Dopo la morte di Adriano (138) il potere passa al figlio adottivo Antonino il Pio, esponente di una importante famiglia dell'aristocrazia romana originaria della Gallia Narbonese, ma da generazioni stabilitasi nel Lazio. Antonino è un imperatore di un'umanità forse addirittura superiore a quella del predecessore, fondata tuttavia non sulla conoscenza della filosofia greca, che tuttavia, in questi decenni, permea l'intera classe dirigente romana, ma sulla religiosità, soprattutto in riferimento ai culti tradizionali. Antonino non si produrrà in un'azione incisiva come quella di Adriano, da un punto di vista evergetico e culturale, ma sarà un amministratore molto oculato, che lascerà le casse dello Stato con un tesoretto di 600 milioni di sesterzi. Finanze che il suo successore, Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, nonostante la filosofica propensione per la pace, sarà costretto ad investire in un susseguirsi di campagne militari che dureranno per quasi tutto il ventennio del suo regno. Alla minaccia dei Parti ad oriente, si unirà il terrore scatenato dalle invasioni barbariche dei Quadi e dei Marcomanni, che arriveranno fino alla pianura Padana. La calamità più devastante che colpirà l'impero sarà tuttavia la terribile peste che dall'Egitto, insieme al marciare delle legioni, diffonderà il proprio contagio e dissanguerà l'impero della sua forza vitale. Per questa ragione il regno di Marco Aurelio è considerato quello che chiude il secolo breve e aureo dell'impero romano, aprendo il campo alla terribile crisi economica, politica e sociale del III secolo