Il Medio Oriente, in questo momento, sembra un tavolo da gioco appena rovesciato: i pezzi sono gli stessi, ma nessuno è più nella posizione di prima. La Siria non è più la Siria di Assad, l’Iran ha assorbito colpi che ne hanno riscritto il profilo regionale, Israele agisce come se non avesse più nessuno alle spalle e le monarchie del Golfo si comportano come se l’ombrello americano non fosse più impermeabile. Dentro questo disordine, c’è un attore che non dovrebbe avere margine e che invece si ritrova con più spazio di prima: la Russia. Una potenza logorata dalla guerra, isolata in Occidente, ma ancora capace di entrare nelle conversazioni cruciali. La telefonata fra Netanyahu e Putin lo ha mostrato con una chiarezza quasi imbarazzante: nella trattativa su Gaza e sull’Iran, Mosca è ancora seduta al tavolo. Il secondo segnale è arrivato all’Onu, con l’astensione russa sulla risoluzione americana per la Striscia. E così, mentre il Medio Oriente entra in una fase di pragmatismo brutale - dove contano solo le mosse che funzionano, non le amicizie - la Russia si muove con un istinto che conosce bene: quello del sopravvivere sfruttando le crepe degli altri. Ne discutiamo con Ugo Tramballi, editorialista del Sole 24 Ore e Senior Advisor presso l’Istituto Studi Politica Internazionale, e Marco Di Liddo, Direttore del Centro Studi Internazionali