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Il cinema ha avuto da subito un rapporto privilegiato con l’arte. Sono stati molti, nel corso del Novecento, i registi che si sono più o meno esplicitamente ispirati a opere famose per inquadrare certe loro scene, a volte spingendosi fino alla citazione, oppure che si sono ispirati a certi linguaggi pittorici, nella scelta delle scenografie, delle inquadrature o delle luci. In fondo, il cinema non è altro che l’evoluzione della fotografia, che a sua volta si era ispirata alla pittura. In alcuni casi, sono stati invece gli artisti a prendere posizione rispetto al mondo del cinema, con contributi critici oppure partecipando direttamente alla stesura delle sceneggiature o alla realizzazione delle scenografie.
De Chirico e il cinema
Il pittore metafisico Giorgio de Chirico (1888-1978), per esempio, realizzò diverse scenografie e costumi per cinema e teatro. Nel suo Discorso sul cinematografo del 1943, propose diverse riflessioni sulle possibilità espressive del cinema. Secondo il pittore, la cosiddetta “settima arte” ha lo straordinario potere di «trasportare lo spettatore al di là della propria esistenza, in un mondo dove si può vivere una vita emotivamente più intensa, più intima e per certi versi più vera. Le immagini cinematografiche per il pittore sono come fantasmi, in grado di suscitare profonde emozioni, fatte più di spirito che di materia, e incarnare gli aspetti misteriosi, profondi e insondabili della vita» (V.Polito).
Giorgio de Chirico, Enigma dell’ora, 1911. Olio su tela, 55 x 71 cm. Firenze, Collezione privata.
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Dalí e il cinema
Anche i surrealisti dimostrarono sempre un vero e proprio entusiasmo per il cinema e gli riconobbero il potere di svelare la “surrealtà” e di liberare negli spettatori le forze dell’inconscio, allo stesso modo della loro pittura. André Breton (1896-1966), teorico del Surrealismo, nel primo Manifesto Surrealista definì il cinema «un occhio artificiale capace di riprendere uno spazio virtuale in cui immagini e realtà si fondono», in cui si incontrano le dimensioni del sogno e della vita. Salvador Dalí (1904-1989), fra i pittori surrealisti, fu quello che mostrò sempre il maggiore interesse per la cinematografia. Tra il 1928 e il 1929, pubblicò degli articoli in cui spiegò che in un film si potevano proporre immagini che sembravano provenire direttamente dall’inconscio.
André Breton, Manifeste du Surréalisme, Paris, 15 octobre 1924.
Dalí e Buñuel
I film propriamente surrealisti sono davvero pochi, e i due principali videro coinvolto Dalí in prima persona. Con il regista d’avanguardia spagnolo Luis Buñuel (1900-1983), il pittore realizzò, nel 1929, Un chien andalou, considerato una pietra miliare del cinema surrealista. Nel 1930, Dalí collaborò nuovamente con Buñuel, scrivendo alcune delle scene presenti in un altro film, L’âge d’or. In un susseguirsi di immagini che abbandonano la logica lineare della narrazione per disorientare lo spettatore, Buñuel e Dalí affrontarono temi cari al Surrealismo, come la dimensione onirica e psicoanalitica, l’istinto sessuale e la tensione erotica.
Nel cinema surrealista, come nella pittura, le immagini sono infatti simboliche e paradossali, il tempo e lo spazio vengono contratti o dilatati, senza alcuna aderenza alla realtà. Buñuel aveva affermato: «Io sono per un cinema che […] mi darà una visione integrale della realtà, accrescerà la mia conoscenza delle cose e delle creature, e mi spalancherà il meraviglioso mondo dell’ignoto». Buñuel concepiva il cinema come qualcosa di irriverente, utile a smontare la realtà convenzionale e la rappresentazione naturalistica per andare oltre l’apparenza delle cose. Ogni film, infatti, consente al pubblico di intraprendere un viaggio verso l’ignoto, accedendo a una dimensione poetica e misteriosa.
Un ritratto fotografico di Luis Buñuel.
