Arte Svelata

La Valle dei Templi di Agrigento


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La città greca di Akràgas fu fondata in Sicilia dagli abitanti della vicina Gela nel 581 a.C. e divenne presto uno dei centri urbani più importanti e prosperi del mondo antico. Fu poi chiamata Agrigento dai Romani. La Valle dei Templi, edificata nel V secolo a.C., occupava il margine sud della città. Non era quindi l’Acropoli, che invece si trovava più a monte. Il nucleo originario, quello di età greca, comprendeva dieci templi, tre santuari e due piazze; in Età romana furono poi edificati alcune necropoli, un quartiere residenziale e una sala del consiglio cittadino.

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Tra i templi più importanti si distinguono il Tempio della Concordia (quasi perfettamente conservato), il Tempio di Giunone, il Tempio di Eracle e il Tempio di Zeus Olimpio (ridotti a ruderi).  Con i suoi 1300 ettari di estensione, la Valle dei Templi è uno dei Parchi archeologici più vasti del mondo, oltre che uno dei più famosi. Dal 1997, è diventata patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Una veduta di insieme della Valle dei Templi, 480 a.C. Agrigento. Foto aerea.
Tempio di Demetra/Chiesa di San Biagio

La visita del Parco archeologico inizia dalla cima della Rupe Atenea dove, ci dice lo storico greco antico Polibio, si trovava un Santuario di Zeus Atabyrios e di Athena Lindia. L’antico Tempio di Demetra, costruito fra il 480 e il 470 a.C., è stato inglobato nella chiesetta medievale di San Biagio. Era un edificio privo del colonnato esterno e costituito da una semplice cella, preceduta da un pronaos con due colonne. Della struttura originaria si conservano il basamento (crepidoma), ancora in parte visibile, i muri esterni della cella e, all’interno, quelli divisori tra cella e pronaos.

Chiesa di San Biagio (XIII sec.) ricavata dal Tempio di Demetra, 480 e il 470 a.C. Agrigento, Valle dei Templi. Facciata.
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Chiesa di San Biagio (XIII sec.) ricavata dal Tempio di Demetra, 480 e il 470 a.C. Agrigento, Valle dei Templi. Veduta absidale con il crepidoma originale.
Tempio di Giunone

Scendendo lungo la Via Panoramica dei Templi, s’incontra il cosiddetto Tempio di Hera o di Giunone (Tempio D), in realtà dedicato ad Atena, come suggeriscono gli studi più recenti. Fu edificato a metà del V secolo a.C., intorno al 460-450 a.C. Ha un crepidoma di 4 gradoni. È di ordine dorico, periptero esastilo, con una peristasi di 6 x 13 colonne, a imitazione del Tempio della Concordia con cui condivide le dimensioni generali e alcune singole misure.

Cosiddetto Tempio di Giunone, V secolo a.C. Agrigento, Valle dei Templi.
Cosiddetto Tempio di Giunone, V secolo a.C.
Cosiddetto Tempio di Giunone, V secolo a.C. Particolare con il crepidoma.

Le colonne, alte 6 metri e 44 centimetri, sono costituite da 4 rocchi ciascuna. Il nàos, oggi perduto, era privo di colonnato interno, doppiamente in antis e dotato di prònaos e opistòdomos. L’edificio, come quasi tutti i templi agrigentini, venne distrutto dai cristiani per ricavarne materiale da costruzione. È quindi ridotto allo stato di rudere. Davanti al tempio, si trovano ancora i resti dell’ara sacrificale.

Cosiddetto Tempio di Giunone, V secolo a.C. Veduta della peristasi.
Tempio della Concordia

Il Tempio della Concordia è un tempio dorico periptero di età classica, edificato intorno al 430 a.C. Costruito con un calcare conchiglifero locale, che gli dona una suggestiva tinta dorata, è considerato, per il suo stato di conservazione, uno degli edifici sacri più belli dell’antichità. Non si sa a chi fosse dedicato; il nome «Tempio della Concordia» risale al XVI secolo ed è frutto di una interpretazione fantasiosa delle fonti. Intorno al 590-597 d.C. fu trasformato in basilica cristiana e dedicato ai santi Pietro e Paolo. A quell’epoca risale l’apertura di alcuni archi nelle pareti della cella (6 per lato). Rimase una chiesa fino al 1790 circa: circostanza che ha favorito il mantenimento di un buono stato di conservazione.

Tempio della Concordia, 440-430 a.C. Agrigento, Valle dei Templi.

Il tempio si innalza su un basamento (crepidòma) formato da quattro gradoni. La peristasi che circonda il naòs è di 6 x 13 colonne. Il tempio è quindi esàstilo. Sullo stilòbate del crepidòma, ossia il gradino superiore, si appoggiano direttamente i fusti delle colonne, senza base. Ogni colonna, alta 6,67 metri, ha il fusto scanalato con 20 scanalature. L’entasi del fusto si trova verso i 2/3 dell’altezza. La colonna è solo lievemente rastremata; essendo il tempio del V secolo a.C., il suo fusto è quasi cilindrico.

