Questa domenica, meditando sulla lettera agli Ebrei, mi ha colpito profondamente un versetto: “Nella fede morirono tutti costoro, senza avere ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano.” È una frase che mi ha fatto riflettere: queste persone hanno vissuto nella fede, pur senza toccare con mano ciò che Dio aveva promesso loro. Pensiamo ad Abramo: lasciò Ur dei Caldei, affrontò un lungo viaggio, si fidò di Dio e delle sue promesse. Quella parola accese in lui una speranza che lo sostenne per tutta la vita. Lo stesso accadde al popolo di Israele, oppresso in Egitto, a cui Dio promise una terra dove scorrono latte e miele. Anche se quasi nessuno di quelli partiti arrivò alla meta, la loro vita cambiò: furono liberati e guidati da una luce.
Camminare nella speranza
Questa esperienza l’ho sentita vicina nei giorni scorsi camminando con alcuni detenuti. Come Israele nel deserto, anche loro vivono una condizione di prigionia. Abbiamo percorso tanti chilometri insieme, e anche se alla fine hanno dovuto fare ritorno al carcere di Venezia, durante il cammino è nata in loro una luce nuova. Ci hanno testimoniato una gioia sincera, una speranza che ha cambiato il loro sguardo. Penso alla Trasfigurazione che abbiamo celebrato da poco: Gesù mostra la sua gloria ai discepoli, donando una luce che li accompagnerà anche nei momenti bui. Questa luce è ciò che oggi il Signore ci vuole ricordare.
Piccolo gregge, grande dono
Viviamo in tempi di tenebra: prigionie interiori, solitudini, errori, delusioni. Eppure il Vangelo ci dice: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.” È un dono immenso, una speranza che non si corrompe come i tesori materiali. Non è un regalo individuale, ma comunitario: il Regno ci viene dato come famiglia di credenti. Questo dono ci trasforma, ci invita a vivere insieme, a custodirci a vicenda.
L’attesa che cambia la vita
Il Vangelo ci parla di servi che attendono il padrone. Non lo aspettano con paura, ma con gioia, perché torna da un banchetto di nozze. L’attesa li rende responsabili: devono dare nutrimento al tempo opportuno, prendersi cura delle persone affidate loro. È un’attesa che illumina anche la vita ordinaria: chi con un marito difficile, chi con figli complicati, chi con le fatiche quotidiane. La promessa della terra lontana, come per i patriarchi e Israele, resta davanti a noi. La piena realizzazione avverrà nell’incontro con il Signore, che – sorprendentemente – si metterà a servirci. Già ora, però, siamo beati se viviamo con questo desiderio vivo nel cuore.
Un segno di speranza
Alla fine del cammino con i detenuti, abbiamo avuto la grazia di incontrare il Papa. Quando ci ha visti, ha ringraziato i tre camminatori del carcere lperché erano segno di speranza. Ha detto che il loro mettersi in cammino era un segno di costruzione e di fiducia per il futuro. Mi ha colpito che persino il Papa riceva speranza da noi, poveri pellegrini. Questa è la missione: vivere ogni giorno nella luce della fede, in attesa dell’incontro con Lui. Non importa se siamo carcerati, preti o genitori: tutti siamo chiamati a questo dono nuovo di Dio.
Lo 9E oggi mi chiedo: com’è cambiata la mia vita con questa luce? Voglio impegnarmi a vivere “da risorto”, con le lampade accese e i fianchi cinti, pronto ad accoglierlo.