Siamo ciò che di solito mangiamo e anche ciò che desideriamo mangiare. Il cibo che conosciamo, quello che sogniamo, quello che mangiamo assieme agli altri, quello di cui abbiamo memoria e nostalgia. L’esperienza del cibo forma la mentalità, la percezione del mondo, la memoria umana. Se, ad esempio, penso alla mia “autobiografia alimentare”, la mia esperienza del “mangiare” descrive un arco che va dal cibo locale della mia infanzia ai consumi alimentari del periodo del boom economico e dei decenni successivi, fino ad arrivare a quelli del tempo presente. Il cibo che abbiamo conosciuto e la relativa memoria consentono andate, ritorni, restanze, recuperi di persone, luoghi, culture, pratiche alimentari del passato. Echeggiando il celeberrimo dilemma di Bruce Chatwin, Cosa mangio qui? è una domanda che Homo Sapiens si pone da sempre in tutti i contesti storici e culturali in cui è vissuto, è quella che si sono posti tutti i migranti, i viaggiatori e che ci poniamo anche noi, adesso, in un tempo in cui sia i luoghi che il cibo tendono a diventare “eccessivi” o “inesistenti”. Se da un lato abbiamo mondi obesi e dediti allo spreco sistematico, dall’altro ci sono i mondi della penuria, della fame e della sete. In un futuro prossimo potremmo avere mescolanze alimentari e cibi di ogni genere e “non cibi”, puro sostentamento con pillole e pastiglie che non somigliano ad alcun alimento del passato. Scenari apocalittici, con Sapiens per cui tutto è “buono da mangiare” o, viceversa, con una nuova specie che non ha più bisogno di nutrirsi, sono nel nostro confuso orizzonte.