Domenica 9 Novembre: Dedicazione della Basilica Lateranense - Anno C - Gv 2,13-22
Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 45; 1Cor 3,9-11.16-17; Gv 2,13-22
UN FIUME IN PIENA
L’ amore che “scuote” ciò che non serve, per far posto a ciò che vivifica. Prima o poi arriva per tutti quel momento in cui ti rendi conto che la tua casa ha bisogno di ordine. Magari qualcuno ha una soglia di “tolleranza” più alta di altri, ma quel momento comunque arriva.
Non perché la casa sia sporca, ma perché nel tempo si è riempita di troppe cose, molte delle quali fuori posto. Ti metti a fare pulizia, apri i cassetti, svuoti gli scaffali.
E ogni oggetto sembra farti una domanda: “Mi tieni o mi lasci andare?”. È lì che ti accorgi che c’è anche un’altra fatica da fare: decidere cosa merita di restare. Un vecchio libro che ti ha fatto crescere, una foto che ti riporta pace... restano.
Tutto ciò che ingombra, che toglie luce o serenità, va lasciato andare. Ma la domanda vera è questa: quale criterio usi per scegliere cosa tenere? Quello che ti dà sicurezza, o quello che porta pace e bellezza? Perché non sempre le due cose coincidono! Gesù oggi entra nel tempio come chi ama davvero una casa: non per distruggere, ma per liberare, per restituirvi dignità.
Scuote tavoli, rovescia monete, interrompe abitudini religiose diventate automatismi. Non lo fa per rabbia, ma per passione: È l’amore che “scuote” ciò che non serve, per far posto a ciò che vivifica. E noi, spesso, abbiamo paura di lasciargli fare la stessa cosa nella nostra vita. Ci affezioniamo alle nostre abitudini, anche a quelle che ci fanno male.
Difendiamo le nostre rigidità come se fossero rifugi, ma in realtà sono prigioni. Succede ad esempio quando restiamo in un lavoro che non ci fa più crescere o stare bene solo perché “almeno è sicuro”. O quando portiamo avanti relazioni ormai spente, ma non per sanarle, solo perché temiamo la solitudine. O come quando non cambiamo mai ritmo, anche se il corpo e l’anima gridano che abbiamo bisogno di riposo.
Oppure quando, infine, davanti a una novità, reagiamo subito con un “ma si è sempre fatto così”. In fondo, temiamo che se lasciamo andare, resti il vuoto. E invece, ogni volta che Gesù fa un po’ di pulizia nella nostra vita, non lascia un vuoto: crea spazio per la vita vera. Abbiamo bisogno di convincerci che Gesù non è venuto a toglierti la sicurezza, ma a restituirti la libertà. Pensiamo all’immagine dell’acqua che Ezechiele vede uscire dal tempio; non invade, ma dona vita a tutto ciò che tocca.
È una forza gentile, come un fiume che attraversa un villaggio portando freschezza e un po’ di poesia. Il mio ultimo anno di formazione l’ho trascorso a Pavia, per chi non lo sapesse, quella città che giravo da una parte all’altra in bici (due me ne hanno rubato), è attraversata dal fiume Ticino. Quando la sera tornavo in seminario dopo aver svolto il mio servizio da seminarista in oratorio, o in chiesa o alla casa del Giovane, prendevo sempre la strada più
lunga che costeggiava la riva del fiume.
E mi fermavo lì, specialmente nella fase primaverile ed estiva, a guardare il fiume e il tramonto su quel fiume. Stavo solo lì, a guardare l’acqua scorrere, insieme ai miei pensieri, ai ricordi di quella giornata, ai miei sogni e alle ansie degli esami che di lì a poco mi aspettavano. Ecco: Quando lasciamo che Cristo “metta ordine” dentro di noi, nasce la stessa sensazione: il caos si trasforma in fiume, la paura in pace, la confusione in allegria.
Dio non viene a chiederti di essere perfetto: viene a farti scoprire quanto sei vivo, se lasci che la Sua presenza scorra nella casa del tuo cuore. Sì, perché la casa di Dio non è fatta di pietre, ma di persone; “Voi siete il tempio di Dio”, ci ha detto san Paolo. È vero, oggi celebriamo la dedicazione della Basilica Lateranense — la cattedrale del Papa, la chiesa madre di Roma e del mondo intero. Ma non dimentichiamolo: quella Basilica è segno, non fine. È simbolo della Chiesa viva, fatta di volti, di storie, di cuori. È dentro di noi che il Signore vuole abitare: nei cuori che si lasciano visitare, toccare, trasformare. E se davvero siamo il tempio di Dio, allora lasciarlo abitare in noi significa accettare che faccia ordine, che riporti luce dove c’era disordine.
E questo, anche se a volte costa, non è mai una perdita. La purificazione non è uno sradicamento, ma un risveglio. Non è la fine di qualcosa, ma un inizio, il soccorso che arriva allo spuntare dell’alba. Come quando finalmente trovi il coraggio di parlare dopo mesi di silenzio, e ti accorgi che la verità non ti distrugge, ti libera.
O come quando chiudi un capitolo difficile — una prova, una delusione, una paura — e ti sorprende quella leggerezza che non provavi da tempo. O ancora, come quando decidi di perdonare, e scopri che la pace non è un premio per i forti, ma un dono per chi si arrende all’amore. È lì che capisci che Dio non scuote per punire, ma per rivelare quanto è forte ciò che resta dopo che hai pulito. Infine, ricordiamoci che se diventiamo il vero tempio, diventiamo anche rifugio per gli altri.
Se lasciamo che la Sua acqua scorra in noi, diventiamo anche noi parte di quel fiume che rallegra la città di Dio: rivoli di uomini e donne che portano vita dove c’è aridità, ascolto dove c’è rumore, luce dove sembra notte. E la Chiesa così smette di essere un edificio di pietra, e diventa un popolo che diffonde pace, una comunità che “soccorre all’alba” i passi stanchi del mondo. Allora, alla luce di questi criteri che ci aiutano a scegliere, proviamo a chiederci questa settimana: “Cosa tengo perché mi rallegra? E cosa posso lasciare andare per far spazio alla vita di Dio?” E poi, una di queste sere — perchè no, magari questa — , ringrazia per una cosa che ti ha portato pace: sarà come far scorrere un piccolo fiume nel cuore. Perché si, ogni volta che lasci che Cristo purifichi la tua vita, il mondo diventa un po’ di più casa Sua.