Centro per la filosofia italiana, accademia vivarum novum Villa Falconieri, 19 dicembre 2024
Scienza nuova e modernità, studio sul sapere, la storia ed il linguaggio in G. B. Vico di Paloma Brook, Aracne. Roma 2024: contributo all’orientamento della discussione ed intervento del prof. Pasquale Giustiniani Carissimi Aldo e Luigi, in vista del Convegno CFI sulla filosofia italica, mi permetto di offrire alcune indicazioni che potrebbero essere girate agli studiosi che saranno invitati. Il Convegno si potrebbe intitolare “Antiquissima Italorum Sapientia”. Alla luce dello scritto di Giambattista Vico –
De antiquissima italorum sapientia -, il Convegno intende approfondire criticamente le premesse antico-greche, cristiane e tardo-antiche di quella che Vico considerava la “nostra metafisica”, da lui pubblicata nel 1710 per “destare la curiosità ne' dotti” e, in particolare per “giovare la gioventù”, spiegando le cose dai primi termini, soppesando le altrui opinioni, facendone vedere tutte le conseguenze, fino agli ultimi corollari. Nell’orizzonte descritto, l’approccio critico di ogni studioso-relatore, dovrebbe aver presenti alcune principali domande:
- Qual è lo “stato dell’arte” delle interpretazioni critiche del pensiero dell’autore/i che viene oggi indagato?
- Vi sono premesse o nuclei originari di sviluppi che si verificheranno nella filosofia elaborata in seguito in Italia?
- Su quali punti bisognerebbe insistere per recare giovamento alle giovani generazioni di studenti medio-superiori e universitari? Paloma Brook, Scienza nuova e modernità. Studio sul sapere, la storia e il linguaggio in Giambattista Vico, Prefazione di Stefano Velotti, Edizioni Aracne, Roma 2024, pagine 191. Fin dalle battute iniziali dell’Introduzione (pagine da 19 a 26), l’Autrice avverte il lettore circa il suo lavoro di ricerca, che ambisce di aggiungere un ulteriore tassello negli studi su Giambattista Vico: un lavoro «Ambizioso perché aspira ad indagare l’idea di scienza nuova alla luce di un’ipotesi interpretativa più generale: Vico è un filosofo della modernità in quanto elabora una forma di pensiero che si autocomprende come collocata in un ora, in un presente» (dalla Introduzione, pagina 19). Si tratta di una “modernità” secondo le quattro indicazioni di Günter Figal (confronta pagina 20), non senza le riprese di lui operate negli studi di Stefano Velotti (che firma anche la prefazione q questo volume (pagine da 13 a 16) e di Gianfranco Cantelli, per cui il «moderno è un orizzonte, una prospettiva che include in sé il presente e il non-presente, cioè passato e futuro» (pagina 20): orizzonte i cui aspetti delineati da Figal sono: opposizione, posizionamento, giudizio di valore, orizzonte. Rispetto al “passato”, la stessa Scienza nuova «si riconosce e costruisce consapevolmente in contrasto con il passato» (pagina 21), aprendo la possibilità di constatare sia la frattura rispetto al passato, sia di comprendere il proprio presente che se stesso, appunto intraprendendo una nuova scienza. In questo senso, la scienza nuova «non è (o non è solo) da intendere come una disciplina, una scienza o un metodo accanto ad altri, con l’intento di fornire una serie di dottrine sulle origini, il mito, la poesia, la storia e la loro distanza con il presente» (pagina 22), ma è anche un punto di svolta critica, tipica della “modernità” del secolo diciottesimo. Di qui i momenti del volume, che si articola «in tre parti fondamentali – più una quarta parte intesa in forma di conclusione» (pagina 24). Ed ecco che, come si legge nel primo Capitolo (pagine da 27 a 51), Vico non è soltanto un mero continuatore della svolta filologico-linguistica dell’Umanesimo, né è da vedere come «l’anticipatore di molte teorie sviluppatesi nei due secoli successivi» (pagina 27). Egli manifesta e attua, come osserva Brooke, la volontà di una frattura rispetto al passato, fatto, testualmente, di “rottami” (pagina 29), e, insieme, l’orgoglio di dover assolvere con la sua scienza a un compito filosofico nuovo» (pagina 28). La materia di questa nuova costruzione si legge nell’importante capoverso 338, nella sezione quarta Del metodo, che l’Autrice enuncia nel primo Capitolo e riprende in seguito nel paragrafo 1 del capitolo secondo, dove sarebbe enunciata una discontinuità fondamentale rispetto al sapere precedente (pagina 32), ovvero una critica spietata, o una serie di confutazioni della boria delle nazioni e della boria dei dotti, cioè del sapere che lo ha preceduto, non solo quello filologico, compresa l’istanza metafisica, in nome del criterio