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il gran rifiuto, Celestino V a Napoli-il prof. Giustiniani illustra il libro di Fulvio Pastore-(8 gen.2025 Maschio Angioino)


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Maschio angioino, Napoli, 8 gennaio 2025 Intervento di Pasquale Giustiniani Questo lavoro di Fulvio Pastore (Celestino quinto papa a Napoli, edizioni La valle del tempo, Napoli 2024) si propone come obiettivo ultimo quello di portare in piena luce la collocazione a Napoli del papato di Celestino V e, come forse alludeva la Divina commedia dantesca, del suo “rifiuto”. Papa Francesco, nella Bolla d’indizione del primo Giubileo del terzo millennio, ricorda esplicitamente «la grande “perdonanza” che San Celestino V volle concedere a quanti si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, nei giorni 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima che Papa Bonifacio VIII istituisse l’Anno Santo. La Chiesa già sperimentava, dunque, la grazia giubilare della misericordia»[1]. Fu, infatti, san Celestino quinto, con la Bolla Inter sanctorum solemnia, detta anche «Perdonan­za», a concedere la prima indulgenza plenaria, di tipo “giubilare”, a tutti i fedeli che visitassero la chiesa di S. Maria di Collemaggio a l’Aquila, dai Vespri precedenti la memoria della de­collazione di s. Giovanni Battista - 28 agosto - ai Vespri della successiva medesima festa, 29 agosto. Anche se la «Perdonanza» di Pietro da Morrone sarà presto abrogata da papa Bonifacio VIII, il 18 agosto 1295, Bonifacio se ne farà comunque ispirare per l’istituzione dei Giubilei, il primo dei quali si celebrò, appunto, il 25 marzo 1300, con cadenza allora prevista ogni 100 anni. Di qui l’attualità e l’interesse, anche in vista del primo Anno giubilare del terzo millennio (ma non solo) di una ricerca, qual è appunto quella di Fulvio Pastore, il quale collega una bella pagina della storia del pontificato romano con la città di Napoli. Ancora poco nota e ancora meno divulgata, quella pagina mette in luce diversi aspetti, noti e non noti, della grande figura dell’eremita Pietro da Morrone, poi eletto papa col nome di Celestino quinto, il cui pontificato viene correlato opportunamente - sulla base di una rigorosa documentazione archivistica, ma anche artistica e teologica -, con la città di Napoli: il neo-eletto Papa Celestino quinto, infatti, qui arrivò il 5 novembre 1294; sempre qui, il successivo 13 dicembre, rinunciò al Papato; nella medesima città, il 23 dicembre, si tenne un nuovo conclave che, il giorno dopo, condusse all’elezione di Bonifacio VIII (papa Caetani). Al 27 dicembre 1294, dunque, risale l’atto di trasferimento a Roma della Sede Pontificia che, per quasi mezzo anno, era stato nella sede partenopea. Insomma, Napoli, proprio in occasione del pur breve pontificato di papa Celestino quinto, fu sede pontificia. Pastore ci ricorda, tra l’altro, che Ubi Petrus, ibi Ecclesia. Era stato sant’Ambrogio a scrivere per primo quelle famose parole: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia, dov’è Pietro, lì è la Chiesa» (in Ps. 40, 30; P.L. 14, 1082). Papa san Paolo sesto - il quale citava spesso quest’adagio del padre della Chiesa tardo-antica - un giorno vi integrò testualmente un riferimento alla “sua” chiesa di Milano[2]. La città partenopea, infatti, non solo ha ospitato dei Pontefici sommi, ma è proprio a Napoli che sorge e si consuma il breve pontificato della figura controversa di papa Celestino V, circa il quale, come avverte l’Autore, «molte sono state e sono le “letture” del personaggio, della sua vi­cenda e soprattutto della fugace epifania del suo Pontificato». Pietro Angelerio da Morrone, penultimo di dodici figli, presto orfano di padre, è avviato dalla madre agli studi ecclesiastici. Attratto dalla vita monastica, entra nell’Ordine benedettino. A 24 anni diviene presbitero, ma presto sceglie la vita eremitica sul Monte Morrone in Abruzzo. Preghiera, penitenza e digiuno scandiscono le sue giornate. Attratti da lui, in tanti lo seguono: presto nasce con l’approvazione di Urbano IV il primo nucleo degli Eremiti della Maiella. In Europa si diffonde la fama di Pietro da Morrone come uomo di Dio e a lui accorrono da ogni dove per ottenere consiglio e guarigioni. A tutti indica la conversione del cuore come via per la pace, in un momento storico dilaniato da tensioni, conflitti - anche interni alla Chiesa - e pestilenze. La fama dell’eremita, noto per i miracoli e l’integra condotta spirituale, portano, come leggiamo ora anche nel libro di Pastore, gli elettori a individuare proprio in lui il candidato ideale per il superamento dello stallo. Raggiunto nella spelonca in Maiella da una delegazione di prelati, Pietro in un primo momento rifiuta, poi comprende che è Dio a chiamarlo a una responsabilità tanto alta. Tuttavia, respinge l’invito dei cardinali a raggiungere Perugia e, il 29 agosto 1294, memoria di San Giovanni Battista, scortato da re Carlo si reca a L’Aquila seduto su un asino, per ricevere la tiara