Da lunedì abbiamo iniziato a leggere il Libro della Sapienza come prima lettura della Messa, e continueremo fino a sabato. È quindi una buona occasione per noi, che amiamo la Bibbia, di prenderla in mano e leggerla per intero, non solo nei brani scelti che la liturgia ci propone. Dalla settimana prossima poi cominceremo con il Libro dei Maccabei, quindi sempre nuove sorprese e spunti di riflessione.
Oggi voglio soffermarmi su tre inviti, tre esortazioni che questo libro ci rivolge. Anche se il testo parla ai re, ai governanti, a coloro che hanno potere e responsabilità, in realtà riguarda anche ciascuno di noi. Perché, in fondo, ognuno ha una qualche forma di responsabilità: in famiglia, nel lavoro, negli affetti, nelle relazioni. Tutti abbiamo un piccolo “potere” — ma nel senso buono, quello dell’amore e della cura.
Bramare la Parola di Dio
La prima esortazione che il Libro della Sapienza ci rivolge è questa: “Bramate le mie parole.”
È un invito forte, profondo. Chi ha una responsabilità ha bisogno di aiuto, ma non deve cercarlo nel denaro, nel potere, nella sicurezza o nell’autonomia. Queste cose alla fine ci lasciano solo con un pugno di mosche.
Il testo ci invita invece a desiderare la Parola di Dio, ad averne fame e sete, a bramarla. È un verbo bellissimo: bramare vuol dire desiderare con intensità, avere bisogno vitale di qualcosa. Desiderare le parole di Dio significa aprirsi alla sua luce, permettere che illumini il nostro cuore e ci insegni a vedere ogni situazione con i suoi occhi.
Questo desiderio diventa allora un aiuto concreto nelle nostre scelte, nel discernimento, nei passi che siamo chiamati a compiere ogni giorno. Il desiderio di Dio è la prima forma di sapienza.
Custodire le cose sante
La seconda esortazione è altrettanto preziosa: “Chi custodisce santamente le cose sante sarà riconosciuto santo.”
Questa parola “custodire” è fondamentale. Chi ha responsabilità sa di avere tra le mani qualcosa di prezioso, e la Scrittura ci ricorda che ciò che è prezioso è anche santo.
Ogni persona affidata a noi, ogni relazione, ogni affetto è santo, perché appartiene a Dio prima ancora che a noi. Nostro figlio, i nostri genitori, le persone che amiamo… tutto è di Dio. E proprio per questo va custodito con delicatezza, rispetto e amore.
Custodire significa proteggere, non rovinare, non sciupare, trattare bene, nutrire. Se impariamo a custodire santamente le cose sante, anche noi saremo riconosciuti come santi. È un cerchio che ci coinvolge e ci trasforma, un cammino di santità che passa attraverso la cura del quotidiano.
Essere istruiti dal desiderio e dalla custodia
La terza e ultima esortazione nasce dalle prime due: è proprio il desiderio di Dio e la custodia dei suoi doni che ci istruiscono, ci formano, ci fanno crescere come discepoli.
Il discepolo è colui che si lascia istruire. E la nostra vita di fede, infatti, è un continuo imparare. Non si tratta solo di studiare il Vangelo o il catechismo — anche se sono fondamentali — ma di lasciarsi plasmare giorno dopo giorno, nelle scelte concrete, dal desiderio di Dio e dalla custodia delle cose sante che Egli ci affida.
In questo modo la sapienza divina entra nella nostra vita, la trasforma, la illumina, e ci insegna a vivere con amore, responsabilità e discernimento.
Preghiera finale
Ringraziamo allora il Signore per questo dono.
Gli chiediamo che accenda in noi il desiderio di Lui, la sete della sua Sapienza, la luce della sua Parola.
E preghiamo perché, custodendo santamente le sue cose sante, possiamo anche noi essere riconosciuti santi, figli che si lasciano istruire dall’amore del Padre e che partecipano alla sua stessa sapienza.