XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Am 6,1.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
L’ABISSO E IL PONTE
Dalla fame di cose alla sete di Amore
Avete mai provato quella sensazione di avere tutto... e nello stesso tempo di sentire che manca qualcosa? Come quando finisci un pasto abbondante ma ti resta un vuoto nello stomaco... o quando compri l’ultima novità tecnologica e dopo due giorni ti accorgi che non ti ha davvero reso più felice... come se dentro avessimo un abisso che sembra non colmarsi mai.
Ecco, la Parola di questa domenica ci mette davanti a questo mistero. Abbiamo ascoltato il profeta Amos che denuncia chi vive nello sfarzo, nella cattiva spensieratezza, come se niente e nessuno potesse toccarli o impensierirli. Personaggi, questi, ripresi da Gesù nella parabola del Vangelo di oggi, attraverso un ricco, indicato come “epulone”, cioè “sprecone”: viene descritta una scena con banchetti sontuosi, vestiti lussuosi... e fuori dalla porta di quella casa, c’è un povero con un nome, Lazzaro, trascurato, dimenticato. Il ricco invece, di nome non ne ha.
E qui già ci viene rivelata una cosa interessante: quando l’abisso dentro di me diventa più forte della fame di relazione, io perdo il mio volto, perdo la mia identità. Ma perché cerchiamo di riempire questo abisso nelle cose sbagliate? Perché rincorriamo il nuovo modello di telefono, il vestito all’ultima moda, l’esperienza estrema, il contenuto che deve stupire tutti sui social? Lo facciamo per saziare un vuoto... ma spesso invece di riempirlo lo rendiamo più grande.
Ricordo una volta di un ragazzo, poteva avere 14-15 anni, che in procinto di una festa di capodanno aveva solo un desiderio, voleva solo - detta a parole sue - distruggersi; con alcool e droghe leggere, balordie di fine anno. Io l’ho rivisto poco dopo capodanno... mi ha detto che non ricordava quasi niente, a parte il malessere fisico. Aveva fatto quanto promesso, forse per trovare qualcosa, un’identità... ma io mi chiedo: come fai a trovare qualcosa di importante, se la prima cosa che perdi è te stesso? La verità è che più cerchiamo di riempire l’abisso con cose, più questo diventa profondo. Pensateci: compri il nuovo telefono, all’inizio ti sembra di avere tutto... ma dopo un po’ di tempo guardi già al modello successivo. Così, più cerchi di riempire l’abisso con cose, più diventa profondo.
O ancora: cerchi lo scatto perfetto, il post che tutti devono commentare sui social... ma subito dopo senti che non ti basta. Di nuovo: più cerchi di riempire l’abisso con cose, più diventa profondo. E poi: la cena in cui siamo tutti a tavola, ma ognuno con lo sguardo sullo schermo. Alla fine ci alziamo più soli di prima, perché mentre cerchiamo qualcosa immersi in quel mondo che abbiamo tra le mani, non sappiamo più chi abbiamo accanto, e ancora una volta: più cerchi di riempire l’abisso con cose, più diventa profondo. Il Vangelo ci provoca proprio con un’immagine drammatica: questo abisso di cui abbiamo parlato che pian piano diventa addirittura invalicabile. Il ricco si è infine ritrovato in una condizione in cui è ormai incapace di colmare la distanza che lui stesso ha scavato nella vita. È l’abisso tra lui e Dio, tra lui e i fratelli, tra lui e se stesso. E noi? Quali abissi stiamo scavando?
La buona notizia è che, se lo vogliamo, questo abisso non è il nostro destino. Non dobbiamo per forza rassegnarci a questa fame senza fine. Dio non ci lascia in quel vuoto, ci offre il giusto modo per colmarlo: ci viene incontro. Ci dona il suo Figlio risorto, che spezza per noi il Pane. Ci dona la sua Parola, che ci invita ad ascoltare, proprio come suggerisce Abramo nella parabola: “Ascoltino Mosè e i profeti”. Quella parola che, come ci ricorda San Paolo oggi, ci insegna che la gioia non è fatta di illusioni ma di allenamento: «persegui giustizia, pietà, fede, amore, perseveranza». In altre parole: riempi l’abisso non di cose, ma di virtù.
Ad esempio, giustizia può essere ascoltare davvero chi ci chiede aiuto, senza giudicare; pietà è pregare per chi soffre, anche quando non lo conosciamo; fede è fidarci di Dio anche nei momenti bui; amore è un gesto di tenerezza verso chi ci sta vicino; perseveranza è non smettere di fare il bene, anche quando siamo stanchi. Trasforma, in definitiva, la fame di “avere” nella sete di “essere”. Perché la fame di cose non si placa mai. La fame di amore invece sì, e questo ci basta. Allora la domanda diventa personale: chi è Lazzaro per me? Chi sta fuori dalla porta della mia vita? Forse è un povero concreto, che incontro per strada.
Forse è un familiare dimenticato. Forse è una parte di me stesso che continuo a lasciare fuori, che non voglio ascoltare. Cercalo, trovalo. L’Eucaristia che celebriamo oggi ci insegni che il banchetto della nostra vita non può essere riservato solo a pochi privilegiati: come la tavola di Dio, si apra a tutti, perché ogni abisso diventi ponte; sazi la nostra fame col Pane vero, il pane dell’amore; ci faccia incontrare quel qualcuno che non dimentica mai il nostro nome, ma lo pronuncia sempre con amore. Portiamo oggi a casa proprio questa immagine: il ricco aveva tutto, ma non aveva più un nome. Lazzaro non aveva niente, ma era sempre nel cuore di Dio.
E questo ha fatto la differenza. Fratelli e sorelle, non lasciamo che l’abisso dentro di noi diventi la tomba della nostra identità. Lasciamo che sia Dio, con il suo amore, a colmarlo. È proprio Lui che per primo lo desidera attraversare, per trasformarlo in ponte. Apriamo la porta, facciamo entrare il nostro Lazzaro, ascoltiamo la Parola, spezziamo il Pane. Solo così la fame diventa comunione, e l’abisso diventa incontro.
Amen.