RearmEurope. Strumenti per una guerra tra i nazionalismi europei
Già all’inizio del Novecento, ai tempi di Kraus, la maggioranza pacifista del mondo fu schiacciata dalla coalizione di industria bellica, politicanti inetti, media sdraiati e generali assetti di sangue; lo stesso sta avvenendo ora con lo smarrimento dei potenziali sistemi per fare rete e coordinarsi tra antimilitaristi. Commissari e lobbisti della Unione europea colgono l’occasione per sottrarre risorse al welfare e stornarle e dirigerle sulla filiera delle armi o al limite dual, addirittura il piano Von Der Leyen indica i protocolli di spesa da cui attingere senza aggiungere nuovi prelievi, se non derogando dal 3% di deficit, che significa in realtà alla fine nuove tasse, oltre a quelle derivanti dalla mancata erogazione dei servizi. La più classica economia di guerra.
Una serie di teatrini per il riarmo che nasce con l’infame Guerra del Golfo e passa attraverso i Balcani negli anni Novanta: la riconversione bellica delle produzioni civili per scopi militari, l’adeguamento delle reti infrastrutturali alle esigenze militari, la costruzione del nemico e la militarizzazione della società attraverso una complessa e articolata campagna mediatica, l’arruolamento dei civili nella mobilitazione bellica che parte dalle scuole, produce posti di lavoro precari e propone divise per il futuro.
Ora il problema è la accelerazione: il fronte di guerra si muove velocemente e va contrastata nella sua velocità. Diserzione, renitenza e obiezione dovunque è l’unica sopravvivenza possibile: tutti possono essere disertori del modello di guerra, che non è la norma, come tossicamente sbandierato dalla strategia del riarmo.
Non a caso è Macron il campione del RiarmNuke: è molto debole all’interno e trascinare la Francia in guerra potrebbe consentirgli di mantenere e consolidare il potere monarchico e soprattutto Thales è la più importante industria bellica in toto europea (Leonardo produce con e in Usa ed è recente l’accordo con Baykar per implementare tecnologie sofisticate sui maneggevoli e poco costosi droni turchi del genero di Erdogan).
Poi si parla di deterrenza, ma in realtà già così si spende ben di più che la Russia – come ha dimostrato Cottarelli, perdendo il posto di editorialista del Gruppo Gedi –, eppure non c’è stata deterrenza allora e quindi non ci sarà neppure gettando via altri 800 miliardi; quasi due terzi delle armi importate dai membri europei della Nato negli ultimi cinque anni sono state prodotte dagli Stati Uniti.
Inoltre Putin all’inizio dell’avventura ucraina aveva citato armi particolarmente sofisticate, non usate in quel conflitto, ma che sarebbero adatte per una guerra continentale contro potenze militari dotate di ordigni nucleari, dunque anche se la Russia fosse intenzionata a invadere (e non si capisce perché e con quali forze poi controllerebbe il territorio conquistato) non è dotandosi di armi in più che cambi qualcosa. Quindi è tutto costruito solo per imporre la difesa comune europea, ovvero un esercito europeo.