nella grande chiesa di Santa Maria a Collemaggio, da lui eretta qualche anno prima. Chissà se quella scelta dell’asino – già presente negli scritti di Gioacchino da Fiore – non abbia influenzato anche le pagine mirabili del rinascimentale Giordano Bruno nella Cabala del cavallo pegaseo. Nel cielo dantesco del Sole si allarga attorno all’astro una duplice corona di «spiriti sapienti» che cantano e danzano. Nella seconda corona, Dante cerca di identificare alcuni volti, ed ecco brillare un profilo celebre: «lucemi da lato / il calavrese abate Giovacchino, di spirito profetico dotato» (Paradiso XII, 139-141). Nel Liber figurarum di Gioacchino, Il Drago delle sette teste, o drago apocalittico, simboleggiava i sei re persecutori della Chiesa da Erode a Saladino. La settima testa, priva di nome, è quella di un re persecutore, detto Anticristo, che Gioacchino ritiene imminente, contro cui la Chiesa dovrà combattere e soffrire, sia pure per breve tempo, nel travaglio che precede l’inizio ormai prossimo dell’Età dello Spirito Santo. Nel giro di coda finale è designato l’ultimo satanico persecutore, Gog, il secondo Anticristo, che si scatenerà e sarà sconfitto alla fine della Terza Età. Subito dopo, con la Resurrezione dei morti e il Giudizio Universale, si concluderà la storia e si apriranno le porte della Gerusalemme eterna. Anche se la nuova Congregazione dei Celestini di Pietro del Morrone accettava donazioni e, pertanto, non perseguiva gli ideali di povertà radicale degli spirituali francescani, che in parte s’ispiravano all’abate Gioacchino, Pietro da Morrone dev'essere presto entrato in contatto con loro. L'eremo e le altre chiese consacrate al S. Spirito rivelano l'influsso degli spirituali i quali, infatti, sulla scia di Gioacchino da Fiore, aspettavano l'età dello Spirito Santo e avrebbero identificato più tardi proprio in Pietro-Celestino il papa angelico, il quale, secondo una profezia che circolava fin dalla metà del sec. XIII, doveva precedere quell'epoca come purificatore della Chiesa. Contatti di Pietro con i capi degli spirituali quali Pietro da Macerata e Angelo Clareno esistevano infatti già prima della sua elevazione al pontificato. Non è un caso che l’argomento dell’asino profetico (punto centrale del primo dialogo della Cabala bruniana), sarà tratto da un luogo paolino: «Or non avete voi unqua udito, che la pazzia, ignoranza ed asinità di questo mondo è sapienza, dottrina e divinità in quell'altro? (1Cor 2, 10-16)». Non bisogna spaventarsi, dunque, avvertirà Bruno, quando udite il nome d'asino, asinità, bestialità, ignoranza, pazzia, anche presentando Gesù a cavallo di un’asina e del suo puledro appena nato. Saulino, nel dialogo bruniano, esporrà, pertanto, la “cabalistica rivelazione”, secondo la quale, nell’ottava sfera, “dove consta la virtú dell'intelligenza de Raziele, l'asino o asinità è simbolo della sapienza”. Tra gli Atti firmati, o, come ben osserva Pastore, fatti firmare da papa Celestino V nel breve pontificato - 110 a L’Aquila, 19 in itinere, 34 a Napoli -, non manca la bolla del 14 o 17 settembre, che richiama la Bolla di Nicola IV (15/5/1290) con la quale si ordina di potere, i Commendatori ed i Cavalieri di S. Giacomo nei regni di Portogallo e di Algarvia, eleggere un Maestro. Cavalli, cavalieri, ma anche asini fanno presagire un’era nuova. Il brano dal Vangelo di Matteo (Mt 21, 1-11), che si proclama prima della processione nella Domenica delle Palme, accanto ai discepoli e alla folla di Gerusalemme, menziona per tre volte un’asina e il suo puledro. L’insistenza su questi due animali conferisce loro una particolare importanza narrativa: sono essenziali al racconto dell’evento che si sviluppa alle porte di Gerusalemme. Citando il libro del profeta Zaccaria (9,9) – Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma” –, Matteo ha già fornito una chiara chiave interpretativa della scelta che Gesù fa di cavalcare un’asina invece che di presentarsi su un cavallo, o addirittura su di un carro (Zac. 9, 9-10). Anche lui, fra’ Pietro, appena eletto papa, a dorso di un asinello percorse la Valle Peligna (Raiano) – la Valle Subequana, (Castelvecchio Subequo, Goriano Sicoli, Castel di Ieri, Acciano, Fontecchio) e quella Aquilana (Villa S. Angelo, Fossa) per raggiungere l’Aquila il 29 agosto a Collemaggio. L’11 ottobre 1294 a Sulmona, viene riferito addirittura un incontro tra asini e addirittura un miracolo di Celestino: «La guarigione di Angela di Giovanni di Pietro, giunta sin lì anch’ella  su di un asino, condotto dal marito, da Sant’Eufemia, presso Caramanico. Gonfia e tumida, di colore giallo, incapace di camminare e di fare alcunché… incontrò Celestino a cavallo anch’egli di un asino, lo supplicò, incrociò il suo sguardo e, alla sua benedizione, guarì all’istante. Ne rimase a lungo il ricordo a Caramanico, da dove diversi testimoni si portarono a Sulmona, a prestare la loro deposizione giurata dinanzi ai
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prof. Giustiniani reportsBy Scenari Futuri