Tempio della Concordia, 440-430 a.C. Particolare con il crepidoma e le colonne del prospetto.
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Tempio della Concordia, 440-430 a.C. Particolare con le colonne della peristasi.

L’echino del capitello, poco sporgente, è simile a una tazza. La trabeazione, costituita da architrave, fregio e cornice, ha il fregio decorato da metope e triglifi. I frontoni con i loro timpani sono ancora perfettamente conservati. Il tetto, oggi caduto, era coperto da tegole marmoree. Lo si raggiungeva tramite due scale a chiocciola.

Tempio della Concordia, 440-430 a.C. Particolare con il frontone.

Il nàos, le cui pareti sono ancora in piedi, è preceduto da un prònaos in antis. Era in antis anche l’opistòdomos, oggi mancante perché distrutto in età cristiana. Il tempio era dipinto con intonaco bianco ad eccezione del fregio e del timpano, colorati di rosso e di blu.

Tempio della Concordia, 440-430 a.C. Particolare con il pronaos in antis.
Tempio della Concordia, 440-430 a.C. Particolare con le pareti del naos, aperte da arcate in età cristiana.
Tempio della Concordia, 440-430 a.C. Modellino ricostruttivo con la cromia originaria.
Tempio di Eracle

Il Tempio di Eracle, un tempo uno dei più belli dell’antichità, fu edificato intorno al 510 a.C. in onore di Eracle, molto venerato ad Agrigento. Oggi è quasi completamente distrutto ma se ne può intuire l’antico splendore. Sorgeva su un ampio crepidoma di quattro gradoni, che misurava circa 78 metri x 28, occupando una superficie di 2.056,89 mq. Raggiungeva un’altezza di oltre 16 metri. Delle sue 38 colonne (6 su ogni prospetto principale e 15 sui lati lunghi, contando anche quelle degli angoli) se ne conservano solo 9 della peristasi, rialzate nel 1922.

Tempio di Eracle, 510 a.C. Agrigento, Valle dei Templi. Veduta di parte della peristasi.
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Tempio di Eracle, particolare di un rocchio di colonna, con l’incavo utilizzato per montare, tramite un perno, il rocchio superiore.
Tempio di Zeus Olimpio

Il Tempio di Zeus Olimpio (detto anche Olympeion), costruito nel 480-479 a.C., ebbe il primato di essere il tempio più grande del mondo greco. Oggi è completamente distrutto, essendo crollato a seguito di un terremoto nel 1401. Fino al secolo XVIII, i suoi resti vennero utilizzati come materiale di spoglio. Le poche informazioni in nostro possesso ci impediscono di ricostruirne l’aspetto originario con certezza. Sappiamo che aveva una struttura inconsueta, per i criteri architettonici greci dell’epoca. Su un crepidoma di cinque gradoni si innalzava un recinto dalle pareti continue, decorate con sette semicolonne doriche sui lati corti e quattordici sui lati lunghi. Questa soluzione è detta pseudo-peristasi.

Modellino del Tempio di Zeus ad Agrigento. Agrigento, Museo Archeologico Nazionale. Veduta angolare.
Modellino del Tempio di Zeus ad Agrigento. Agrigento, Museo Archeologico Nazionale. Facciata.

Il tempio era quindi ettastilo e in facciata presentava due ingressi laterali. In alto, i prospetti erano decorati con colossali telamoni, ossia statue alte sette metri e mezzo, che si alternavano alle semicolonne. Questi giganti, delle gambe serrate e piedi uniti, busto massiccio e possenti braccia ripiegate dietro la testa, parevano reggere il peso della trabeazione e del tetto. In realtà, avevano funzione decorativa.

Modellino del Tempio di Zeus ad Agrigento. Agrigento, Museo Archeologico Nazionale. Fianco.
Tempio di Zeus ad Agrigento. Un telamone caduto.

All’interno del recinto, si trovava un corridoio perimetrale che correva intorno ad un nàos molto stretto e allungato, i cui muri erano irrobustiti da dodici pilastri per ciascuno dei lati lunghi.

Tempio di Zeus Olimpio, 480-479 a.C. Pianta.
Modellino del Tempio di Zeus ad Agrigento. Agrigento, Museo Archeologico Nazionale. Veduta dall’alto.

Le dimensioni di questo tempio erano davvero inusitate per l’architettura greca. La sola trabeazione era alta 7,48 metri, il diametro delle colonne era di 4,30 metri, con scanalature così ampie che vi si poteva entrare comodamente. L’altezza delle colonne è stata calcolata tra i 14,50 e i 19,20 metri.

Modellino del Tempio di Zeus ad Agrigento. Agrigento, Museo Archeologico Nazionale. Particolare con le colonne, i telamoni e la trabeazione.
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Modellino del Tempio di Zeus ad Agrigento. Agrigento, Museo Archeologico Nazionale. Particolare con le colonne e i telamoni
Telamone dell’Olympeion, 480-470 a.C. Calcarenite, altezza 765 cm. Agrigento, Museo Archeologico Regionale.
Il Guerriero di Agrigento

Non sappiamo se i frontoni del Tempio di Zeus avevano statue e se il frego della trabeazione era decorato con bassorilievi. Lo storico greco Diodoro Siculo, vissuto nel I secolo a.C., cita la presenza di scene di Gigantomachia e della Guerra di Troia nelle due facciate, ma non specifica se si trattasse di decorazione frontonale o delle metope.

