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L’Esposizione Internazionale di Parigi del 1900 si era dimostrata poco aperta alla celebrazione di uno dei miti essenziali del XX secolo: l’arte decorativa. La produzione art nouveau, dai complementi d’arredo all’architettura, aveva trovato uno spazio espositivo molto limitato. Una ripresa di interesse nei confronti delle arti applicate, da parte di pubblico e critica, si ebbe grazie ad una iniziativa italiana: nel 1902, Torino organizzò la prima edizione di una Esposizione Internazionale delle Arti Decorative Moderne. L’esperienza si sarebbe ripetuta nella capitale francese nel 1907, se una serie di circostanze avverse, non ultima la tensione politica tra gli stati che avrebbe condotto allo scoppio della guerra, non avesse bloccato l’iniziativa. Solo nel 1925, si riuscì ad organizzare a Parigi l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e industriali moderne, da cui fu desunto il nome per il fenomeno che seguì all’Art Nouveau e che segnò il gusto europeo e americano del ventennio successivo: l’Art Déco. Con questo termine, o con quello ugualmente diffuso di Stile 1925, si classificano oggetti di design, motivi decorativi, lavori di grafica e perfino alcune opere di pittura, scultura e architettura realizzate in Europa e negli Stati Uniti fra il 1915 e il 1940.
L’arte del vetro ebbe una notevole importanza per l’affermazione dell’Art Déco. Gli architetti attribuirono sempre a questo materiale un ruolo all’interno dei loro progetti e le grandi vetrate déco, che arricchiscono gli edifici realizzati negli anni Venti e Trenta, costituiscono ancora oggi una testimonianza quanto mai significativa di questo stile. In Europa, l’artista del vetro più famoso ed influente fu il francese René Lalique (1860-1945), già protagonista indiscusso della precedente Art Nouveau.
Lalique aveva iniziato la sua carriera come orafo, conquistando uno straordinario successo internazionale con i suoi magnifici gioielli. A partire dagli anni Venti, la sua ditta produsse centinaia di modelli di boccette di profumo, scatole, vasi, orologi e ancora lampade, cornici per fotografie e servizi da tavola: pezzi, in vetro lavorato e talvolta colorato, caratterizzati per la loro luminosa opalescenza. Lalique realizzò anche monumentali complementi per l’architettura: ricordiamo solo i pannelli con figure per i più grandi hotel inglesi e americani. Il successo incontrastato di questo artista incoraggiò molte altre vetrerie ad imitare la sua produzione ma la tecnica segreta e impareggiabile di Lalique non fu mai eguagliata.
Tra gli opifici più rinomati dell’epoca, è da ricordare anche la celebre industria francese dei fratelli Daum, che aveva prodotto vetri art nouveau dal 1880 al 1900. I loro oggetti déco in vetro inciso o porcellana, realizzati soprattutto negli anni Trenta, si caratterizzarono per il frequente ricorso a motivi floreali fortemente stilizzati e a forme decorative geometriche, soprattutto linee rette e forme circolari combinate, in modo da creare composizioni astratte dove potevano inserirsi frutti, motivi floreali o paesaggi stilizzati.
La forma più comune di vasi, tazzine e teiere era piuttosto semplice, priva di elementi superflui; talvolta invece, questi oggetti assumevano forme molto irregolari, senza dubbio originali ma, nel complesso, poco funzionali.
Hoffmann, grande protagonista dell’Art Nouveau austriaca, continuò la sua produzione di oggetti anche durante la stagione Art Déco. Le scanalature e le bande verticali delle sue tazze e dei suoi vasi costituirono uno dei motivi decorativi più diffusi di questo stile.
L’architetto italiano Gio Ponti (1891-1979) è considerato tra le figure più rappresentative nel settore della produzione di ceramica nel periodo Art Déco. Direttore della ditta di porcellane e ceramiche Richard Ginori dal 1923, ideò una serie di oggetti originali per forma e decoro.
Un particolare settore di produzione art déco fu quello delle statuine in ceramica. I soggetti potevano ispirarsi all’antichità (ninfe, dee con gli occhi a mandorla e le sopracciglia molto arcuate) o essere moderni e divertenti (donne elegantemente vestite, ballerini o musicisti con abiti vivacemente colorati).
Nella storia del design déco merita un posto di rilievo la ceramista inglese Clarice Cliff (1899-1972), una vera pioniera nel suo campo. Operaia da quando aveva 13 anni, decorava a mano ceramiche molto classiche, ma la sera studiava per apprendere nuove tecniche e imparare nuovi stili.
