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By Accademia Rebelde
The podcast currently has 13 episodes available.
>con Danilo Ruggieri< Secondo incontro del ciclo "Il futuro ha un cuore antico. A 100 anni dalla fondazione dell'Unione Sovietica".
Il periodo che tratteremo nel secondo appuntamento sul ciclo dedicato alla storia dell’URSS, nel centenario della sua fondazione, è particolarmente importante per i comunisti e tutti coloro che onorano la storia del movimento comunista e dei paesi socialisti per due essenziali ragioni.
>con Massimiliano Piccolo< Primo incontro del ciclo "Il futuro ha un cuore antico. A 100 anni dalla fondazione dell'Unione Sovietica".
La rivoluzione aveva già dimostrato la possibilità dell’inversione storica, l’Ottobre aveva infatti spazzato via un passato feudale e premoderno, ponendo le basi del primo stato socialista della storia e – contemporaneamente – di una teoria della storia e di una pratica rivoluzionaria non ingenuamente storiciste.
Pochi mesi dopo, dalle colonne della Pravda, Lenin sostenne la superiorità del principio democratico di una repubblica fondata sui soviet rispetto al modello liberale.
Scongiurato così il rischio che l’Assemblea Costituente, dopo la vittoria elettorale (soprattutto nelle campagne) dei socialrivoluzionari, potesse revocare i decreti dei soviet, i bolscevichi poterono firmare la pace col trattato di Brest-Litovsk.
Ma il processo rivoluzionario non si esaurisce con la presa del Palazzo d’Inverno così come le forze controrivoluzionarie non erano annichilite d’un tratto: nell’estate del 1918, la cosiddetta ‘Armata bianca’, guidata dagli ex generali di Nicola II con il sostegno di numerose potenze straniere, si adoperò per tentare di riportare il Paese alla monarchia.
Contro il contagio delle idee rivoluzionarie, governi e classi dominanti appoggiarono così apertamente le armate reazionarie.
Sconfitto pure il tentativo di far fallire la rivoluzione attraverso la guerra civile, la nuova costruzione politica, statale e istituzionale può essere avviata con tutte le difficoltà ma anche la ricchezza di un grande sforzo nel comprendere e nel praticare la svolta rappresentata da una fase di transizione così epocale, come aveva colto bene J. Reed nei 10 giorni che fecero tremare il mondo. In questo modo, il marxismo, grazie a Lenin e agli altri dirigenti rivoluzionari, può mostrare a generazioni intere l’importanza di un approccio dialettico e non dogmatico che trova le soluzioni adatte nel confronto con la singolarità di un caso specifico, con l’irruzione di un evento irripetibile per definizione.
Il comunismo di guerra prima e la NEP dopo ne sono una dimostrazione.
> con Massimiliano Piccolo < "A tutto Marx!": un nuovo ciclo di Accademia rebelde dedicato alla formazione politica di base. Apriamo con due incontri su Marx, a partire dai testi più "popolari" (nel duplice senso di "famosi" e scritti per il "popolo" degli operai) di Marx, dal Manifesto agli scritti economici (Lavoro salariato e capitale e Salario, prezzo e profitto ).
In questo primo incontro parleremo del Marx che incrocia politica e storia sotto la lente del "materialismo storico". Marx non era né uno storico né un filosofo della politica. Se per storico intendiamo una ben determinata figura professionale d’intellettuale ricurvo sulle fonti e col distacco algido dello scienziato pretestuosamente neutrale, allora proprio no. Allo stesso modo Marx rappresenta un unicum nel panorama filosofico non perché abbia proposto un progetto politico, quanto piuttosto per il fatto che, nel corso degli anni, interi Stati, entità nazionali e movimenti vari si sono costituiti richiamandosi esplicitamente alle sue teorie
> con Danilo Ruggieri < L’ultimo appuntamento del ciclo di formazione su "Lenin e lo Stato" è dedicato al testo “L’estremismo malattia infantile del comunismo” scritto nell’aprile del 1920 da Lenin in vista dell’importante appuntamento del II Congresso della Terza Internazionale tenutosi a Mosca e Pietrogrado tra il luglio e l’agosto del 1920.
