Oggi mi ha colpito la questione del re, che ritorna sia nella prima lettura che nel Vangelo. È un tema affascinante, soprattutto per l’immagine che Iotam utilizza per spiegare la situazione. Abimelek, figlio di Gedeone – che abbiamo sentito ieri – vuole diventare re a tutti i costi, arrivando addirittura a sterminare tutti i suoi fratelli, tranne uno: Jotam, il più giovane, che racconta questa bella parabola degli alberi.
Gli alberi cercano un re e vanno dall’ulivo, ma questo risponde: «Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano Dio e gli uomini, per andare a primeggiare sugli alberi?». Poi si rivolgono al fico, che dice: «Rinuncerò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito?». Infine alla vite, che risponde: «Rinuncerò al mio mosto, che allieta Dio e gli uomini?».
Il significato della rinuncia e il pericolo del potere
Questa immagine è davvero forte: per esercitare il potere, per “liberarsi sugli alberi”, bisogna rinunciare a ciò che si ha di più bello e caratteristico. L’ulivo deve lasciare l’olio, il fico la dolcezza, la vite il vino. Il potere, per come lo intende Abimelek, non solo implica violenza, ma comporta anche una perdita di identità e di ricchezza interiore.
E chi finisce per governare? Il rovo, l’albero più spinoso e inutile, simbolo di ciò che non ha nulla di buono. Così diventa re Abimelek, ma durerà poco. Questo è un avvertimento anche per noi: ogni volta che agiamo con dinamiche “regali” nel senso umano – prevaricando, volendo primeggiare – non solo facciamo del male agli altri, ma perdiamo anche noi stessi, la nostra bellezza, la nostra dolcezza, ciò che ci rende unici. Primeggiare ci rovina.
Il modo di essere re secondo Gesù
Gesù, invece, ci ha insegnato un modo di essere re completamente diverso: non è un re che domina, ma un re che dà la vita, che si offre per gli altri. Lui è re sulla croce, proprio nel momento in cui sembra sconfitto. Il processo lo dice chiaramente: «Se sei re dei Giudei…», e alla fine lo crocifiggono. Ma lì, sul legno della croce, Gesù regna davvero, donando la vita per amore.
La parabola degli operai nella vigna
Il Vangelo di oggi ci propone anche la parabola della vigna. Non abbiamo il tempo di soffermarci molto, ma è una storia che rovescia la nostra logica. Il bello non è quanto denaro si riceve, ma il fatto di poter stare nella vigna, di lavorare con il Signore. Che tu sia arrivato la mattina, a mezzogiorno, alle tre o alle cinque, la vera ricompensa è la presenza di Dio, non il salario.
Bellissimo quando il padrone chiede: «Perché state tutto il giorno qui senza far niente?» e loro rispondono: «Nessuno ci ha chiamato». Che tristezza non essere chiamati da nessuno, sentirsi inutili. E invece il Signore chiama tutti, dà un posto a ciascuno nella sua vigna. Nessuno resta senza ricompensa. Gli ultimi come i primi.
Siamo noi che roviniamo tutto con le nostre lamentele, con la nostra “giustizia da quattro soldi”, facendo confronti e mormorando. Chiediamo al Signore di imparare da Lui: a non perdere i grandi tesori che ci ha dato, ma a spenderli bene, con equilibrio e amore verso gli altri.