All’inizio degli anni Venti, venne notata da uno dei proprietari della fabbrica in cui lavorava, Colley Shorter, che poi, anni dopo, sarebbe diventato suo marito. Shorter decise di puntare sulla talentuosa ceramista e le consentì di creare una propria linea di prodotti, Bizarre, firmata, con una sigla di vernice color ruggine, Bizarre by Clarice Cliff e caratterizzata da decorazioni a figure geometriche o naturali molto stilizzate, pennellate spesse e corpose, colori squillanti.
La collezione, così moderna e allegra, pensata per un pubblico ampio e non esclusivo, lasciò sconcertati i maschi dell’epoca, tendenzialmente conservatori, ma entusiasmò le donne, che garantirono alle ceramiche Bizarre, e alla loro autrice, un successo clamoroso, e per almeno vent’anni. Forte dei risultati ottenuti, la Cliff intervenne anche sulle forme degli oggetti (servizi da tè e da caffè, vasi, bicchieri, piatti) proponendo audacissimi profili spezzati invece dei tradizionali curvi o circolari e giochi di volumi intersecati. Senza dubbio, gli oggetti rivoluzionari di questa artista contribuirono a trasformare e modernizzare il gusto europeo del primo Novecento. La stessa Cliff fu un modello vincente di riscatto sociale e di emancipazione femminile, diventando la prima donna direttrice artistica delle fabbriche di ceramiche Newport Pottery e A. J. Wilkinson.
Grazie alle sue caratteristiche formali semplici e geometriche, il gusto déco (a differenza di quello art nouveau) si prestò ad essere tradotto in una versione massificata. Se i primi oggetti déco erano stati straordinariamente costosi, perché prodotti per una clientela prestigiosa, presto l’industria si lanciò a riproporli con materiali meno pregiati e per tutte le tasche. La diffusione di nuove materie, come la plastica, alimentò anche la richiesta di pezzi destinati all’uso domestico o al grande pubblico, coerentemente rispondenti a un diverso principio estetico.
I designers industriali inventarono nuove forme per accendini, macchine fotografiche, apparecchi radiofonici, jukebox, mezzi di trasporto, e ridisegnarono oggetti tradizionali, come lampade, orologi e portacipria. Fu completamente rivoluzionata la concezione di alcuni elettrodomestici, come il celebre aspirapolvere della Hoover, il telefono da tavolo, la lavatrice e il frigorifero, la celeberrima macchina da scrivere MP1 della Olivetti.
L'articolo Clarice Cliff e gli oggetti dell’Art Déco proviene da Arte Svelata.
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L’Esposizione Internazionale di Parigi del 1900 si era dimostrata poco aperta alla celebrazione di uno dei miti essenziali del XX secolo: l’arte decorativa. La produzione art nouveau, dai complementi d’arredo all’architettura, aveva trovato uno spazio espositivo molto limitato. Una ripresa di interesse nei confronti delle arti applicate, da parte di pubblico e critica, si ebbe grazie ad una iniziativa italiana: nel 1902, Torino organizzò la prima edizione di una Esposizione Internazionale delle Arti Decorative Moderne. L’esperienza si sarebbe ripetuta nella capitale francese nel 1907, se una serie di circostanze avverse, non ultima la tensione politica tra gli stati che avrebbe condotto allo scoppio della guerra, non avesse bloccato l’iniziativa. Solo nel 1925, si riuscì ad organizzare a Parigi l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e industriali moderne, da cui fu desunto il nome per il fenomeno che seguì all’Art Nouveau e che segnò il gusto europeo e americano del ventennio successivo: l’Art Déco. Con questo termine, o con quello ugualmente diffuso di Stile 1925, si classificano oggetti di design, motivi decorativi, lavori di grafica e perfino alcune opere di pittura, scultura e architettura realizzate in Europa e negli Stati Uniti fra il 1915 e il 1940.
L’arte del vetro ebbe una notevole importanza per l’affermazione dell’Art Déco. Gli architetti attribuirono sempre a questo materiale un ruolo all’interno dei loro progetti e le grandi vetrate déco, che arricchiscono gli edifici realizzati negli anni Venti e Trenta, costituiscono ancora oggi una testimonianza quanto mai significativa di questo stile. In Europa, l’artista del vetro più famoso ed influente fu il francese René Lalique (1860-1945), già protagonista indiscusso della precedente Art Nouveau.
Lalique aveva iniziato la sua carriera come orafo, conquistando uno straordinario successo internazionale con i suoi magnifici gioielli. A partire dagli anni Venti, la sua ditta produsse centinaia di modelli di boccette di profumo, scatole, vasi, orologi e ancora lampade, cornici per fotografie e servizi da tavola: pezzi, in vetro lavorato e talvolta colorato, caratterizzati per la loro luminosa opalescenza. Lalique realizzò anche monumentali complementi per l’architettura: ricordiamo solo i pannelli con figure per i più grandi hotel inglesi e americani. Il successo incontrastato di questo artista incoraggiò molte altre vetrerie ad imitare la sua produzione ma la tecnica segreta e impareggiabile di Lalique non fu mai eguagliata.