E’ un testo che ha suscitato nella storia del movimento comunista internazionale discussioni e divisioni anche profonde, un testo che sintetizza sia i risultati raggiunti dal bolscevismo nella storia russa sia definisce anche i caratteri principali della necessaria bolscevizzazione dei partiti comunisti europei. E’ uno dei contributi più importanti allo sviluppo della scienza rivoluzionaria nel novecento. Se vogliamo indicare un tema centrale di questo scritto sta nel trattare la scienza politica della strategia e della tattica in un momento storico in cui l’onda della rivoluzione tende a rifluire. Questo scritto precede di pochi mesi l’elaborazione della Nep e il processo di consolidamento interno del potere bolscevico uscito vittorioso dall’assedio controrivoluzionario ma anche stremato dalla guerra con i bianchi sostenuti dal mondo capitalista.
Per Lenin si deve quindi da una parte costruire su solide basi la nuova Internazionale, che si definisce a partire dalle 21 condizioni per l’ammissione al Komintern, noto come processo di bolscevizzazione dei partiti comunisti, dall’altra sul piano interno bisogna lavorare a ricostruire un paese totalmente disfatto dalla guerra. Si deve fare un passo indietro per farne alcuni avanti. Da qui nasce il discorso di Lenin sulla ritirata. In questo testo forse più di altri, si misura il carattere profondo e concreto della capacità leninista di fare bilancio della propria storia e definire con metodo materialista l’analisi concreta della situazione concreta scevra da illusioni e desideri ideologici.
Nonostante il testo presenti, com’è inevitabile, una parte superata dalla storia come la polemica con il comunismo di sinistra tedesco olandese e italiano, in larga parte possiede una forte vitalità teorica e politica, riesce ancora a parlare ai comunisti del XXI secolo e in particolare al movimento comunista occidentale, che in realtà non è mai riuscito a sciogliere alcuni temi trattati nell’estremismo. Dal nodo parlamentarista al rapporto tra fermezza strategica e flessibilità tattica, e in particolare la mancanza di una linea di massa rivoluzionaria che di fatto ha impedito alla soggettività rivoluzionaria nel novecento di fare il proprio Ottobre.
Riportiamo questo passo di Lenin dall’Estremismo perché ci indica il punto di riflessione su cui concentrare il momento formativo in questo prossimo appuntamento: “I partiti rivoluzionari devono portare a termine la loro istruzione. Hanno imparato a condurre l’offensiva. Bisogna adesso capire che questa scienza deve essere integrata da un’altra scienza, da quella che insegna come ritirarsi in buon ordine. Bisogna capire – e la classe rivoluzionaria impara a capire in base alla sua amara esperienza – che non si può vincere senza aver appresa la scienza dell’offensiva e la scienza della ritirata.”
Partiremo da questo spunto per tracciare le linee generali e particolari di questo importante testo della teoria leninista.
>con Angelo D'Arcangeli> Secondo appuntamento del ciclo "Lenin e lo Stato"
> con Antonio Allegra < Primo incontro del ciclo "Lenin e lo Stato"
Stato e rivoluzione, oltre ad essere uno dei maggiori testi del pensiero politico di tutti i tempi (come Il principe di Machiavelli o Il manifesto del partito comunista di Marx ed Engels), rappresenta una tappa importante nella riflessione teorica del marxismo ed è stato un punto di riferimento importante per tutti i movimenti rivoluzionari socialisti dalla rivoluzione d’ottobre in poi.
Nato da una lunga meditazione storica sull’esperienza esaltante quanto tragica della Comune di Parigi, “la prima rivoluzione socialista”, e da un’approfondita riflessione teorica sugli scritti di Marx ed Engels, Stato e rivoluzione coniuga la riflessione teorica sullo Stato, restaurando, completando e sistematizzando il punto di vista marxista fino ad allora ignorato o travisato, con una pratica rivoluzionaria totalmente rinnovata rispetto al passato.
