Arte Svelata

La Camera degli Sposi di Mantegna a Mantova


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La cosiddetta Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova, chiamata un tempo anche Camera picta (camera dipinta), è forse l’opera più famosa dell’artista rinascimentale Andrea Mantegna (1431-1506), pittore della corte mantovana dal 1460. Realizzata in un periodo compreso fra il 1465 e il 1474, è considerata uno dei grandi capolavori del XV secolo. Si tratta di una sala quadrata dalle dimensioni relativamente ridotte (8 metri circa di lato, con due finestre, due porte e un camino), collocata nel torrione nord-est del palazzo e coperta da una volta su peducci.
Questo ambiente aveva la duplice funzione di sala delle udienze, dove il marchese svolgeva la sua funzione pubblica, politico-amministrativa, e quella di camera di rappresentanza, destinata alle riunioni familiari. La sala venne chiamata Camera degli Sposi solo nel XVII secolo, non in quanto camera nuziale ma per la presenza di Ludovico Gonzaga e di sua moglie, ritratti in una posizione preminente.
Le circostanze della commissione
Le circostanze della commissione degli affreschi che decorano questa sala, e quindi l’esatta data della loro realizzazione, non sono state ancora definite con chiarezza. Tradizionalmente, l’occasione fu quella dell’elezione al soglio cardinalizio di Francesco Gonzaga, figlio del marchese Ludovico, divenuto cardinale assai giovane, nel 1462. D’altro canto, nello sguancio di una finestra, in un finto paramento marmoreo, è nascosta la data 16 giugno 1465, da sempre interpretata come data di inizio dei lavori. Nella targa dedicatoria retta dai putti della parete ovest si leggono, invece, il nome dell’artista e la data 1474, identificata come quella della fine dei lavori.
È pur vero che Francesco appare ritratto da Mantegna come un uomo adulto (nel ’65 aveva appena 21 anni), e questo spinge alcuni studiosi a postporre la commissione del ciclo pittorico a qualche anno dopo, per esempio nel 1472, quando il cardinale si recò a Mantova per ricevere il titolo di Abate commendatario di Sant’Andrea.
La finta architettura e la volta
Mantegna rese illusoriamente grandioso lo spazio angusto di questa piccola sala trasfigurandolo con una complessa decorazione interamente dipinta, che simula un’architettura di gusto antiquario. Una finta struttura a pilastri, ornata da motivi decorativi a candelabre, finte sculture, finte corone e finti medaglioni commemorativi, regge una volta a costoloni conclusa, al centro, da un’apertura circolare (oculo) sovrastata da un parapetto –dipinto in prospettiva – da cui si scorge il cielo. I costoloni, che dividono la superfice della volta in losanghe e pennacchi, sono impostati su peducci (realmente in rilievo), dotati di finti capitelli e corrispondenti a ognuno dei finti pilastri dipinti nelle pareti.
Le losanghe ospitano otto ritratti clipeati in finto stucco che raffigurano Giulio Cesare e i primi sette imperatori romani (in senso antiorario: Giulio Cesare, Ottaviano, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Galba, Otone).
I dodici pennacchi triangolari dipinti alla base della volta sono decorati con finti bassorilievi i cui temi, di ispirazione mitologica, celebrano simbolicamente le virtù del marchese Ludovico. Gli spazi fra un finto pilastro e l’altro, sottostanti ai pennacchi, sono sovrastati da altrettanti archi che creano lunette, decorate con festoni e imprese dei Gonzaga.
Il finto oculo
L’oculo alla sommità della volta, che richiama quello del Pantheon a Roma, è un ideale compluvium da cui entra la finta luce naturale, fonte d’illuminazione virtuale delle scene dipinte alle pareti. Questa apertura ha un diametro di circa un quarto del lato della stanza ed è circondata da una fastosa ghirlanda ricca di foglie e frutti.
Vi si affacciano un pavone, cinque figure femminili – una dama di corte e quattro domestiche, una delle quali di colore – e dieci putti alati, alcuni rappresentati in audacissimo scorcio sul lato i...
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