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“Breve Storia d’Amore”, intervista alla regista Ludovica Rampoldi


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Alla 26ª edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, abbiamo incontrato Ludovica Rampoldi, regista e sceneggiatrice di “Breve Storia d’Amore”, il suo atteso esordio dietro la macchina da presa. Il film, un intreccio brillante e inquieto di romance, thriller psicologico e ironia sottile, nasce da un’idea che l’autrice custodiva “in un fascicolo del computer da molto tempo”.

La storia segue due coppie – i trentenni Lea e Andrea, e i cinquantenni Rocco e Cecilia – il cui equilibrio si infrange la notte in cui Lea e Rocco iniziano una relazione clandestina. Da qui si sviluppa una spirale emotiva che porta i personaggi a un confronto finale “divertente e drammatico”.

Le origini del progetto: un’idea che torna a bussare

Rampoldi racconta che “Breve Storia d’Amore” affonda le radici nel suo immaginario giovanile: “La prima bozza l’ho scritta a 25 anni”, ricorda. Quel momento ha lasciato il segno: “Avevo delle idee molto intransigenti sulle relazioni umane, che andando avanti nella vita sono cambiate”.

È proprio questo sguardo evolutivo sulle relazioni a costituire il cuore del film: non una morale, ma un interrogativo aperto. “Mi piace interrogarmi e interrogare lo spettatore su come si deve stare all’interno di una coppia, quali sono i confini, cosa è lecito, cosa non è lecito”.

Essere umani senza giudizio

Uno degli aspetti più affascinanti dell’opera è la volontà di non giudicare nessun personaggio. Rampoldi lo rivendica con lucidità: “Nel film non c’è nessuno che sia davvero innocente e nessuno che sia totalmente da condannare”. Per lei la sfida è raccontare la complessità: “Siamo tutti capaci di cose meschine e cose meravigliose allo stesso tempo”.

Questa ambiguità morbida, realistica e profondamente umana permette allo spettatore di riflettersi in ogni figura, di riconoscere fragilità e desideri.

Il difficile equilibrio dei generi

La regista ammette che il nodo più complesso è stato armonizzare i registri narrativi: “Conciliare il romance con aspetti più di inquietudine, di thriller psicologico, insieme all’ironia, è stata la sfida più grande”.

Determinante è stato il lavoro sulla colonna sonora: «La musica di Fabio Massimo Capogrosso tiene insieme queste tre anime».

Il risultato è un film che cambia pelle, sorprende e porta lo spettatore in territori inattesi. Esattamente ciò che Rampoldi desiderava: “Mi piacciono i film che iniziano in un modo e poi ti portano in territori che non ti aspettavi”.

Interni claustrofobici e formiche simboliche

Gran parte della storia si svolge in interni, quasi in un laboratorio emozionale. E non è un caso che uno dei personaggi, interpretato da Adriano Giannini, abbia un formicaio in casa. Rampoldi spiega: “Mi piaceva immaginare questi personaggi come delle mosche in un bicchiere, intrappolati in uno schema mentale”.

L’ultima scena, invece, si apre letteralmente al mondo: un gesto simbolico di liberazione dopo la tensione.

Solidarietà femminile oltre le regole del triangolo

Un altro elemento innovativo di “Breve Storia d’Amore” è la dinamica tra le due protagoniste femminili. Mentre il triangolo amoroso tradizionalmente alimenta rivalità, Rampoldi sceglie un approccio opposto: “Mi piaceva che questo rapporto tra due donne… diventasse molto reale e salvifico”.

Il personaggio di Valeria Golino, psicanalista, “offre gli strumenti per uscire da quel famoso bicchiere” alla giovane interpretata da Pilar Fogliati.

Ironia come lente di profondità

L’ironia è lo strumento con cui Ludovica Rampoldi affronta i temi più delicati: “È lo strumento più affilato per andare in profondità”. Una lezione appresa anche grazie alla scrittura di The Bad Guy: “È la chiave per raccontare delle cose che sono quasi indicibili”.

 

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