Salerno, Cenacolo letterario.
Caravaggio, Incoronazione di spine ed Ecce homo
(Intervento di Pasquale Giustiniani)
1. Due dipinti del Caravaggio sulla prima e sesta stazione della Via crucis
Prima stazione – Gesù condannato a morte – “Ecce Homo”.
Il tema dell’Ecce Homo è ispirato al passo dei Vangeli. Ponzio Pilato espose Cristo al popolo di Gerusalemme che ne chiedeva la condanna. Il prefetto romano assolse Gesù dalle accuse di aver complottato contro l’autorità di Roma ma le gerarchie ecclesiastiche ebraiche lo accusarono di blasfemia. Ecce Homo, (Ecco l’uomo), è il titolo dell’opera che riprende le parole usate da Ponzio Pilato per indicare Cristo alla folla. Prima dell’esposizione, un soldato mise sulle spalle di Gesù un panno lacero, gli mise sul capo una corona di spine e una canna tra le mani. Con questi oggetti il prigioniero fu presentato in modo derisorio come re dei Giudei. Sesta stazione: alla condanna iniqua si aggiunge l'oltraggio della flagellazione. Consegnato alle mani degli uomini, il corpo di Gesù è sfigurato. Quel corpo ricevuto dalla vergine Maria, che faceva di Gesù "il più bello tra i figli dell'uomo", che dispensava l'unzione della Parola - "dalle tue labbra fluisce la grazia" (Sal 45, 3) -, viene ora crudelmente lacerato dalla frusta. Il volto trasfigurato sul Tabor è sfigurato nel pretorio: volto di chi, insultato, non risponde di chi, percosso, perdona di chi, reso schiavo senza nome, libera quanti giacciono nella schiavitù.
2. Le ultime sette parole del Crocifisso.
Roberto Bellarmino, gesuita che rischiò ben due volte di diventare Papa, negli ultimi anni di vita, a conclusione del mese di esercizi spirituali ignaziani, scrisse anche il De septem verbis a Christo in cruce prolatis : una meditazione di forte carica spirituale su un tema caro tanto alla devozione che alla musica. Non pochi compositori vi hanno dedicato lavori importanti: da Franz J. Haydn a Saverio Mercadante a Sofia Guibadulina. Roberto Bellarmino era molto devoto della croce e, soprattutto, del crocifisso. Nel corso del suo episcopato residente a Capua, che si esplicò dal maggio 1602 all’aprile 1605, ed esattamente nel giorno della “invenzione della santa Croce” (all’epoca collocata dalla Liturgia il 3 maggio), egli tenne una bella predica “in inventione crucis” (databile agli inizi di maggio del 1603 o, più verosimilmente al 3 maggio 1604). Egli predicò nella città di Marcianise, in oppido martianisii, grosso centro agricolo della diocesi di Capua, ubicato in quella che i romani avevano già denominato Leboria terra e, successivamente, detta Terra di lavoro nella Campania felix. Marcianise era la sede più idonea per questa predica bellarminiana perché ab immemorabili aveva consacrato, anche architettonicamente, la propria devozione alla croce e al crocifisso. A Marcianise, nel 1564, era sorta una confraternita e cappella di S. Maria della Misericordia e del monte di Pietà, agganciata appunto alla devozione al crocifisso, con festa al 3 maggio (invenzione della croce). Qui, come in altre parti della cattolicità riformata, era stato dedicato, in duomo, un altare alle cinque piaghe del crocifisso, dove, il venerdì santo, si predicavano le cosiddette “tre ore di agonia” (usanza che persisterà ininterrottamente almeno fino al secondo concilio vaticano).
Negli scritti spirituali di Bellarmino, redatti negli ultimi anni di vita del cardinale, frutto di altrettanti esercizi spirituali di un mese, esiste anche un bellissimo scritto, emblematico di questa sua peculiare spiritualità e devozione al crocifisso, insieme teologica ed ascetica: alludo al De septem verbis a Christo in cruce prolatis . Scritto nel 1618, tre anni prima della sua morte, esso è, come le altre, un'opera della maturità di Bellarmino e rappresenta quindi il frutto di tutta una vita di studio, di riflessione e di preghiera. L'opera, che è composta da due libri, rispettivamente di 12 e 24 capitoli, è una lettura e una meditazione del grande 'libro della croce', come lo chiama il Bellarmino, per 'spiegare le principali virtù di Cristo crocifisso', 'modello perfetto di ogni virtù'. L'A. prende in considerazione 'l'ultimo discorso, composto da sette parole, brevissime ma importantissime, che il redentore del mondo rivolse a tutti gli uomini dalla croce, come da una cattedra altissima'. Il commento alle singole parole pronunciate da Gesù sulla croce è sempre preceduto da una spiegazione letterale che aiuta a comprenderne il senso storico, per poi passare all'insegnamento che ne deriva e che consiste nei 'frutti' che si possono 'cogliere' dall'albero della croce.
