Il podcast di don Andres Bergamini

Omelia della XXX domenica TO anno C messa con scout e bambini di catechismo in BVI ore 18


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Due uomini al tempio: un racconto per imparare a pregare

Questa sera abbiamo ascoltato la parabola dei due uomini che salgono al tempio per pregare: un fariseo e un pubblicano. Due persone molto diverse, due modi opposti di rivolgersi a Dio. Attraverso di loro, Gesù ci insegna qualcosa di profondo sulla preghiera e sull’atteggiamento del cuore.

Il fariseo: l’esperto delle cose di Dio

Il fariseo era una persona che conosceva molto bene la Bibbia e le leggi religiose. Era esperto in tutto ciò che riguardava Dio e, in un certo senso, si sentiva anche un modello per gli altri. Nella sua preghiera, infatti, dice: “Ti ringrazio, Signore, perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano.”

Egli è convinto di essere buono, di fare tutto correttamente: rispetta la legge, prega, digiuna, dà la decima. Ma nella sua sicurezza si nasconde qualcosa di pericoloso: l’orgoglio. Il fariseo si esalta, pensa di essere migliore degli altri. È come uno scout che, sapendo fare tutto — il fuoco, il nodo, l’impresa di squadriglia — guarda dall’alto in basso chi è meno capace. Essere competenti è una cosa buona, ma disprezzare chi non lo è, no.

La presunzione di essere giusti

Gesù racconta questa parabola, dice il Vangelo, “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. La presunzione è proprio questo: pensare di essere chissà chi, di non avere bisogno di niente e di nessuno. Chi è presuntuoso non si accorge dei propri limiti, e così la sua preghiera diventa un monologo in cui non chiede nulla a Dio.

Il fariseo, infatti, ringrazia Dio ma in realtà non gli chiede nulla: si limita a dire “io sono bravo”. È una preghiera vuota, perché chi non sente il bisogno non lascia spazio a Dio.

Il pubblicano: il peccatore che chiede aiuto

L’altro uomo della parabola è il pubblicano. A differenza del fariseo, non è stimato da nessuno. I pubblicani erano gli esattori delle tasse, spesso ricchi ma disonesti, perché intascavano una parte di ciò che riscuotevano. Erano considerati peccatori pubblici, persone corrotte, quasi dei criminali.

Eppure, proprio questo uomo, disprezzato da tutti, prega con sincerità. Non alza gli occhi al cielo, si batte il petto e dice soltanto: “O Dio, abbi pietà di me peccatore.” È una preghiera semplice e vera, fatta con umiltà. Lui sa di non essere giusto, riconosce il proprio limite e chiede aiuto.

Gesù dice che questo uomo, e non l’altro, torna a casa “giustificato”. Cioè perdonato, accolto, reso giusto da Dio.

Essere giustificati da Dio

Che cosa significa essere giustificati? È come quando si manca a scuola e serve una giustificazione. Non possiamo scriverla da soli: serve la firma dei genitori. Così anche davanti a Dio: non possiamo “giustificarci” da soli, ma è Lui che ci rende giusti.

Il pubblicano non cerca di difendersi, non dice “non è colpa mia”, ma si affida completamente al Signore. E Dio, che è il miglior “giustificatore”, accoglie la sua umiltà.

La condizione per essere ascoltati

C’è una sola condizione perché Dio ascolti la nostra preghiera: riconoscere il nostro bisogno. Come uno scout che chiede aiuto al capo quando non sa accendere il fuoco, così anche noi dobbiamo rivolgerci a Dio con sincerità, dicendo “non riesco da solo”.

Se invece ci presentiamo come il fariseo, convinti di sapere tutto, Dio non può fare nulla per noi, perché non Gli lasciamo spazio. Ma se ammettiamo le nostre difficoltà, Lui interviene subito.

Le nostre preghiere quotidiane

Abbiamo tanti bisogni: essere consolati quando siamo tristi, ritrovare un’amicizia rotta, chiedere perdono, pregare per una persona malata. Tutto questo può diventare preghiera se lo presentiamo a Dio con cuore umile.

La prima lettura ci ricordava che la preghiera del povero arriva subito al Signore. E il povero non è solo chi non ha soldi, ma chi riconosce di avere bisogno.

Il segreto della preghiera vera

Gesù ci insegna che Dio ascolta le preghiere dei piccoli, dei semplici, dei bisognosi. Non quelle di chi si glorifica o si vanta delle proprie opere. Anche con i nostri genitori lo sperimentiamo: se chiediamo qualcosa con dolcezza e umiltà — “per favore, mi aiuti, non riesco da solo” — tocchiamo il loro cuore.

Così è con Dio. Quando gli diciamo con sincerità “aiutami”, Lui ci ascolta subito.

Conclusione: pregare come il pubblicano

Alla fine, Gesù ci invita a fare come il pubblicano: riconoscere la nostra povertà e chiedere aiuto. È questo il segreto della vera preghiera. In un momento di silenzio, ciascuno di noi può pensare al proprio bisogno e presentarlo al Signore, senza paura, con fiducia. Perché Dio ascolta sempre chi si affida a Lui con cuore umile.
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Il podcast di don Andres BergaminiBy Andres Bergamini