La recente scoperta, tra il Tempio di Zeus e il Tempio di Eracle, dei frammenti di una scultura di guerriero (una coscia, il busto e la testa), oggi ricomposte, fa propendere per la prima ipotesi. Si trattava di una figura in movimento, probabilmente un guerriero caduto in ginocchio impegnato a tenere con il braccio sinistro lo scudo, per proteggersi le spalle. Il braccio destro, perduto, teneva probabilmente la spada. Indipendentemente dalla sua originaria collocazione, la statua è pregevolissima e si configura come un magnifico esempio di Stile Severo in Sicilia. Sia la muscolatura tesa e scattante del busto sia l’espressione concentrata del viso contratto esprimono una potente vitalità. È stata proposta, per questa scultura, l’attribuzione a Pitagora di Reggio.

Guerriero di Agrigento, 480-475 a.C. Agrigento, Museo Archeologico Regionale.
Tempio dei Diòscuri

Il cosiddetto Tempio dei Diòscuri, o Tempio L, anch’esso di ordine dorico, fu costruito nella seconda metà del V secolo. Non ne è rimasto praticamente nulla. È stato chiamato Tempio dei Dioscuri o Tempio di Castore e Polluce (i figli di Zeus e della regina di Sparta) in modo assolutamente arbitrario. Le quattro colonne oggi in piedi sono il risultato di una ricostruzione effettuata a metà Ottocento, con pezzi di epoche diverse rinvenuti in zona. In realtà, paradossalmente, proprio questo frammento di architettura è diventato il simbolo stesso della Valle dei Templi: non c’è souvenir che non lo riproduca. Poche le informazioni, in nostro possesso, sul suo aspetto originario. Sappiamo che anche questo tempio, come quello della Concordia e di Giunone, aveva sei colonne sui lati corti e tredici su quelli lunghi. Probabilmente, il nàos era doppiamente in antis e terminava con prònaos e opistòdomos.

Tempio dei Diòscuri, V secolo a.C. Agrigento, Valle dei Templi.
Mitoraj: arte moderna, bellezza antica

Davanti al Tempio della Concordia è stata installata un’opera d’arte contemporanea. Si tratta dell’Icaro caduto dello scultore polacco Igor Mitoraj (1944-2014), donata dall’artista al sito archeologico della Valle dei Templi. La statua rappresenta il personaggio mitologico di Icaro che, disubbidendo al padre Dedalo, volò troppo vicino al sole, bruciò le sue ali di cera e precipitò nel Mediterraneo.

Igor Mitoraj, Icaro caduto, 2011. Bronzo. Agrigento, Valle dei Templi, Tempio della Concordia.

Mitoraj è stato molto attivo in Italia. Ha sviluppato un particolare rapporto con il modello statuario classico, concependolo solo nella dimensione del frammento o del reperto archeologico. Icaro caduto sembra un moncone di angelo imperfetto, magnifico nella sua fisicità ma incompiuto. Una caratteristica delle opere di Mitoraj è infatti quella di spezzare le figure, tirando fuori dettagli dall’insieme fino a rendere enigmatica la loro astrazione solenne; i suoi volti hanno la bocca serrata ma anche, quasi sempre, gli occhi chiusi o bendati, quasi a voler marcare la condizione umana di solitudine e di incomunicabilità, una perdita di identità diventata fatalmente collettiva. Diceva: «vivo dell’oggi e questo è il mio modo di raccontarlo».

Igor Mitoraj, Icaro caduto, 2011. Particolare del volto.

Mitoraj credeva nella bellezza, la cercava e la riconosceva nel mondo, nell’uomo e nel corpo umano in particolare. Per questo egli ha voluto recuperare un rapporto con l’arte classica che alla fine dei conti non si è mai esaurito. Ma quanto l’uomo moderno ha mantenuto, in sé, di quell’antica bellezza, quella stessa che segnò le gloriose civiltà del passato? Non molto, evidentemente. Quell’idea antica di perfezione si è rotta, anzi, è andata in frantumi. Quella mitica percezione di compiutezza è oramai smarrita. L’uomo di oggi, novello Icaro, eroe mutilato, fragile e precario, può solo rimpiangerla, vagheggiarla.

Igor Mitoraj, Icaro caduto, 2011. Veduta posteriore.

Vero è che, talvolta, nei corpi frammentati di Mitoraj, metafora dei nostri corpi, una piccola finestra ricavata nella carne svela minuscoli volti di uomini nuovi che paiono vivere dentro di loro, e quindi in noi, e che attendono di rinascere. Un piccolo anelito di speranza. Come germogli da una pianta che sembra oramai secca, possiamo, forse, rifiorire.

Igor Mitoraj, Icaro caduto, 2011. Particolare della schiena.
Igor Mitoraj, Icaro caduto, 2011. Particolare della schiena.

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