Don Flavio Maganuco

Tu appartieni alla Luce - Solennità di Cristo Re - Don Flavio Maganuco - SmartPray


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DOMENICA 23 NOVEMBRE: SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO (ANNO C)

2Sam 5,1-3 – Sal 121 – Col 1,12-20 – Lc 23,35-43

TU APPARTIENI ALLA LUCE

Celebriamo l’amore che vince ogni volta che scegli di non rimanere prigioniero, nemmeno di te stesso.


C’è un momento dell’anno in cui tutti, senza accorgercene, sentiamo il bisogno di fermarci e fare il punto. Capita a fine dicembre, prima di un compleanno, quando chiude un progetto... e anche oggi, alla fine dell’anno liturgico. È come se la Chiesa ci dicesse: «Guarda indietro un attimo. Com’è andata la tua vita quest’anno? Dove ti ha portato il cuore? Cosa è cresciuto e cosa si è spento?». La liturgia non ci chiede conti perfetti, ma verità. E la verità, il più delle volte, non è mai scandalosa: è semplicemente nostra. Ed è bello che questo “recap” non lo facciamo davanti a un bilancio, ma davanti a una croce.

Perché l’anno si chiude con una buona notizia che non cambia mai: la croce ha vinto il male, il bene è più forte delle tenebre, l’amore è l’unica logica che non si spegne. È la «buona notizia di oggi»; ma in questa verità così grande, paradossalmente dobbiamo imparare a crederci ogni giorno, perché il mondo intorno, e a volte anche quello dentro di noi, continua a sussurrare il contrario. Come quando una persona di cui ci fidavamo ci ferisce, e subito pensiamo che l’amore sia solo ingenuità. O quando subiamo un’ingiustizia al lavoro e ci viene da dire: «Chi è onesto viene sempre fregato». O come quando vediamo che chi urla di più ottiene ciò che vuole, e ci viene il dubbio che la mitezza sia solo per i deboli. Piccoli momenti che però ci attraversano come lame e ci portano a pensare, almeno per un istante, che il male è più forte. E allora nasce spontanea la domanda: Se Cristo ha vinto il male, perché il male continua a insistere? Perché continua a bussare, a confonderci, a convincerci che il bene non serve? È la domanda che ogni cristiano, prima o poi, si fa.

Una domanda che ci facciamo già da bambini e che in qualche modo può renderci adulti nella fede. La risposta che rende possibile questo ci viene incontro nelle letture: La prima lettura ci ricorda che siamo stati resi partecipi della regalità di Cristo: come Davide viene consacrato re, così noi siamo stati unti nel Battesimo. E quell’unzione non ci ha fatto padroni del mondo, ma figli, fratelli, persone che hanno ricevuto una dignità che non può essere rubata. La seconda lettura lo dice con parole splendide: siamo diventati «partecipi della sorte dei santi nella luce». È come se Paolo dicesse: «Tu appartieni alla luce. Non importa quanta oscurità incontri, tu non sei fatto per restare lì dentro». Eppure il male insiste. Ma insiste come un ladro che sa di essere già stato disarmato. È questa la ridefinizione che ci serve: Cristo non ha tolto il male dalla storia; gli ha tolto il diritto di avere l’ultima parola. Per questo il Vangelo di oggi non ci porta in un palazzo, ma sul Golgota. Non ci mostra un trono, ma un uomo crocifisso. E accanto a Lui c’è l’unico vero uomo libero di quella scena: il buon ladrone.





Lui non nega la verità su se stesso, non finge, non si giustifica. Dice (con una lucidità che spesso noi non abbiamo): «Noi lo meritiamo». Ma non si ferma lì. Va oltre. E mentre gli altri gridano «Scendi!», «Salva te stesso!», lui sceglie un’altra strada: si affida. Va controcorrente rispetto al mondo, ma anche rispetto al suo passato. Ed ecco il miracolo: quel ladro diventa il primo a varcare la porta del Paradiso aperta dalla croce. È il primo frutto della vittoria di Cristo. È la prova che il male non è più il padrone. È come se oggi il Vangelo ci dicesse: «Vuoi sapere come si manifesta la vittoria di Cristo? In ogni volta che scegli di non rimanere prigioniero di te stesso». Perché in un mondo in cui tutti rivendicano, trattengono, accusano, urlano, approfittano... è già una vittoria scegliere la sincerità, la mitezza, il perdono, il coraggio di non approfittarsi dell’altro.

La controcorrente non è eroismo: è fiducia. È credere che il bene non è inutile. È credere che la croce non è stata una parentesi, ma una porta. E che quella porta è aperta per noi. Pensateci bene: non lo abbiamo forse già visto accadere? Quando una famiglia attraversa una crisi e invece di lasciarsi l’un l’altro nelle proprie ferite o di accusarsi a vicenda, si sceglie di sedersi, di parlarsi davvero o di restare abbracciati in silenzio... e lì nasce una pace nuova.

O quando qualcuno, dopo anni di silenzio, trova il coraggio di chiedere perdono o di perdonare un parente e quella relazione riprende vita. O quando una persona ferita dalla vita decide comunque di non indurire il cuore e continua a fare il bene, anche se nessuno lo vede. In quelle piccole resurrezioni quotidiane, la vittoria di Cristo è già all’opera. E quando vivi così — anche nelle cose piccole, nelle giornate storte, nelle fatiche familiari, nelle paure che ti abitano — accade qualcosa di insolito: la vita, pur con tutto quello che resta difficile, comincia ad avere un sapore diverso. Comincia a somigliare già un po’ alla casa di Dio. Ed è per questo che oggi possiamo dire con il salmista: «Andremo con gioia alla casa del Signore». Non perché ce la siamo meritata, non perché siamo migliori, ma perché Cristo ci ha presi per mano.

E perché ogni nostra piccola scelta controcorrente è già un passo dentro quella casa. Un passo dentro quella casa lo fai quando scegli di non rispondere a una provocazione, non perché sei debole, ma perché non vuoi far crescere altro rancore. Lo fai quando in una giornata carica di stanchezza decidi lo stesso di ritagliare cinque minuti veri per ascoltare qualcuno che ti parla con il cuore pesante. Lo fai quando, invece di giudicare al volo una persona che sbaglia, provi almeno una volta a domandarti cosa sta vivendo davvero. Questi e molti altri sono già tutti modi con cui questa terra, che Gesù chiama «lo sgabello dei suoi piedi», comincia a diventare davvero la casa di Dio: una casa di fratelli, di luce, di pace. Che il Signore ci conceda, alla fine di quest’anno liturgico, il dono più semplice e più grande: credere che il bene vince. E vivere come figli della luce, anche quando la luce sembra poca. Amen.



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Don Flavio MaganucoBy SmartPray