Dire, urlare, scoperchiare il dolore, la poesia, l'amore, la vita che pulsa tra le costole, dietro le palpebre; non farsi ingannare dai falsi equilibri, dalle maschere, dai segreti di Pulcinella. Capire che non serve salvarsi la faccia se poi non ci si para il culo, almeno da se stessi, dalla tristezza che verrà, perché si è finiti a coincidere pigramente con noi stessi, in una pace di superficie che è gabbia e palude. Darsi, dare, regalare, donare, prendersi tempo, perderne, pure, in felicità inessenziali. Perché dobbiamo morire ed è bene far sì che tutti i grani della clessidra si trasformino in oro, da sabbia che sono; e se pure non ci si riesce, che sia il deserto più luminoso di sempre. Non dare per scontate le persone. I sentimenti. La presenza. Venerare la bellezza piccola, oltreché quella grande, immensa, meravigliosa che ci è concessa ogni giorno. Lottare per rendere meno ingiusti i nostri tempi e magari, persino, quelli che verranno. Seminare e aver cura delle prime radici, perché qualcosa resti, dopo di noi. Serve umiltà in questo, serve farsi bassi come la terra: solo lì cresce qualcosa. Andarsene, quando è il momento. Saper tramontare con grazia. Accettare il dolore e magari farne qualcosa di buono, un fuoco d'amore, opera al bianco d'alchimisti esperti. Imparare, viaggiare, ascoltare, che son quasi sinonimi. Stare bene, o almeno provarci. Far stare bene chi amiamo, e riuscirci. Chiedere aiuto. Offrirne. Non tenere troppo per sé. Amare.