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I lavoratori sono spesso vittime di abusi, maltrattamenti e angherie di diverso tipo da parte sia dei colleghi sia del datore di lavoro. Quando questi episodi sono ripetuti nel tempo e sono finalizzati ad isolare la vittima oppure ad ottenerle le dimissioni, anche se le vittime sono arrivate persino a togliersi la vita, ricorrere l’ipotesi del così detto danno da mobbing. Cerchiamo di essere chiari e di procedere con ordine.
Non esiste una definizione univoca del danno da mobbing nonostante qualche tentativo di “imbrigliare” la figura al fine di evitare la proliferazione di azioni giudiziarie.
La definizione del mobbing è stata, però, fornita dalla giurisprudenza di legittima nonché dalla scienza medico-legale.
Il lavoratore/ vittima si trova, quindi, sottoposto ad una continua e sistematica serie di attacchi che lo isolano e lo rendono incapace di reagire. Gli studiosi hanno individuato una serie di condotte che sono “sintomatiche” del mobbing come gli attacchi a livello umano (rimproveri, sguardi, interruzioni dei discorsi) e contro la reputazione (calunnie), l’isolamento sistematico e, soprattutto, il cambio di mansione o il diniego a qualunque richiesta del lavoratore tesa a vedersi riconosciute le proprie progressioni di carriera.
Il mobbing, tuttavia, per essere distinto da una mera “conflittualità” deve verificarsi per un lasso di tempo rilevante (almeno 6 mesi) in una serie di episodi legati dallo scopo di danneggiare il lavoratore (giuridicamente si parla di nesso “teleologico”).
La norma di riferimento è certamente l’art. 2087 c.c. che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di adottare le misure necessarie “a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale” dei lavoratori. La disposizione del codice civile costituisce una previsione “di chiusura” del sistema giuridico scritta al fine di salvaguardare il lavoratore in qualsiasi situazione e contesto.
Non possiamo dimenticare, inoltre, la Costituzione la quale sancisce (art. 1) che il nostro paese è una “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” che dovrebbe essere un diritto di tutti e dovrebbe garantire una v
By Leonardo CascioI lavoratori sono spesso vittime di abusi, maltrattamenti e angherie di diverso tipo da parte sia dei colleghi sia del datore di lavoro. Quando questi episodi sono ripetuti nel tempo e sono finalizzati ad isolare la vittima oppure ad ottenerle le dimissioni, anche se le vittime sono arrivate persino a togliersi la vita, ricorrere l’ipotesi del così detto danno da mobbing. Cerchiamo di essere chiari e di procedere con ordine.
Non esiste una definizione univoca del danno da mobbing nonostante qualche tentativo di “imbrigliare” la figura al fine di evitare la proliferazione di azioni giudiziarie.
La definizione del mobbing è stata, però, fornita dalla giurisprudenza di legittima nonché dalla scienza medico-legale.
Il lavoratore/ vittima si trova, quindi, sottoposto ad una continua e sistematica serie di attacchi che lo isolano e lo rendono incapace di reagire. Gli studiosi hanno individuato una serie di condotte che sono “sintomatiche” del mobbing come gli attacchi a livello umano (rimproveri, sguardi, interruzioni dei discorsi) e contro la reputazione (calunnie), l’isolamento sistematico e, soprattutto, il cambio di mansione o il diniego a qualunque richiesta del lavoratore tesa a vedersi riconosciute le proprie progressioni di carriera.
Il mobbing, tuttavia, per essere distinto da una mera “conflittualità” deve verificarsi per un lasso di tempo rilevante (almeno 6 mesi) in una serie di episodi legati dallo scopo di danneggiare il lavoratore (giuridicamente si parla di nesso “teleologico”).
La norma di riferimento è certamente l’art. 2087 c.c. che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di adottare le misure necessarie “a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale” dei lavoratori. La disposizione del codice civile costituisce una previsione “di chiusura” del sistema giuridico scritta al fine di salvaguardare il lavoratore in qualsiasi situazione e contesto.
Non possiamo dimenticare, inoltre, la Costituzione la quale sancisce (art. 1) che il nostro paese è una “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” che dovrebbe essere un diritto di tutti e dovrebbe garantire una v