Riflettendo sul canto di Isaia, mi colpisce l’immagine di una “città forte” proclamata proprio nella terra di Giuda, una terra che è reduce dall’esilio, segnata dalla distruzione di Gerusalemme. Mi chiedo allora da dove venga davvero questa forza nuova, questa possibilità di rialzarsi. Isaia dice che le mura e i bastioni sono posti “a salvezza”: sembrerebbero fortificazioni militari, ma subito il profeta aggiunge: “Aprite le porte”. Capisco allora che non si tratta di una città chiusa, che si difende con la sua potenza, ma di una città che si fonda sull’apertura.
Una nazione giusta e fedele
L’invito “aprite le porte” mi appare come un criterio spirituale: entra solo una nazione giusta, che si mantiene fedele, con una volontà salda. Mi risuona la consapevolezza che proprio giustizia e fedeltà erano ciò che il popolo aveva smarrito lungo la strada dell’alleanza con il Signore. E riconosco che anche nella mia vita la sicurezza non nasce dalle mie capacità di imporre, di dominare, di convincere con forza gli altri, ma dalla fedeltà, dalla semplicità, da quel cammino umile in cui mi rimetto alla santità di Dio. Non è facile: spesso mi sento lontano, in difficoltà, ma la parola del profeta insiste. È Dio a garantire la pace a chi confida in Lui.
La pace come dono dall’alto
Mi fermo allora sul tema della pace. Isaia dice che la pace non è qualcosa da conquistare con sforzi umani, ma un dono che viene dall’alto. Certo, richiede il mio cammino nella giustizia, ma prima di tutto è il frutto della fedeltà di Dio, del suo patto che non viene mai meno. Mi incoraggia l’invito: “Confidate nel Signore sempre, perché Egli è una roccia eterna”. Sento la forza di questa promessa: qualunque sia la mia situazione — peccato, lontananza, smarrimento, silenzio interiore, solitudine, incapacità — la Scrittura mi dice che posso sempre confidare nel Signore. È una roccia che non cede, come quella evocata nel Vangelo quando Gesù descrive l’uomo saggio che ascolta la parola e la mette in pratica.
Gli oppressi e i poveri: i veri cittadini della città di Dio
Un dettaglio mi sorprende e mi spiazza: chi calpesta questa città? Non un esercito potente, ma i piedi degli oppressi, i passi dei poveri. Gli abitanti veri di questa città non sono i forti, ma coloro che portano davanti a Dio la propria povertà, il proprio limite, la propria oppressione. Penso allora ai passi del Messia: Gesù stesso, che sulla croce ha vissuto l’umiliazione. Apparentemente sconfitto, in realtà ne è uscito vincitore proprio grazie alla sua umiltà, alla sua fiducia nel Padre, alla sua giustizia.
Il cammino spirituale: piccoli gesti che aprono alla pace
Questo diventa anche per me un’indicazione chiara nel tempo di Quaresima: riscoprire i piccoli gesti di fedeltà, di cura, di attenzione alla Parola. Sono questi gesti che mi rendono stabile, che mi radicano in Dio e mi dispongono a ricevere il suo dono di pace. Ed è ai piccoli, ai poveri, agli umili che questo dono viene offerto, mentre “i potenti sono rovesciati dal trono”, come dice Maria nel Magnificat.
Rinnovare l’impegno
Alla fine, sento il bisogno di raccogliermi nel silenzio e rinnovare il mio impegno: ascoltare, seguire con umiltà il Vangelo, rimettermi con fiducia su quella roccia eterna che non vacilla.