Quando il prodotto collettivo di pensiero e azione, che chiamiamo marxismo, fa dei passi in avanti, esso rende storicamente obsoleto quanto fino ad allora era sembrato vivente nelle affermazioni e nei principi enunciati nella riflessione del movimento operaio. Le teorie e la prassi invecchiano non in funzione della loro età, ma della loro mancanza di aderenza al tempo storico mutato. Mentre gli scritti Marx ed Engels, che Lenin riscoprì e capì, erano ancora vivi a distanza di mezzo secolo, la maggior parte dei teorici e degli avversari contemporanei a Lenin erano già lettera morta.
Per Lenin la teoria doveva essere un faro per la prassi, ma è quest’ultima che dà impulso alla teoria affinché sia all’altezza dei tempi e delle necessità storiche. Stato e rivoluzione è un’opera per la rivoluzione. In questo senso, è un’opera paradigmatica, nel senso che “ha fatto scuola”, così come il Che fare?. Anzi, si potrebbe dire che Stato e rivoluzione sia proprio il Che fare? del dopo rivoluzione, perché questa, essendo un processo, e non solo l’“attimo” dell’insurrezione (né tantomeno un colpo di stato), pone il lungo e per niente immediato compito di distruggere il vecchio e creare il nuovo.
L’abbattimento violento dello Stato in quanto forma di oppressione di classe; la soppressione delle classi; l’autogoverno diretto del popolo; la costituzione di un popolo in armi; la distruzione del corpo separato della burocrazia; la difesa della rivoluzione nella lunga fase della transizione al socialismo; la necessità di formare un popolo tanto istruito da potere permettere anche a una cuoca di poter dirigere lo stato proletario, fino alla sua estinzione definitiva, come diceva Lenin: queste sono, tra le altre, le indicazioni che hanno animato e guidato lotte e i processi rivoluzionari del XX e continuano a farlo nel XXI secolo.
> con Massimiliano Piccolo < Quarto e ultimo incontro del ciclo "Lotta di classe e movimento socialista e comunista in Italia".
Appare subito evidente come le principali conquiste del ’68 che si sono mantenute fino ai giorni nostri e che sono sedimentate nella coscienza collettiva del Paese siano quelle legate a obiettivi che non hanno intaccato gli interessi della borghesia capitalista – i cosiddetti diritti civili – e che anzi hanno permesso alla natura continuamente rivoluzionaria del MPC di estendere i margini del proprio dominio.
Quindi si può – e si deve – essere conservatori in senso relativo, relativamente, cioè, alla difesa di una conquista ma pur sempre all’interno di una generale prospettiva rivoluzionaria.
Ma come si arrivò al Sessantotto?
Il mutamento sociale più notevole e di più vasta portata, nella seconda metà del Novecento, riguardò il declino della classe contadina.
Mentre, un po’ in tutto il mondo capitalista avanzato, le vecchie industrie dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento decaddero e le nuove industrie erano molto diverse. La successiva locuzione post-fordismo (che riprendeva l’articolo di Gramsci sul fordismo) rappresenta bene questa situazione: il grande stabilimento costruito attorno alla catena di montaggio, la regione o la città dominata da una sola industria (come a Detroit o, in Italia, a Torino) con la classe operaia unita e unificata anche dallo stesso luogo di lavoro o dagli stessi quartieri residenziali, stava mutando la propria pelle.
In Italia, invece, gli anni Cinquanta scontavano ancora la storica arretratezza nell’industrializzazione capitalistica, quindi anche nelle forme dell’organizzazione del lavoro ed erano stati, così, caratterizzati da una figura operaia ancora con forti connotazioni ideologiche, con una memoria storica saldamente legata alla Resistenza e ai valori della Ricostruzione, cosciente di una missione politica da compiere per trasformare la società in una direzione democratica e socialista.
