Si sentiva, oggi, a Roma al primo svegliarsi, nell'aria, nella città, nelle cose, il segno di un mutamento improvviso.
Il caldo brillante del sole aveva per la prima volta una qualità particolare, adulta, matura, priva di brividi interni, del freddo nascosto come un'angoscia giovanile nel tepore luminoso dei giorni precedenti.
Era piombata dal cielo l'estate. Il verde era ancora primaverile, ma già appariva compatto e denso come la pelle del viso di una giovane donna che ha lasciato ormai la liscia trasparenza adolescente.
Era una metamorfosi naturale, che colpiva per la sua subitaneità, come sempre avviene qui a Roma, ma in modo piacevole per il bruciare dolce del sole e, nei vestiti ancora pesanti, il paesaggio dei corpi liberi.
I ragazzi giocavano al pallone sul prato, le prime persone apparivano, avanguardia dell'ore estive, sdraiate immobili sull'erba: il mutare della stagione era un segno di permanenza.
Ma scendendo il pendio della strada, i rumori che salivano dal basso erano diversi, e arrivati in fondo, a piazzale Flaminio che, con la sua forma irregolare e le molte strade che vi confluiscono da ogni parte, si stende come un lago dalle molte insenature, lo spettacolo che si apriva lo sguardo era quello di una confusa novità irriconoscibile.
Dovevano aver lavorato nella notte, come gli spiriti delle favole, a costruire confini, aiuole, muretti, parcheggi, segnali, per una nuova regola della circolazione: ogni aspetto e misura del luogo era cambiata e stravolta.
Il labirinto antico era forse un'immagine della foresta primitiva, e del caos, e forse dell'anima abitata dai mostri: una ricostruzione razionale dell’irrazionale, un luogo di perdita e di spaesamento.
I romani, oggi, arrivavano allegri e sicuri sul piazzale, e di colpo vi si fermavano come in un luogo ignoto, in un bosco nero.
Luoghi narranti narrati o citati: Piazzale Flaminio - Porta Pinciana
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È una città eterna e «fuggitiva», nobilissima e plebea, sempre in bilico tra il cammeo e la patacca, quella raccontata da Carlo Levi in questi scritti, che «sembrano inseguire Roma, nel suo splendore fuggitivo, nelle mosse in cui la sua bellezza pare espandersi, aprirsi a un nuovo sviluppo civile». Sfila in queste pagine intense, scritte tra il 1951 e il 1963, una moltitudine di tipi e personaggi, veri ritratti parlanti e gesticolanti di un mondo popolare, di antichissima civiltà, governato dalla più flemmatica e scettica filosofia di vita e insieme dotato di sorprendente vitalità.
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