Un chien andalou
Un chien andalou (Un cane andaluso) è un cortometraggio di circa 20 minuti, le cui scene, apparentemente prive di coerenza narrativa e cronologica, si configurano come un vero e proprio delirio onirico. La sceneggiatura venne scritta in meno di una settimana, seguendo due sole regole: non proporre idee che fossero razionalmente interpretabili e creare associazioni inconsuete e casuali. Un uomo e una donna sono reciprocamente attratti da una pulsione erotica intensa e violenta ma la loro relazione è ostacolata da varie situazioni e personaggi che si interpongono fra loro. Il film è famoso soprattutto per la prima, terrificante sequenza, in cui il regista medesimo affila un rasoio e si avvicina a una donna seduta, per spalancarle bene l’occhio e tagliarlo in due (ovviamente si trattò di un trucco di montaggio, e ad essere tagliato fu l’occhio di un bue morto).
Un fotogramma da Un chien andalou (1929), di Luis Buñuel, tratto dalla scena del taglio dell’occhio.
Un fotogramma da Un chien andalou (1929), di Luis Buñuel, tratto dalla scena del taglio dell’occhio.
Nonostante l’effetto orrorifico e disturbante, la scena ha chiaramente il significato di una metafora: bisogna spalancare gli occhi, aprirli meglio per guardare al di là dell’apparenza delle cose e scoprire gli aspetti reali della vita. Lo aveva sollecitato anche de Chirico, quando sostenne: «Bisogna scoprire l’occhio in ogni cosa», per scoprire una realtà diversa da quella che comunemente abbiamo sotto gli occhi, una realtà metafisica, sommersa, invisibile e tuttavia onnipresente.
Quello dell’occhio, peraltro, fu un soggetto ricorrente nella pittura di de Chirico e anche di Dalí: associato ad una simbologia apotropaica antichissima, rappresenta il «demone nascosto delle cose che la metafisica mette a nudo» (P. Baldacci). Il film venne definito dai suoi autori come l’incontro di due sogni. La scena della mano piena di formiche, per esempio, è un sogno-idea di Dalí; il coltello che taglia l’occhio, invece, un sogno-idea di Buñuel.
Un fotogramma da Un chien andalou (1929), di Luis Buñuel, tratto dalla scena delle formiche che scaturiscono dalla mano.
Una sequenza del film Un chien andalou (1929), di Luis Buñuel, con la scena del taglio dell’occhio.
Dalí e Hitchcock: Spellbound
Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1937, Salvador Dalí si avvicinò al mondo di Hollywood, dove conobbe il regista Alfred Hitchcock (1899-1980). Per il grande maestro del thriller, il pittore concepì la celebre scena onirica del film Spellbound (Io ti salverò), del 1945, definito dal regista «una storia di caccia all’uomo presentata in un involucro di pseudo-psicanalisi».
La dottoressa Costanza Petersen lavora in una clinica psichiatrica dove si presenta il nuovo direttore, che tuttavia si scoprirà essere un altro uomo, ossia un giovane che soffre di amnesia e si sospetta aver assassinato il vero dottore. Questi è anche affetto da una singolare fobia: perde i sensi ogni volta che vede linee scure parallele su fondo bianco. La dottoressa Petersen, innamorata di lui, cerca di rivelarne l’identità e di scoprire chi ha veramente assassinato il direttore.
Dalí con Alfred Hitchcock, sul set di Spellbound, 1945.
La scena onirica di Spellbound
Dalí realizzò 100 schizzi e cinque dipinti a olio da consegnare allo scenografo perché fossero prodotti. Secondo gli intenti del pittore surrealista, la sequenza onirica sarebbe stata molto più lunga (20 minuti circa), invece ne vennero realizzati solo tre minuti totali. All’epoca, infatti, non era proprio possibile concretizzare in un film molte delle idee di Dalí, come quella di sospendere dei pianoforti sospesi con figure immobili che fingevano di danzare. Altre scene, come quella in cui la protagonista, interpretata da Ingrid Bergman, si trasforma in una statua della dea Diana, vennero poi tagliate in fase di montaggio.
Dalí (al centro) con Ingrid Bergman vestita da Diana, sul set di Spellbound, 1945.
