Ci facciamo guidare ancora una volta dalla figura di Daniele, un testimone straordinario di fedeltà a Dio. Riflettendo su di lui, vedo un uomo stimato, riconosciuto, ma proprio per questo oggetto di invidie e malizie. I suoi accusatori agiscono con cattiveria, cercano il suo punto debole — la sua fedeltà — e lo trasformano in un’arma contro di lui. Manipolano il re, sfruttano i meccanismi del potere e insinuano che Daniele sia irrispettoso, per ottenere una condanna esemplare e durissima.
Di fronte a tutto questo, ciò che mi colpisce è la serenità interiore di Daniele: lui rimane saldo, non si nasconde, continua a pregare tre volte al giorno. La sua preghiera è identità, respiro quotidiano, non un gesto privato o timoroso. Daniele vive alla luce del sole ciò che per lui è essenziale.
Il dramma del re Dario e le sue ambiguità
Mentre penso a Daniele, percepisco che la figura forse più tragica di tutta questa storia è quella del re Dario. È affascinato da Daniele, vorrebbe salvarlo, ma non ci riesce: è prigioniero delle sue leggi, dei suoi funzionari, del ruolo che deve recitare. È tormentato, non dorme, digiuna, si agita… eppure rimane legato a quell’ambiguità che lo blocca.
In lui riconosco tante situazioni della mia vita: momenti in cui credo di avere potere, ma in realtà non sono davvero fedele al Signore, bensì a me stesso, alla mia immagine, al ruolo che devo mantenere. Il re è l’uomo che vorrebbe convertirsi, ma non riesce a rompere la gabbia che lui stesso ha costruito.
La fossa dei leoni: luogo di morte che diventa notte pasquale
Quando Daniele viene gettato nella fossa dei leoni, tutto sembra perduto. È un luogo senza ritorno, sigillato. Eppure ciò che dovrebbe essere morte certa si trasforma in una notte pasquale: un angelo lo custodisce, lo salva, lo tiene al riparo dal male.
La sua innocenza è proclamata, ma comunque deve passare attraverso quella fossa. E una volta che ne esce, il giudizio cade su chi lo aveva accusato. Il re, invece, sembra mostrare segni di un cambiamento: forse è un po’ ipocrita, ma in qualche modo anche lui viene liberato dalla sorte di Daniele. La sua confessione di fede è sorprendente: riconosce che il Dio di Daniele è vivo, eterno, liberatore. E addirittura decreta che tutti debbano rispettare quel Dio.
La mia chiamata a una fedeltà quotidiana
Alla luce di questa storia, sento rivolto anche a me l’invito alla fedeltà: una fedeltà quotidiana, concreta, non nascosta, come quella di Daniele. Una fedeltà che non scende a compromessi con ciò che mi distrae, mi affascina o mi tenta.
Sono chiamato a confidare nel Signore anche nelle prove, senza paura dei “leoni” che possono apparire sulla mia strada, perché la speranza che Lui dona illumina sempre l’oscurità.
La conversione del re mi insegna che chiunque può diventare annunciatore della salvezza, anche chi sembra debole, incoerente o ostinato.
Per questo chiedo al Signore di prendermi per mano nella mia fragilità, di aiutarmi a custodire quei piccoli segni di preghiera, di attenzione e di fedeltà quotidiana. Solo così posso diventare luce per le persone che vivono accanto a me.