ermeneutico della discrepanza piuttosto che della continuità (confronta pagina 41). Vico non è un antimoderno, «tutto legato alle certezze di una visione umanistica (e, ancor prima, teologico-metafisica) che si fonda sul legame di continuità tra passato e presente» (pagine da 43 a 44). Rispetto alla modernità cartesiana, quella di Vico si propone lo scopo di «ritrovare in ciò che appare ed è definitivamente perduto quel sempre-presente, quel non-passato che ancora agisce, in quanto parte della nostra comune mente umana» (pagina 42). In tale orizzonte, la nozione di Provvidenza «è chiamata a comprendere proprio questo nesso e a rispondere alla domanda: se la storia non può essere compresa ricostruendo le intenzioni di chi in essa vi agisce, come dare una razionalità a ciò che a prima vista non la dimostra?» (pagina 43). Non è un arcaico e non moderno aggancio alla tradizione teologica, insiste l’Autrice; piuttosto, «il concetto di provvidenza va letto come un correttivo a un’idea razionalistica e volontaristica di storia» (pagina 43). Da un lato, non sono sufficienti la volontà e la razionalità a spiegare certi effetti nel piano della storia: «La provvidenza, si è detto, non è quindi “volgar metafisica”, in quanto non interviene direttamente sugli eventi, ma si avvale della “libera” azione umana, con tutti i suoi limiti» (pagina 45). Dall’altro lato, in linea con un Vico di segno contrario, di stampo razionalista e illuminista: «a fare la storia è l’uomo, non un disegno divino intelligente, un intervento sovrannaturale» (pagina 47). Tutta la ricerca di Brooke è un inseguire, pagina dopo pagina, questo apparente contrasto tra la precedente visione di un mondo scaturito da una mente diversa e superiore a quella umana (che ha suoi specifici fini, come quello ironico) e quella di un soggetto umano produttore di storia: dapprima un’istanza teologica trascendente il mondo, non senza residui della «tradizione cristiana che intende la storia come storia della salvezza e dunque come un rispecchiamento del disegno intelligente»: pagina 47, numero 49): successivamente – ecco il capitolo secondo (pagina 53), una “teoria” che è la Scienza nuova a partire dalla edizione del 1725, ma con riprese anche testuali nel 1744, ovvero una «scienza, che si sviluppa sì come epistème, ma anche e soprattutto come nuova arte critica» (pagina 54), a riprova di una «componente di metariflessione alla base del suo procedimento teorico» (pagina 55, numero 3) e, dunque, con un ruolo essenziale svolto dalla mente umana. È in questo senso che Vico assolve «un compito specifico della modernità: quello di dover rendere conto delle condizioni di possibilità del nostro modo di conoscere il mondo, della nostra elaborazione simbolica di esso, e al tempo stesso, ancorché solo implicitamente definirne i limiti» (pagina 57). Si tratta di una ricerca dei principi - da ritrovare di fatto tra le modificazioni del nostro umano pensiero, non senza comprenderli come inizi cronologici, come “fatti” materializzati in altari, nozze e sepolture. Ecco «i due livelli della teoria (la scienza nuova con i suoi principi) e dell’oggetto della teoria (l’umanità ai suoi albori), e il sintomo di quella fondamentale circolarità di una scienza che ha per oggetto se stessa» (pagina 65). «I principi che Vico intende sono anzitutto principi della mente umana comuni a tutte le nazioni (si tratta di una sorta di “universalismo”, che va chiarito nel suo significato e nelle sue conseguenze» (pagina 66). Osserva l’Autrice: «Si tratta di una delle tante opposizioni teoriche, perfino antinomie, che attraversano e quasi costituiscono il percorso travagliato del pensiero di Vico, entro le quali esso si muove e che tenta di ricomprendere in una più ampia riflessione critica» (pagina 67). Vico non è tanto un predecessore della coscienza storica del secolo XIX: «La Scienza nuova può essere vista come l’ultimo palcoscenico dove il filosofo mette in mostra la galleria di fatti e personaggi storici, con i loro miti, leggi, istituzioni, ma anche irrazionalità, follie e incongruenze: tentando nondimeno di comprenderli razionalmente cogliendone le strutture profonde» (pagina 70). Di qui un nuovo rapporto tra verum et factum: «rappresentano… due funzioni distinte e per certi versi opposte, dove è l’una, non c’è l’altra» (pagina 71), che vengono comprese alla luce di un principio regolativo, o meglio di un ideale regolativo (confronta pagina 72), «solo orientativo e generalissimo, che ancora nulla dice sugli specifici fatti del passato» (pagina 73) Pasquale Giustiniani