Quando ho riletto l’appello di Giovanni Battista – “Convertitevi perché il Regno dei Cieli è vicino” – mi sono sentito colto un po’ alla sprovvista. Durante la settimana ci eravamo già trovati con gli altri preti per leggere le letture della domenica, e invito sempre tutti a farlo: è importante prepararsi un po’ prima. Ma nonostante questo, quell’appello mi ha sorpreso, come se mi dicesse direttamente: “Andrea, convertiti.”
E subito mi sono chiesto che cosa significhi davvero convertirsi. Anche perché, come quei farisei e sadducei, io spesso mi sento “a posto”. Non ho l’impressione di dover cambiare chissà cosa. Aspettiamo il Natale, qualcuno prepara il presepe, io no perché dove sono c’è già chi lo fa… Ma quali segni concreti di attesa e di conversione stiamo vivendo?
La risposta della gente a Giovanni Battista
Il Vangelo racconta di una risposta enorme da parte della gente: da Gerusalemme, da tutta la Giudea, dalla zona del Giordano. Tutti accorrevano da quest’uomo un po’ strano, vestito come un antico profeta, per farsi battezzare e confessare i peccati. E io confesso che a volte mi sento lontano da questo slancio.
Mi è tornata alla mente la domenica scorsa, quando parlavamo di Noè. Noè costruiva l’arca sotto gli occhi di tutti, annunciava il diluvio, ma nessuno si accorgeva di nulla. Anche noi oggi, forse, ci accorgiamo “un po’” soltanto. Ma il Vangelo ci spinge a un cammino più forte e più coinvolgente: convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino.
Il Regno dei Cieli è vicino: non una semplice confessione
Questa frase – “il Regno dei Cieli è vicino” – mi ha colpito profondamente. Non parla solo di andare a confessarsi, che è comunque importante (anche se non abbiamo mai lunghe file, e forse è anche colpa nostra perché proponiamo poco questo appuntamento). La conversione non è un atto estemporaneo.
Quando Giovanni Battista dice che il Regno dei Cieli è vicino, ci invita ad aprire il cuore: cambiare mente, fare penitenza, alzare lo sguardo verso la speranza. Il Regno dei Cieli non è un regno come quelli terreni, quelli segnati da guerre, divisioni, isolamento. È un regno che si avvicina proprio mentre noi facciamo fatica a vederlo.
La sferzata di Giovanni a farisei e sadducei
Giovanni Battista non risparmia una durissima sgridata a farisei e sadducei – e a tratti mi ci riconosco – chiamandoli “razza di vipere”. Vipere che scappano per non essere disturbate. E li ammonisce: non illudetevi che basti dire “abbiamo Abramo per padre”; non basta sentirsi già a posto.
Poi però aggiunge una frase che per me è stata fondamentale: “Fate un frutto degno di conversione.” Non una buona azione isolata, ma un frutto, qualcosa che richiede tempo, semina, preparazione. Come insegna Gesù nelle parabole: portare frutto è un lavoro.
Il virgulto dal tronco di Iesse: il segno della speranza
Nella prima lettura troviamo l’immagine straordinaria del virgulto che spunta dal ceppo di Iesse, quel tronco morto dopo l’esilio, quando tutto sembrava finito: città distrutta, re falliti, una storia spezzata. Un ceppo secco, come quelli su cui inciampiamo nei boschi.
Eppure da lì nasce qualcosa di nuovo. Su questo virgulto si posa lo Spirito del Signore, e i segni del Regno sono sorprendenti: il lupo che vive con l’agnello, il leopardo con il capretto, il vitello con il leoncello, la mucca con l’orsa. La natura stessa sembra pacificata per la comunione.
E ancora: “Non agiranno più iniquamente, né saccheggeranno in tutto il mio santo monte.” Una visione di convivenza che parla al nostro presente.
Il frutto richiesto: l’accoglienza reciproca
Allora penso che il frutto degno di conversione che ci viene chiesto oggi sia proprio questo: accoglienza. Anche Paolo lo ribadisce: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi.”
Non si tratta soltanto di generosità, ma di viverci con rispetto nelle nostre diversità, accogliendoci reciprocamente. E qui il lavoro è tanto: in famiglia, tra fratelli, tra amici, sul posto di lavoro. È una palestra continua, forse più impegnativa del convivere tra lupi e capretti.
Ma questo è il segno del Regno che arriva: il Messia verrà a battezzarci in Spirito Santo e fuoco. Non solo per convertirci, ma per darci la vita eterna. Il suo Regno sarà di pace e giustizia per sempre. Ma perché questo accada, anche noi dobbiamo prepararci offrendo i nostri piccoli frutti.
Convertirci agli altri per costruire la comunione
Convertirsi agli altri significa cambiare mentalità, mettersi nei loro panni, ascoltarli, cercare insieme il bene comune. Il Regno dei Cieli non può trovarci isolati o indifferenti: deve trovarci già in cammino verso una comunione concreta, quella che già sperimentiamo nella comunità, nelle famiglie, nella vita di tutti i giorni.
Un esempio semplice: la comunione vissuta attorno a un piatto
L’altro giorno sono stato a mangiare da Antenore un ottimo piatto di spaghetti con il pesce. E mentre scherzavamo – “il Regno dei Cieli è vicino, e anche il limoncello… anzi, il nocino!” – mi rendevo conto che anche in questi gesti semplici c’è un’anticipazione del Regno: la gioia di stare insieme, la fraternità, la comunione.
Mi sono sentito un po’ come un’orsa dentro quella piccola casa, ma felice: perché è in questi rapporti che impariamo l’accoglienza e ci prepariamo al Signore che viene.
Accodarci al popolo in cammino verso Giovanni Battista
E così desidero accodarmi a quella folla che andava da Giovanni Battista, non per isolarmi, ma per portare frutti di conversione. Per prepararmi ad accogliere il Signore che viene, con la mia piccola parte nella grande comunione che già oggi possiamo costruire e gustare.