Ma il nuovo soggetto operaio che si stava radicando nelle grandi città italiane era giovane e figlio dell’emigrazione, portatore di esigenze concrete diverse da quelle tradizionali – anche nelle forme della protesta – e che divenne maggioritario con l’introduzione massiccia della catena di montaggio.
Un altro grande mutamento riguardò il ruolo sempre più consistente ricoperto dalle donne. Negli anni ’60, dovunque nel mondo si tenessero elezioni, le donne avevano ottenuto il diritto di voto, con l’eccezione di alcuni stati islamici e della Svizzera. Ma, dagli anni ’60 in poi, si assiste a un’impressionante rinascita del femminismo e con una precisa prospettiva di classe in merito ai problemi femminili.
Negli stessi anni, al declino della classe contadina e agli altri mutamenti sopra descritti si accompagnava – e a un livello ancora più generale – l’aumento delle occupazioni che richiedevano un’istruzione a livello medio e superiore. L’alfabetizzazione di base divenne, così, l’aspirazione di tutti i governi.
Un’ultima considerazione va fatta sulla natura e la storia del potere politico, in quegli stessi anni, in Italia. Dal Governo Tambroni a Piazza dello Statuto.
Le prime analisi sul ’68 furono assai povere ed elementari: s’insisteva sui disagi dei ragazzi per il sovraffollamento delle strutture, il permanere dei doppi turni, l’inadeguatezza dei servizi e l’annoso problema dell’edilizia scolastica. Nessuno sembrava cogliere, cioè, il dato strutturale e la sua trasformazione all’interno dell’incapacità – consustanziale al MPC – di assorbire le crisi.
E il PCI, allora, il più grande partito comunista d’occidente?
>con Antonio Allegra< Terzo incontro del ciclo "Lotta di classe e movimento socialista e comunista in Italia". Dopo il Fascismo e la Resistenza, il PCI cambia forma ancora una volta: da partito di quadri (poi nella versione clandestina) al “partito nuovo”, di massa. Diventa così qualcosa di diverso (non proprio di nuovo) da ciò che era all’atto della sua fondazione nel 1921, la cui versione bolscevica durò pochissimo (fino alla messa al bando nel 1926).
Con questa formula organizzativa prova a dare vita a un percorso di “trasformazione rivoluzionaria” (secondo un’espressione ricorrente nei documenti) del Paese attraverso le formule prima della “democrazia progressiva” e poi della “via italiana al socialismo”, la cui sostanza consisteva in una via gradualista e parlamentare, di lotta e di egemonia politica e culturale con le quali portare le “masse popolari” al governo.
Le future “riforme di struttura” per la democratizzazione in senso socialista della politica e dell’economia saranno la declinazione pratica di questa strategia che a buon diritto può chiamarsi “riformista”.
L’ambiguità del riformismo (strumento per il socialismo o stampella del capitalismo nella fase della ricostruzione?) perdurerà per mezzo secolo fino allo scioglimento del partito, equivoco che ha portato alla lunga a privilegiare il mezzo (le riforme) e a perdere di vista il fine (la “trasformazione rivoluzionaria”), non ponendo mai a verifica la strategia e i mezzi con cui attuare la strategia.
Col fallimento della rivoluzione in Occidente, dalle parole del Gramsci dei Quaderni si enucleava una diversa modalità rivoluzionaria per i paesi imperialisti, quella della “guerra di posizione” la cui caratteristica principale, a differenza della “guerra manovrata”, non sarebbe consistita nell’avanguardia delle trincee ma in tutta l’organizzazione di retroguardia che avrebbe sostenuto la linea del fronte.
Da queste metafore militaresche si passò alla declinazione pratica di Togliatti per dare vita alla sua strategia, non più bolscevico-rivoluzionaria (per l’assalto al “palazzo d’inverno”, “guerra manovrata”), ma gradualista con una forte organizzazione di quadri ma soprattutto di massa (guerra di posizione).
