Vincenzo Gioberti nella disamina dei Compilatori del periodico neotomista partenopeo “La scienza e la fede”. (Pasquale Giustiniani)
1. Il periodico “La Scienza e la Fede” tra i “venti di riforma universitaria” Quando, nel 1865, muore il principale ispiratore del periodico “La Scienza e la Fede” (sorto a Napoli nel 1841)[1], ovvero il can. Gaetano Sanseverino, colpito dal morbo fatale (il colera)[2], assistito dall’amico, collaboratore e confessore ordinario, canonico D’Amelio -, l’elogio funebre sarà pronunciato da Giuseppe Provitera. Costui - membro dell’Almo Collegio dei teologi dell’Università partenopea -, in occasione di quei funerali - che si svolsero nella chiesa di san Giovanni Battista alla Sapienza - c’informa che Gaetano Sanseverino era stato, tra l’altro, l’animatore di una cordata di intellettuali, membri del clero e docenti di livello universitario, con l’obiettivo dichiarato di ri-appaciare la fede cristiana, le scienze e le lettere. Il medesimo saggio ribadisce quella che, come vedremo, sarà una linea persistente di dissenso del Circolo neotomista partenopeo, non soltanto rispetto alle posizioni filosofiche e politiche di Vincenzo Gioberti, ma, in generale, rispetto al diffuso orientamento che appare talvolta etichettato come panteismo e ontologismo. Se, nei paesi di lingua tedesca, l’eredità kantiana rimane influente, in Italia e Francia incontra, invece, per diversi decenni un discreto successo l’ontologismo che, dagli storici contemporanei di teologia, è stato, tuttavia, etichettato come un “fuoco d’artificio senza futuro”. Difatti, come leggiamo oggi in P. Poupard: «in Italia e in Francia ci si pone l’obiettivo di utilizzare il cartesianesimo, sostituito nelle giovani generazioni dal tradizionalismo di Lamennais e di De Maistre. Intorno alla metà del secolo, scoppia il fuoco d’artificio senza futuro dell’ontologismo. Tale è la situazione in cui fiorisce la riscoperta della scolastica. La causa della rinascita del tomismo, oltre ad opporre un presidio ed un argine contro il cartesianesimo, fu il credito dato al tradizionalismo e al romanticismo»[3]. Come si orienta, dunque, a Napoli, l’indirizzo cristiano della filosofia e della teologia, coordinato dai Compilatori de La Scienza e la Fede? Rispetto a certe aperture giobertiane, vent’anni dopo, esattamente nel 1860, l’Introduzione al primo fascicolo del periodico partenopeo “La Scienza e la Fede” segnalerà testualmente ai propri lettori i rischi del progressismo, che sarebbe indotto, peraltro, proprio dalle correnti culturali che andavano sostenendo le insorgenze unitarie. Si tratterebbe, avvertono i Compilatori partenopei, di una via pericolosa in quanto assimila l’Idea a Dio, provocando una sorta di fusione/confusione tra l’Uno e il tutto (come poi, deprecabilmente, avviene nel razionalismo idealistico): «pericolosa via in cui si sono posti alcuni ammiratori di una teorica progressista nell’apprendere! A’ quali quasi niente più sembra buono ed ammissibile di ciò, che insegnarono gli antichi, e fino alla terminologia della scienza sacra vogliono far mutamenti. Il nome tre volte santo di Dio è per essi mutato in Idea od Unitutto; la potestà della Chiesa ha incerte loro formole tre categorie di potere gerarchico, estragerarchico o supragerarchico; essi scontrano in teologia, in diritto canonico, dovunque, l’uno e il molteplice armonizzati, siccome vi ripetono ad ogni terza parola, pensiero ed azione»[4].
