevante (almeno 6 mesi) in una serie di episodi legati dallo scopo di danneggiare il lavoratore (giuridicamente si parla di nesso “teleologico”).
La norma di riferimento è certamente l’art. 2087 c.c. che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di adottare le misure necessarie “a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale” dei lavoratori. La disposizione del codice civile costituisce una previsione “di chiusura” del sistema giuridico scritta al fine di salvaguardare il lavoratore in qualsiasi situazione e contesto.
Non possiamo dimenticare, inoltre, la Costituzione la quale sancisce (art. 1) che il nostro paese è una “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” che dovrebbe essere un diritto di tutti e dovrebbe garantire una v
Il bullismo è un fenomeno sociale che purtroppo tutti conosciamo: a chi non è capitato ai tempi della scuola, se non di subire, quanto meno di assistere alle prepotenze di “branchi di bulletti” perpetrate nei confronti del malcapitato di turno che poi finisce, purtroppo, per isolarsi soffrendo per un’emarginazione che segnerà la sua adolescenza e, forse, tutta la sua vita?
Ma ciò che mi ha colpito è che un nuovo mezzo di comunicazione di massa ha mostrato, ancora una volta, la sua potenza: internet e, in particolare, i social media (facebook, twitter e altri). I bulli hanno, infatti, scoperto che è più facile prendere in giro un coetaneo e umiliarlo comodamente seduti alla propria scrivania o, addirittura, smanettando con lo smartphone che ormai tutti hanno in tasca. Le umiliazione “virtuali” fanno ancora più male di quelle “reali” perché restano lì, nero su bianco, come incise su un macigno che schiaccia la vittima la quale non può più scappare ai “commenti”, alle “condivisioni” di foto scattate in un momento in cui si perpetravano, non innocenti scherzi, ma veri e propri abusi e soprusi.
La legge in commento definisce il Cyberbullismo come:
“qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo” (art. 1).
La definizione di bullismo cibernetico è abbastanza ambia comprendendo comportamenti che vanno dall’aggressione fino alla diffamazione (cioè un’espressione offensiva) e alla mera diffusione di qualunque genere di contenuto (registrazioni video o anche audio, immagini fotografiche, fotomontaggi, ecc.) tesi ad “isolare” uno o più minori tramite un abuso o una semplice “messa in pericolo”.
Non è abitudine dello scrivente commentare le leggi, perché quella che stai leggendo non è la rubrica di un opinionista, ma in questo caso devo esprimere il mio disappunto per il fatto che il legislatore si è occupato solo delle condotte che riguardano i minori ultraquattordicenni (coloro che hanno compiuto i quattordici anni): la legge in commento, in altri termini, troverà applicazione solo ove sia la vittima sia il “bullo” abbiano compiuto i quattordici anni.
Dobbiamo premettere che la legge contro il cyberbullismo, nelle intenzione dei proponenti, puniva il bullo con le classiche sanzioni penali (processo penale e pene). Durante la discussione del disegno di legge è, tuttavia, emers
Sicuramente avrai sentito parlare della recente pronuncia della Cassazione civile (sezione I, sentenza n. 11504 del 10/05/2017) in materia di assegno divorzile (chiamato volgarmente assegno di mantenimento) che ha suscitato tanto clamore mediatico. Si è detto molto e di più ma cercherò di spiegarti, in poche e semplici parole, cosa è cambiato e, soprattutto, quali saranno le conseguenze.
Il comma 6 dell’art. 5 della legge 898 del 1970 (di seguito legge sul divorzio) prevede che il Tribunale quando dichiara lo scioglimento del matrimonio (nome tecnico del divorzio) “dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha i mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
La legge, in altri termini, attribuisce al coniuge economicamente più debole, che non dispone di redditi propri sufficienti a garantirgli un adeguato sostentamento, il diritto al così detto assegno divorzile che l’ex coniuge sarà chiamato a versargli periodicamente (di norma mensilmente).
Il coniuge economicamente più debole, secondo la legge, può vantare il diritto a ricevere l’assegno di mantenimento quando non dispone di “mezzi adeguati”, ovvero versa nell’impossibilità oggettiva di procurarseli, per provvedere al proprio sostentamento.
È stata la giurisprudenza, in assenza di coordinate applicative, a riempire questi concetti e a individuare i criteri per la loro applicazione. Per l’orientamento giurisprudenziale tradizionale (rappresentato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 11490 del 1990) l’assegno divorzile doveva rispondere allo scopo di garantire il “tenore di vita” goduto durante il matrimonio. La giurisprudenza era giunta a tale conclusione sulla scorta della premessa che molte coppie si erano unite nel vincolo del matrimonio quando non esisteva il divorzio e rappresentava un vincolo indissolubile che sarebbe durato per tutta la vita.
Dovevano, quindi, essere garantiti all’ex coniuge i “mezzi adeguati” per poter continuare a godere del “tenore di vita” matrimoniale come se il vincolo coniugale non fosse mai cessato.
La Cassazione ha mutato il proprio orientamento tradizionale proprio sulla scorta dell’ultima osservazione che ti ho proposto: il divorzio, infatti, è ormai un fenomeno sociale ben noto e accettato (sono passati quasi 50 anni dall’entrata in vigore della legge sul divorzio) e tutti coloro che convolano a nozze devono essere consapevoli che, purtroppo, nulla è per sempre.
Il riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio implicava un’ultrattività del vincolo coniugale che, nonostante un Tribunale della Repubblica ne sancisse la fine, continuava a produrre effetti attribuendo una sorta di “diritto di rendita” in realtà non contemplato dalla legge. La Cassazione ha, quindi, elaborato la nozione di “indipendenza economica” archiviando il concetto di “tenore di vita” goduto durante il matrimonio.
Secondo il nuovo orientamento della Cassazione è necessario prendere atto che il matrimonio non è “per sempre” e, consapevoli di ciò, i coniugi non possono pensare che grazie al “si, lo voglio” si possa contare su una rendita vitalizia che gravi sull’altro coniuge.
È, d’altronde, evidente a tutti che il divorzio comporta un peggioramento della qualità di vita per entrambi i coniugi: raddoppiano tutte le spese per l’abitazione, le utenze le spese alimentari
Ti ho già parlato del sovra indebitamento e del piano del consumatore in questo mio precedente contribuito. Se mi hai seguito, sai già di cosa parliamo ma se non mi hai seguito non fa niente, ti rinfresco la memoria: il sovra indebitamento è la situazione di difficoltà economica in cui si viene a trovarsi una persona (privato o piccolo imprenditore) che, per ragioni indipendenti dalla propria volontà, non è più in grado di pagare i debiti contratti.
Se ti trovi in questa situazione non disperare, sono qui per proporti una via d’uscita. La legge n. 3 del 2012 (legge anti-suicidi) ha predisposto tre strumenti che consentono di tagliare il debito e permettono alle famiglie di riprendere una vita dignitosa e alle piccole aziende di rimanere sul mercato e continuare la propria attività (fresh start).
La signora Franca (per ragioni evidenti non posso utilizzare il vero nome, ma tutte le altre informazioni riportare sono reali!) poteva contare sul suo stipendio essendo impiegata presso una ditta che le garantiva un lavoro a tempo pieno e stabile.
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