La festa di oggi si collega bene al Vangelo della domenica scorsa, dove Gesù, in cammino verso Gerusalemme, si rivolgeva alla folla parlando delle condizioni per essere suoi discepoli. Aveva posto tre richieste decisive: amarlo più di tutto, anche più dei familiari e della propria vita; prendere la propria croce come segno di sequela; spogliarsi dei propri beni per non essere ostacolati nel seguirlo con libertà.
Il rischio di avere troppi legami o troppe ricchezze è quello di perdere la fiducia in Lui, di pensare di poter contare solo sulle nostre forze. Al contrario, chi non ha nulla può confidare interamente in Dio.
L’esperienza del popolo nel deserto
Questa dinamica si ritrova nella prima lettura, dove il popolo d’Israele, liberato dall’Egitto, si trova stanco e nauseato nel cammino verso la Terra promessa. Non comprende più il senso dell’uscita dall’Egitto, non sopporta il viaggio e diventa “piccolo d’animo”, incapace di guardare avanti.
Questa situazione descrive bene anche la nostra vita: momenti in cui siamo affaticati e provati da malattie in famiglia, difficoltà con i figli, lavori pesanti o assenti, precarietà economiche. Tutto questo ci porta a sentirci alla fine, quasi morti, e a rivolgere a Dio domande dure: “Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto? Perché ci fai morire nel deserto?”.
I serpenti brucianti e la conversione del cuore
Il Signore, davanti a questo lamento, manda i serpenti brucianti che mordono e fanno morire. Non è uno scherzo, ma un segno forte. Subito il popolo, ferito, riconosce il peccato: “Abbiamo parlato contro di te e contro il Signore. Prega per noi”. È bastato il morso di un serpente per aprire gli occhi e spingerli a rimettersi in cammino.
Dio non elimina i serpenti, ma offre un antidoto: chi guarda al serpente di bronzo innalzato viene salvato. È una parabola potente: il male rimane, ma Dio dà un segno che costringe a rialzare lo sguardo, a confidare di nuovo in Lui, a ritrovare la fiducia nella sua promessa di vita. Non vuole la morte del popolo, ma donargli la Terra promessa.
Contempliamo la croce
Il serpente di bronzo diventa profezia di Cristo: la croce è il centro della festa di oggi.
Guardando il crocifisso cosa vediamo?
Prima di tutto un uomo, Gesù, morto come noi. San Paolo ai Filippesi ci ricorda che Lui, pur essendo Dio, si è fatto uomo fino a consegnarsi alla morte di croce, obbedendo al Padre.
Quel corpo umiliato e obbediente ci mostra il Figlio che si affida totalmente a Dio. Guardando la croce possiamo sentirci anche colpevoli: non siamo stati capaci di custodire il dono d’amore del Padre, ma abbiamo respinto e crocifisso il Figlio. Tuttavia, proprio lì si manifesta l’amore più grande: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”.
Sul crocifisso vediamo un uomo muto, che non risponde, che chiede solo aiuto al Padre. Questo può scandalizzare, perché è un’immagine dura. Eppure è proprio lì che si concentra la salvezza: Dio non manda il Figlio per condannare, ma per salvare. Con le braccia aperte, Cristo accoglie ciascuno, anche il peccatore più lontano.
Guardando il crocifisso comprendiamo che la croce non è sconfitta, ma passaggio verso la vittoria della risurrezione. È il segno che apre alla vita eterna, la via che trasforma anche le nostre difficoltà in cammino di salvezza.
La croce nella nostra vita quotidiana
Siamo circondati da crocifissi: nelle chiese, nelle case, nelle icone. Guardarli significa riconoscere in essi i crocifissi di oggi: i sofferenti, le vittime della guerra, i malati, i poveri. La croce diventa allora il segno universale in cui ogni uomo si può riconoscere, non solo nel dolore, ma soprattutto nella promessa della vita eterna.
Gesù innalzato attira tutti a sé: la sua morte non è la fine, ma la via per la salvezza. Per questo Paolo invita ciascuno a piegare le ginocchia e proclamare: “Gesù Cristo è il Signore”.
Conclusione: lo sguardo della fede
Oggi, in questa festa, sono invitato a guardare alla croce con fiducia, a scorgere in quel segno non la condanna, ma l’amore che salva. Cristo crocifisso è il nostro re vincitore, non lo sconfitto: è Lui che apre la via della risurrezione e della vita eterna.
E così, piegando il cuore davanti a Lui, posso ringraziarlo e ritrovare la gioia di sapere che in ogni prova non sono solo, ma accompagnato da Colui che ha vinto la morte.