2. Le resistenze de “La Scienza e la Fede” alle riforme Come ci viene ben ricordato da un insigne cattedratico partenopeo: «più solenne del solito fu la cerimonia inaugurale, il 5 novembre, dell’anno accademico 1859-60 dell’Università di Napoli, preceduta dalla messa allo Spirito Santo celebrata nella Chiesa del Gesù Vecchio dal sacerdote Giovanni Ibello, professore di Teologia dommatica, cui parteciparono il Rettore e i professori in toga e ornati della medaglia di S. Tommaso d’Aquino e gli studenti. Una nuova linfa sembrò penetrare, oltre che nei fiorentissimi studi privati, nell’antica e unica Università del Mezzogiorno»[5]. Francesco De Sanctis prosegue frattanto i precedentemente avviati lavori di riforma universitaria. Questo comporta, tra l’altro, la destituzione di diversi professori, compresa quella del citato canonico neotomista, e Compilatore de “La Scienza e la Fede”, Gaetano Sanseverino, il quale ancora andava reggendo un insegnamento universitario il cui titolare era infermo. Questo periodico sarà, anche a distanza di anni, considerato, non solo come il punto di riferimento della tradizionale filosofia cristiana, ma altresì come la palestra di una vera e propria Scuola, sia in ambito filosofico che teologico, come si legge esplicitamente in un saggio di un altro insigne neotomista, Salvatore Talamo: gli illustri filosofi da Talamo inventariati saranno, al seguito del caposcuola, Gaetano Sanseverino: Nunzio Signoriello (che viene altresì considerato come il “principe” della Scuola neotomista partenopea); Salvatore Calvanese; Francesco Gambardella; Salvatore Cacace; mentre i teologi inventariati, alla data del 1875, risultano: Luigi Coletta e Giuseppe Giustiniani[6]. Si osserverà che, nella parabola involutiva di una posizione persistentemente criticata dal periodico - che Provitera, nei suoi anni, bollerà esplicitamente come razionalismo -, svolge, appunto, un qualche ruolo, almeno come “bersaglio” costante agli occhi dei Compilatori, la posizione filosofica e politica di Vincenzo Gioberti. A questo pensatore – che i Compilatori apostrofano spesso non senza una punta critica, come “filosofo piemontese”, anche per motivi di rivalità tra Regni, prima e dopo la stagione unitaria – risultano dedicate numerosissime pagine de “La Scienza e la Fede”. Questo si constata nel periodico fin dall’anno 1857, allorquando, di Gioberti, s’interessa la penna del filosofo Giuseppe Prisco (già docente di Benedetto Croce nel Ginnasio-Liceo “La Carità” di Napoli)[7]. È proprio Giuseppe Prisco (poi futuro arcivescovo di Napoli e cardinale) che, in un suo saggio su Anselmo - che egli difendeva contro l’indirizzo, a lui contemporaneo, del razionalismo -, a ravvisare, in Vincenzo Gioberti, perfino qualche nota razionalistica. 3. Le critiche di Giuseppe Prisco al presunto razionalismo di Vincenzo Gioberti. Nel corso dell’anno 1858, “La Scienza e la Fede” dedica diverse centinaia di pagine a quella che sembra vada diventando, agli occhi dei Compilatori, una vera e propria “questione “Gioberti”. Oltre alla firma di Prisco, va registrata, in chiave anti-giobertiana, del resto, anche quella di un altro autore, che condivide la critica a quello che, forse anche in polemica con le riforme del regno sabaudo, viene ora esplicitamente apostrofato anche come “filosofo piemontese”[8]. Nel primo dei suoi due saggi, Giuseppe Prisco, a riprova che la critica che egli muove a Gioberti, particolarmente espressa negli anni dal 1839 in poi, non è gratuita e preconcetta, dichiara di aver spassionatamente letto le opere di Gioberti, ma di averne, purtroppo, ricavate non poche contraddizioni, particolarmente nella peculiare formula della visione ideale, che il piemontese avrebbe inteso correlare, indebitamente secondo Prisco, con la tradizione patristica cristiana e il cattolicesimo: «Certo io non so, se debba dire maggior follia la Visione Ideale, o più quella sognata tradizione scientifica, onde egli crede di convalidarla, e farla intendere cattolicissima. I più rinomati filosofi dell’antichità sì pagana come cristiana, Platone in ispezie, sant’Agostino e san Bonaventura, non una, né dieci, ma cento volte son proclamati da lui il primo anello tradizionale di quella Visione ideale, di cui il Malebranche è il legittimo successore in età moderna»[9]. Davvero una sorta di gran teatro storico-filosofico, sarebbe quello di Gioberti a cui vengono indebitamente da lui ascritti anche i prodromi della filosofia antica, tardo-antica e medievale! E tuttavia, prosegue Prisco, se fin qui «Platone comparisce vestito da ontologo nel gran teatro dell’ontologismo giobertiano»[10], poco oltre Gioberti stesso si contraddice, in quanto fa sedere Platone allo stesso scanno di Cartesio a proposito del significato delle idee innate. Anche in Del primato morale e civile degl’Italiani[11], il medesimo Gioberti, oltre a travisare le dottrine platoniche, si contraddirebbe ad ogni passo, insiste il neotomista, quasi dando a vedere di essersi addormentato: Nel volume, stavolta sotto la sezione Scienze, continua la disamina firmata da Giuseppe Prisco[12]. Egli sostiene che l’ideale del Malebranche, di cui Gioberti sarebbe un epigono, risalirebbe direttamente, per mezzo dei Padri e nei neoplatonici, fino a Platone, che sarebbe, in tal modo il più fiero ontologista del paganesimo! O anche, come si legge: il Gioberti...