Dalí, nonostante l’ottimo rapporto con Hitchcock, se ne lamentò, definendo il film «un bel lavoro, in cui le parti migliori sono state tagliate». Ad ogni modo, la sequenza onirica di Dalí, con gli occhi giganti che spuntano dai tendaggi e vengono tagliati da grandi forbici (un evidente richiamo a Un chien andalou) è diventata un vero e proprio cult della storia del cinema.
Un particolare della scenografia disegnata da Dalí per Spellbound, 1945.
Un fotogramma del film Spellbound di Alfred Hitchcock (1945) tratto dalla scena onirica.
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Un fotogramma del film Spellbound di Alfred Hitchcock (1945) tratto dalla scena onirica.
Hitchcock su Dalí
Dal canto suo, Hitchcock spiegò, in una delle sue interviste: «[il produttore] Selznick pensava che volessi Dalí solo per motivi pubblicitari. Non era vero; pensavo che dovendo fare delle riprese di un sogno queste dovessero essere di grande effetto. Pensavo che non avremmo dovuto ricorrere all’effetto annebbiato troppo vecchio stile che si otteneva spalmando vaselina sull’obiettivo. Quello che avrei veramente voluto fare e che non ho potuto fare a causa dei costi era riprendere le scene del sogno alla viva luce del sole negli esterni dello stabilimento. Però ho usato Dalí per le sue qualità di disegnatore. Volevo realizzare i sogni con grande chiarezza e intensità visiva più intensi del film stesso. Giorgio de Chirico aveva le stesse qualità, le lunghe ombre, l’infinità della distanza e la convergenza delle linee prospettiche».
Un fotogramma del film Spellbound di Alfred Hitchcock (1945) tratto dalla scena onirica.
Una sequenza del film Spellbound di Alfred Hitchcock (1945) con la scena onirica.
Fantasia di Walt Disney
Sempre nel 1945, Salvador Dalí incontrò Walt Disney (1901-1966), già apprezzato regista di corto e lungometraggi di animazione. Tra i due nacque un’amicizia e la volontà di collaborare in progetti comuni.
Il manifesto del film di animazione Fantasia di Walt Disney, 1940.
Disney, appassionato d’arte, nel suo lavoro aveva già mostrato grande attenzione per la pittura europea del primo Novecento, in particolare per quella astratta e surrealista. Fantasia, film di animazione del 1940, composto da otto segmenti animati impostati su pezzi di musica classica, presenta molte scene e immagini che sembrano veri e propri quadri animati. In Fantasia, Disney volle costruire un sogno, fondendo immagini e suoni in un rapporto intimo e intenso.
Fu lui stesso a spiegarlo in occasione della première del film: «In una professione che è stata un viaggio senza fine alla scoperta dei regni del colore, del suono e del movimento, Fantasia rappresenta la nostra avventura più eccitante. Finalmente abbiamo trovato un modo per utilizzare in un film animato la grande musica di tutti i tempi e l’ondata di nuove idee che essa suscita».
Un fotogramma del film di animazione Fantasia di Walt Disney (1940).
Un fotogramma del film di animazione Fantasia di Walt Disney (1940).
Un fotogramma del film di animazione Fantasia di Walt Disney (1940).
Una sequenza del film di animazione Fantasia di Walt Disney, 1940.
Una sequenza del film di animazione Fantasia di Walt Disney, 1940.
Dumbo e gli elefanti rosa
Nel 1941, il film Dumbo presenta la celebre sequenza, molto vicina alla poetica surrealista, di un sogno allucinato dell’elefantino, il quale, essendosi ubriacato per errore, vede alcuni elefanti rosa, a strisce e multicolori che suonano dalle loro proboscidi, si trasformano continuamente e cantano un’ansiogena canzoncina (nella versione italiana del film è La parata degli elefanti rosa, interpretata dal Quartetto Cetra). Il film vinse l’Oscar del 1942 proprio come migliore colonna sonora per un musical.
Il manifesto del film di animazione Dumbo di Walt Disney (1941).