Solo due parole di fronte alle tele di Caravaggio. Nell’opuscolo bellarminiano, secondo la tradizione, il Cristo pronuncia sette espressioni. Noi vogliamo soffermarci sulle due che avranno ispirato anche Caravaggio. Prima parola: Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno . Scrive Bellarmino: «Delle prime tre parole, che riguardano gli altri, la prima è rivolta ai nemici, la seconda agli amici, la terza ai parenti. Il motivo di quest'ordine è il seguente: la carità soccorre prima i più bisognosi, e i più bisognosi allora erano i nemici di Cristo, e anche noi, discepoli di un così grande maestro, avevamo bisogno che egli ci insegnasse l'amore verso i nemici, che è più difficile e più raro dell'amore verso gli amici e i parenti, che in qualche modo ci è innato, cresce con noi e spesso diventa eccessivo». Il frutto da raccogliere da questa prima parola è descritto nei termini seguenti: «Il corpo nudo, spossato dalle flagellazioni e dal lungo cammino, era esposto al pubblico ludibrio e al freddo, e il suo peso, con inaudite e continue sofferenze, gli lacerava sempre più le ferite delle mani e dei piedi, procurando al buon Signore contemporaneamente molte sofferenze, come se fossero altrettante croci. E tuttavia, o carità che sorpassa ogni nostra conoscenza, disprezzando tutto questo, come se non soffrisse affatto, preoccupato unicamente della salvezza dei suoi nemici e volendo allontanare da loro il pericolo incombente, grida al Padre: Padre, perdona loro. Cosa farebbe se quegli uomini empi subissero e non muovessero un'ingiusta persecuzione, se fossero stati amici, parenti, figli, e non nemici, traditori, scellerati parricidi? O Gesù misericordioso, veramente la tua carità sorpassa ogni nostra capacità di comprendere!» L'ultima delle tre prime parole, che riguardano l'amore verso il prossimo, è questa: «Ecco la tua madre, ecco il tuo figlio». «Da questa terza parola, a considerarla bene, si possono raccogliere molti frutti. Innanzitutto l'infinito desiderio di Cristo di soffrire per la nostra salvezza, perché la redenzione fosse completa e abbondante. Gli altri esseri umani, infatti, quando muoiono, soprattutto per una morte violenta, vergognosa e infame, fanno in modo che i loro congiunti non vi assistano, affinché il dolore e la tristezza non si raddoppi per la loro presenza. Cristo invece, non contento della sua passione, oltretutto atroce, dolorosa e infame, volle che la madre e il discepolo prediletto fossero presenti e stessero ai piedi della croce, affinché il dolore della compassione dei propri cari accrescesse il dolore della sua passione. Cristo in croce effondeva abbondantemente il sangue come da quattro sorgenti: volle che fossero presenti la madre, il discepolo, Maria, la sorella di sua madre, e Maria Maddalena, che lo amavano più di tutte le altre sante donne, perché da esse sgorgassero quattro fonti di lacrime, quasi a soffrire meno per lo spargimento del proprio sangue che per l'abbondante fiume di lacrime sgorgate dal cuore dei presenti per il dolore». Assai bello, oltre che quell’accenno al dono ascetico della lacrime, sul piano della devozione mariana appare il quarto frutto di questa terza parola: «Il carico e il giogo di prendersi cura e premura della Vergine Madre, imposto dal Signore a s. Giovanni, divenne veramente un giogo soave e un carico leggero. Chi mai non avrebbe accettato di abitare con colei che per nove mesi aveva portato nel suo grembo il Verbo incarnato e che per trent'anni era vissuta con lui in una grande devozione e dolcezza? E chi non proverà invidia nei confronti del discepolo prediletto dal Signore che, in assenza del Figlio di Dio, accolse la presenza della Madre di Dio? Anche noi però, se non mi sbaglio, possiamo ottenere con la preghiera dalla benevolenza del Verbo, fattosi uomo per noi e crocifisso per amore nostro, di sentirci dire: “Ecco la tua madre”, e di sentir dire alla Madre di noi: “Ecco il tuo figlio”. Il Signore misericordioso non è avaro di grazie, purché ci accostiamo al trono della sua grazia con fede e fiducia, e con un cuore veramente sincero, non falso. Egli, che ha voluto che fossimo coeredi del regno del Padre suo, certamente non disdegnerà di averci come coeredi dell'amore della Madre sua. E la pietosissima Vergine non si sentirà appesantita dalla moltitudine di figli, poiché possiede un cuore generosissimo e desidera che non perisca nessuno di quelli che il Figlio suo ha redento con il proprio sangue prezioso e con la sua preziosa morte. Accostiamoci dunque con fiducia al trono della grazia di Cristo, e supplichevoli e non senza lacrime chiediamo a lui che di ciascuno di noi egli dica a sua Madre: Ecco il tuo figlio, e a ciascuno di noi dica di sua Madre: Ecco la tua madre».Conclusione Ora, scrive Bellarmino, «siamo giunti all'ultima parola che Cristo, moribondo in croce, pronunciò gridando a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”» . «Questa spiegazione della testimonianza di Paolo (Ebrei 5,7) ci convince abbastanza chiaramente che quando il Signore afferma: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”, la parola spirito vada intesa come vita, non come anima. Il Signore, infatti, non era tanto preoccupato per la sua anima, che sapeva al sicuro e beatissima per la visione di Dio concessale fin dalla sua creazione, bensì per il proprio corpo, che...