Tra gli opifici più rinomati dell’epoca, è da ricordare anche la celebre industria francese dei fratelli Daum, che aveva prodotto vetri art nouveau dal 1880 al 1900. I loro oggetti déco in vetro inciso o porcellana, realizzati soprattutto negli anni Trenta, si caratterizzarono per il frequente ricorso a motivi floreali fortemente stilizzati e a forme decorative geometriche, soprattutto linee rette e forme circolari combinate, in modo da creare composizioni astratte dove potevano inserirsi frutti, motivi floreali o paesaggi stilizzati.
La forma più comune di vasi, tazzine e teiere era piuttosto semplice, priva di elementi superflui; talvolta invece, questi oggetti assumevano forme molto irregolari, senza dubbio originali ma, nel complesso, poco funzionali.
Hoffmann, grande protagonista dell’Art Nouveau austriaca, continuò la sua produzione di oggetti anche durante la stagione Art Déco. Le scanalature e le bande verticali delle sue tazze e dei suoi vasi costituirono uno dei motivi decorativi più diffusi di questo stile.
L’architetto italiano Gio Ponti (1891-1979) è considerato tra le figure più rappresentative nel settore della produzione di ceramica nel periodo Art Déco. Direttore della ditta di porcellane e ceramiche Richard Ginori dal 1923, ideò una serie di oggetti originali per forma e decoro.
Un particolare settore di produzione art déco fu quello delle statuine in ceramica. I soggetti potevano ispirarsi all’antichità (ninfe, dee con gli occhi a mandorla e le sopracciglia molto arcuate) o essere moderni e divertenti (donne elegantemente vestite, ballerini o musicisti con abiti vivacemente colorati).
Nella storia del design déco merita un posto di rilievo la ceramista inglese Clarice Cliff (1899-1972), una vera pioniera nel suo campo. Operaia da quando aveva 13 anni, decorava a mano ceramiche molto classiche, ma la sera studiava per apprendere nuove tecniche e imparare nuovi stili.
All’inizio degli anni Venti, venne notata da uno dei proprietari della fabbrica in cui lavorava, Colley Shorter, che poi, anni dopo, sarebbe diventato suo marito. Shorter decise di puntare sulla talentuosa ceramista e le consentì di creare una propria linea di prodotti, Bizarre, firmata, con una sigla di vernice color ruggine, Bizarre by Clarice Cliff e caratterizzata da decorazioni a figure geometriche o naturali molto stilizzate, pennellate spesse e corpose, colori squillanti.
La collezione, così moderna e allegra, pensata per un pubblico ampio e non esclusivo, lasciò sconcertati i maschi dell’epoca, tendenzialmente conservatori, ma entusiasmò le donne, che garantirono alle ceramiche Bizarre, e alla loro autrice, un successo clamoroso, e per almeno vent’anni. Forte dei risultati ottenuti, la Cliff intervenne anche sulle forme degli oggetti (servizi da tè e da caffè, vasi, bicchieri, piatti) proponendo audacissimi profili spezzati invece dei tradizionali curvi o circolari e giochi di volumi intersecati. Senza dubbio, gli oggetti rivoluzionari di questa artista contribuirono a trasformare e modernizzare il gusto europeo del primo Novecento. La stessa Cliff fu un modello vincente di riscatto sociale e di emancipazione femminile, diventando la prima donna direttrice artistica delle fabbriche di ceramiche Newport Pottery e A. J. Wilkinson.
Grazie alle sue caratteristiche formali semplici e geometriche, il gusto déco (a differenza di quello art nouveau) si prestò ad essere tradotto in una versione massificata. Se i primi oggetti déco erano stati straordinariamente costosi, perché prodotti per una clientela prestigiosa, presto l’industria si lanciò a riproporli con materiali meno pregiati e per tutte le tasche. La diffusione di nuove materie, come la plastica, alimentò anche la richiesta di pezzi destinati all’uso domestico o al grande pubblico, coerentemente rispondenti a un diverso principio estetico.
I designers industriali inventarono nuove forme per accendini, macchine fotografiche, apparecchi radiofonici, jukebox, mezzi di trasporto, e ridisegnarono oggetti tradizionali, come lampade, orologi e portacipria. Fu completamente rivoluzionata la concezione di alcuni elettrodomestici, come il celebre aspirapolvere della Hoover, il telefono da tavolo, la lavatrice e il frigorifero, la celeberrima macchina da scrivere MP1 della Olivetti.
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