Un fotogramma del film di animazione Dumbo di Walt Disney (1941), tratto dal sogno dell’elefantino.
Un fotogramma del film di animazione Dumbo di Walt Disney (1941), tratto dal sogno dell’elefantino.
Un fotogramma del film di animazione Dumbo di Walt Disney (1941), tratto dal sogno dell’elefantino.
Una sequenza del film di animazione Dumbo di Walt Disney (1941), con il sogno dell’elefantino.
Dalí e Disney: Destino
Fu nel 1946 che Disney decise di coinvolgere Dalí nel progetto di un nuovo cortometraggio. Venne subito scelta la musica di una ballata messicana, Destino. Disney immaginò di costruirvi sopra la storia di una ragazza in cerca del suo amore. Dalí rilanciò proponendo di proiettare la protagonista in una dimensione spazio-temporale labirintica e metamorfica. La fanciulla, innamorata del Tempo, sarebbe stata obbligata a viaggiare attraverso spazi onirici e a sottoporsi a continui incantesimi. Scene e immagini sarebbero state frutto dell’inesausto immaginario surrealista di Dalí: distese desertiche solcate da lunghe ombre, architetture fantastiche, orologi molli, forme mutanti, tutti elementi già presenti nella pittura dell’artista.
Salvador Dalí, La persistenza della memoria, 1931. Olio su tela, 24 x 33 cm. New York, Museum of Modern Art.
Leggi anche: L’Enigma dell’ora di de Chirico e La persistenza della memoria di Dalì
Walt Disney e Salvador Dalí in una foto del 1946.
Salvador Dalí lavora negli studi Disney a un bozzetto per il film di animazione Destino, 1946.
Secondo le parole di Dalí, il film sarebbe diventato «una magica esposizione della vita nel labirinto del tempo». Il pittore, coadiuvato da John Hench (1908-2004), un artista che aveva già collaborato con Disney proprio per Fantasia e Dumbo, cominciò subito a produrre disegni e bozzetti. Il corto, tuttavia, non fu mai realizzato, a causa della crisi economica della Disney, provocata dalla Seconda guerra mondiale.
Fotogramma del film di animazione Destino, cominciato da Walt Disney e Salvador Dalí (1946), e completato e prodotto dalla Walt Disney Company (2003).
Fotogramma del film di animazione Destino, cominciato da Walt Disney e Salvador Dalí (1946), e completato e prodotto dalla Walt Disney Company (2003).
Destino 2003
Oltre cinquant’anni dopo, nel 1999, Roy Disney, nipote di Walt, decise di riprendere in mano il progetto e di portarlo a compimento. Un team di circa 25 animatori fu incaricato di decifrare gli storyboards di Dalí, conservati in archivio, avvalendosi dei diari scritti dalla moglie dell’artista, Gala, e della testimonianza di Hench, all’epoca ancora vivo. Il corto, che dura poco più di 6 minuti, non è probabilmente l’esatta ricostruzione di quanto aveva inizialmente immaginato Dalí: resta, tuttavia, un riuscito e sincero omaggio al genio di due grandi artisti. Uscito nel 2003, Destino è stato candidato all’Oscar nel 2004 come miglior cortometraggio d’animazione.
Fotogramma del film di animazione Destino, cominciato da Walt Disney e Salvador Dalí (1946), e completato e prodotto dalla Walt Disney Company (2003).
Fotogramma del film di animazione Destino, cominciato da Walt Disney e Salvador Dalí (1946), e completato e prodotto dalla Walt Disney Company (2003).
Versione integrale del film di animazione Destino, cominciato da Walt Disney e Salvador Dalí (1946), e completato e prodotto dalla Walt Disney Company (2003).
Disney e l’arte
Il rapporto fra Disney e l’arte fu sempre molto intenso e non si fermò al legame con il Surrealismo. Sin dagli esordi della sua carriera, Disney infarcì i suoi lungometraggi di animazione con riferimenti, suggestioni, addirittura esplicite citazioni di particolari tratti da quadri, sculture e anche architetture. A partire dal celebre Castello di Neuschwanstein, edificio neogotico, già di per sé da fiaba, costruito nella seconda metà del XIX secolo per volontà di Ludovico II di Baviera.
