Il divino linguaggio: arte e fede secondo Giustiniani. Salerno, Italia. Suoni, luci e parole. Martiri e martyrion. Come l’applauso di una sola mano», i misteri, inestricabilmente intrecciati del destino e della provvidenza divina, suonavano in melodiosi contrasti nei detti e fatti dei Padri del deserto. Ciò che è benedizione per Sisoe, per Ilarione sarà divieto e pericolo; se lo scriba non è veloce abbastanza da incidere esattamente le parole di Barsanufio, significa che, così com’egli le incide, Dio le vuole incise e, così incise, opereranno; e se al vegliardo infermo non fosse misteriosamente destinato l’olio pestilenziale, il discepolo distratto metterebbe miele nella sua polenta. Suoni, luci e parole dei padri del deserto sono dei martìri, ovvero testimonianze. Dai detti dei padri del deserto: «N. 592/49 (P.E., II, 18, 10): “L’abate Atanasio, vescovo di Alessandria, ha detto: «Si dice sovente tra di voi: “Dove è la persecuzione per diventare martiri?”. Sii martire nella coscienza, muori al peccato, mortifica gli organi terrestri e sarai martire d’intenzione. I martiri lottarono contro i re e i magistrati, anche tu hai un avversario, il diavolo, re del peccato, e come magistrati i demoni. Essi avevano davanti a loro la tavola delle vittime e l’altare e, abominazione dell’idolatria, un esecrabile idolo»”. Martyrion: era detto il santo luogo segnato dalla morte di un martire. Ai tempi delle persecuzioni cruente, sui martyria cristiani si elevavano cappelle, altari. Oggi un vero e proprio Martyrion di suoni-luci-colori è la grande tela del maestro Bruno Giustiniani, dove luci, ombre e colori narrano, fondendo, ieri e oggi, nel sangue versato dai giovanetti di Chios. Il 14 aprile 1566, con una flotta imponente di ottanta galee, Kapudanpascià Pialì (o “Paoli”, come da altre fonti) arriva al porto di Chios con un sottile tradimento chiedendo l’approdo come amici, ma, appena approdati, richiamarono il capo della Maona, il podestà Vincenzo Giustiniani, il vescovo Timoteo Giustiniani e i 12 governatori e li fecero imprigionare. Ciò non impedì che l’isola subisse un violento saccheggio: le Chiese furono tutte distrutte o convertite in Moschee. Vincenzo Giustiniani con gli altri 12 governatori e gli altri Giustiniani più in vista furono portati a Costantinopoli. Presso l'Archivio di Stato di Genova un documento, diretto al cardinale Giovanni Battista Cicala (o Cigala), comunica che dall'isola di Chios, dopo la presa Ottomana del 1566, sono stati rapiti 200 ("bei") giovinetti e portati a Costantinopoli. In questi duecento, anche i "martiri Giustiniani": ventuno giovinetti tra i 12 e i 16 anni separati dai genitori, costretti ad abiurare la fede cattolica e ad arruolarsi nel corpo dei giannizzeri. In 18 furono uccisi dopo atroci torture, il 6 settembre 1566. Papa Pio V li avrà apprezzati, lui che non voleva essere che capo spirituale della Cristianità e perciò gli era estraneo perfino il pensiero di muover guerra contro chiunque sia. E tuttavia, toccò proprio a lui il compito di preparare la più grande battaglia navale che sia mai stata combattuta con navi a remi e, dopo lunghe trattative, si riuscì ad unire in una lega la S. Sede, la Spagna e la Repubblica veneziana. Sotto il comando di don Giovanni d'Austria, fratellastro di Filippo secondo, la flotta dei cristiani, dopo una eroica lotta, riuscirà a sconfiggere i Turchi a Lepanto e riportare una clamorosa vittoria il 7 ottobre 1571. Purtroppo, poco dopo la morte di Pio quinto, a causa dell'egoismo degli alleati, venne sciolta. Poiché la vittoria di Lepanto era stata ottenuta il 7 ottobre, che cadeva quell'anno la prima domenica del mese, giorno in cui si facevano processioni in onore della Regina del Rosario, il papa l'attribuì all'intercessione della Madonna. Perciò il 17 marzo 1572 decise che il 7 ottobre fosse celebrata la festa della Madonna della Vittoria (festa che per ordine di Gregorio tredicesimo [1° aprile 1573] venne trasferita alla prima domenica di ottobre e chiamata festa della Regina del Rosario). Il colore rosso del sangue dei giovanetti Giustiniani Nel 1347 la Repubblica di Genova aveva affidato a una società di mercanti, una cosiddetta maona, l’amministrazione e lo sfruttamento commerciale dell’isola di Chios (Chio o Scio) nel mar Egeo, riconquistata l’anno prima. I soci della maona nel 1362 costituirono l’Albergo dei Giustiniani. I soci aggiungevano il cognome dei Giustiniani al proprio: Giustiniani Recanelli, Giustiniani di Negro, Giustiniani Banca, Giustiniani Longhi, Giustiniani Ughetti, eccetera. I matrimoni avvenivano tra famiglie Giustiniani: i soci rafforzavano, così, la coesione economica e politica interna. Nel 1363 l’imperatore bizantino concesse alla maona dei Giustiniani la signoria politica dell’isola. La maona lucrava cospicui profitti con l’estrazione del mastice e il commercio dell’allume. Nel Museo Bizantino di Chios una collezione di arte bizantina e post-bizantina, tra cui icone, affreschi e manoscritti, ricorda questi e altri eventi, oltre a più di 10.000 libri e manoscritti, nonché seminari e conferenze sull’arte, la storia e la cultura bizantina… insomma un Cenacolo letterario, come qui a Salerno.
Sulla base di fonti edite ed inedite, è stato possibile ricostruire alcuni episodi della vita di Francesco Giustiniani de Garibaldo, un Maonese di Chio, intorno alla metà del Quattrocento. Nell'estate del 1457 è attestata la sua presenza a Chio, dove era giunto probabilmente qualche mese prima, a bordo della nave di Oberto Squarciafico – in cui era stato trasbordato il carico di merci della sua nave, resa innavigabilis a causa di una grave tempesta di mare e di vento che lo aveva sorpreso nelle acque di Cefalonia – e dove il successivo 30 settembre morì. Su istanza di due suoi congiunti, nell'isola si procedette alla pubblicazione del suo testamento in genovese, secondo la procedura prevista dalla normativa vigente. La storia dei Giustiniani, signori di Chio, o meglio quella del loro albergo, ovvero il consorzio di famiglie che detenne per secoli il monopolio della Maona dell’isola, è ricca d’interesse a partire dal piano dei legami parentali. Particolarmente notevole è il caso dei Giustiniani di Pantaleo, giunti a Modone al seguito delle armi veneziane dopo la pace di Carlowitz (1699), e ancor più quello dei Giustiniani di Alessandro, di cui fecero parte non solo finanzieri e mercanti. Gio. Costantino, ad esempio, si trasferì a Cattaro, ove nel 1742 sposò Vincenza, figlia del conte Michele Racovich. Ricoprì quindi numerosi uffici pubblici nella Dalmazia veneta, quali il cancellierato di Curzola, visse lungamente a Venezia e nel 1769 ottenne l’ascrizione alla nobiltà genovese. Suo figlio Alessandro Ippolito divenne alfiere dell’esercito veneziano e infine si stabilì a Genova (1770). Vicende familiari che nel complesso ci restituiscono un intreccio di culture e identità che è tipico della storia del Mediterraneo e delle sue élites.