Il castello, proprio per le sue caratteristiche, fu scelto da Walt Disney per il logo della casa cinematografica, sotto forma di silhouette; inoltre, fece da modello per i castelli principeschi dei film Biancaneve, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco e Rapunzel. Benché si tratti di un bizzarro pastiche architettonico, che non tiene nel minimo conto il reale aspetto dei castelli gotici, l’edificio è oggi uno dei più visitati della Germania, in ogni stagione dell’anno. Grazie a Disney, infatti, nell’immaginario collettivo esso è diventato il più tipico dei castelli medievali.
Castello di Neuschwanstein, 1869-86. Schwangau, Baviera, Germania.
Castello della Disney.
Altro esempio emblematico è quello del personaggio della matrigna di Biancaneve, tratto quasi alla lettera da una scultura gotica che si trova nella Cattedrale di Naumburg, in Germania: è il ritratto della bella Uta degli Askani, resa più cattiva con piccoli ritocchi nella linea delle labbra e delle sopracciglia. E non è affatto da escludere, com’è stato giustamente osservato, che per dare un nuovo, credibile volto alla strega cattiva, trasformatasi in vecchia megera, Disney abbia poi tratto ispirazione dagli inquietanti dipinti di Goya, quelli della Quinta del Sordo, animati da personaggi ributtanti e demoniaci.
Maestro di Naumburg, Ekkehard e Uta, 1255-65. Uta, particolare del volto. Pietra dipinta. Cattedrale di Naumburg, Germania.
Grimilde in un fotogramma del film di animazione Biancaneve di Walt Disney, 1937.
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Francisco Goya, Due vecchi che mangiano, 1819–1823. Olio su muro trasferito su tela, 49,3 × 83,4 cm. Madrid, Museo del Prado.
La strega in un fotogramma del film di animazione Biancaneve di Walt Disney, 1937.
La Disney, dobbiamo dirlo, ha spesso amato citare, ricostruire o reinventare un Medioevo fantastico, con le sue suggestive o inquietanti atmosfere. In quell’epoca e in quel mondo, a metà fra storia e fantasia, sono, per esempio, ambientati Biancaneve e i sette nani (1937), La bella addormentata nel bosco (1959), La spada nella roccia (1963), Robin Hood (1973), Rapunzel (2010) – e infatti vi ritroviamo numerosi richiami medievali come abiti, streghe, maghi, draghi, boschi, castelli e cavalieri – ma anche più recenti live action (film con attori in carne e ossa), come Into the Woods e Maleficent, entrambi del 2014, e il sequel di quest’ultimo, Maleficent-Signora del male, del 2019.
Rientrano nell’immaginario medievale di Disney anche i cosiddetti gargoyles di Notre-Dame che in realtà sono neogotici perché risalgono agli anni 1843-1864. Il loro autore fu l’architetto Eugène Viollet-le-Duc, fantasioso restauratore della grandiosa cattedrale.
I 54 mostri di pietra – demoni cornuti, arpie, fiere, cani rabbiosi, basilischi (rettili favolosi che secondo le credenze medievali davano la morte con lo sguardo) – posti da Viollet-le-Duc lungo il perimetro della copertura della cattedrale, idealmente a guardia dell’edificio, ritornano nel film di animazione della Disney, Il gobbo di Notre Dame, basato su un romanzo di Victor Hugo (Notre–Dame de Paris. 1482, noto anche come Nostra Signora di Parigi, pubblicato nel 1831).
Solo che, nel cartoon, gli orrifici gargoyles diventano tre buffe e amabili sculture animate, Victor, Hugo e Laverne, che si prodigano per rendere un po’ più felice il giovane, malinconico e sfortunato Quasimodo, il deforme campanaro della cattedrale francese.
Eugène Viollet-le-Duc, gargoyles della Cattedrale di Notre Dame a Parigi, 1843-1864.
Un fotogramma del film d’animazione Il gobbo di Notre Dame (1996), diretto da Gary Trousdale e Kirk Wise e prodotto dalla Disney.
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