Si può discutere a lungo quanto le previsioni di Togliatti fossero nel giusto, ma di certo quella degli anni Cinquanta fu una battaglia di retroguardia, più che una guerra di posizione. Non si trattava di avanzare lentamente ma inesorabilmente verso il potere (cosa che non avvenne mai), ma si trattò della sopravvivenza stessa del partito di massa e di una forza comunista in sé: nel clima del più becero anticomunismo nazionale e internazionale e del più vieto clericalismo anticomunista del Vaticano, il PCI fu osteggiato e ostracizzato, dopo l’iniziale partecipazione al governo nazionale subito dopo la fine della guerra, fino ad arrivare all’attentato a Togliatti, “evocato” e realizzato nel luglio del 1948.
Il PCI, a livello nazionale, riuscì sicuramente a salvarsi e a dare “rappresentanza politica” alle masse proletarie e popolari. In questo senso il PCI del dopoguerra, quello di Togliatti, è stato sicuramente un protagonista di primo piano della storia della Repubblica italiana, e non è errato dire che è stato una forza che ha consolidato la democrazia in questo paese che non ha mai finito di fare i conti con il fascismo. Tutto questo, del resto, era quanto affermato e voluto dalla linea di Togliatti.
Ma non riuscì a dare incisività alle masse popolari, che, più che modificare, subirono le politiche reazionarie della borghesia e della DC-Vaticano. Al massimo riuscì ad arginarle, per quello che gli fu possibile....
Prossimo e ultimo appuntamento del ciclo: venerdì 26 Febbraio 2021, "Il PCI, il '68 e il compromesso storico".
>con Chiara De Marchis<
Proseguiamo il ciclo su “Lotta di classe e movimento socialista e comunista in Italia”, ripercorrendo i principali avvenimenti che dal 1921 al 1945 hanno reso il PCI un protagonista di primo piano del ‘900 e della storia del nostro paese.
Ciò che vogliamo mettere in luce è il lungo processo di costruzione e di lotta del PCI in un contesto storico eccezionale quanto inedito: la Rivoluzione d’ottobre e la costruzione del primo paese socialista, il primo dopoguerra e la “vittoria mutilata”, il Biennio Rosso e gli Arditi del popolo, l’avvento del fascismo e l’azione dei comunisti durante il ventennio fino alla Resistenza partigiana.
Tratteremo anche dei problemi e dei limiti che il PCI ha dovuto superare di volta in volta per essere all’altezza dei compiti che la situazione richiedeva e cercare di procedere nella sua bolscevizzazione: dalla lotta contro l’estremismo alla svolta di Salerno.
Analizzeremo il lungo e contraddittorio rapporto con i socialisti, tra la volontà di non sconfessare la scissione di Livorno e la necessità di unità d’azione per fronteggiare il fascismo.
Vedremo da vicino la sostanza del regime fascista, non solo dal punto di vista della repressione, ma anche per la capacità di organizzazione e inquadramento delle masse popolari italiane attraverso molteplici strutture in diversi campi della vita sociale.
Racconteremo l’eroismo e la capacità dei comunisti italiani nell’aver incessantemente cercato di ricostruire quanto veniva distrutto del partito e del legame di massa, di aver saputo resistere alla repressione, agli arresti, al confino, all’azzeramento dell’organizzazione, ma anche la difficoltà, protrattasi per diverso tempo, di inquadrare realmente la novità del regime che si trovavano a combattere.
La storia del PCI è strettamente intrecciata agli eventi internazionali. Tra questi ne segnaliamo due che ne hanno accompagnato in modo particolare la crescita.
Se l’Internazionale Comunista è stata un ambito decisivo per la formazione ideologica e politica dei compagni (con le scuole di formazione, il supporto dei commissari sovietici sul campo, le lezioni del leninismo, ecc.), la guerra di Spagna è stata una “palestra” fondamentale.
Se il contesto spagnolo ha polarizzato in maniera esatta lo scontro tra fascismo e antifascismo, le brigate volontarie che hanno combattuto in Spagna sono state la “scuola di comunismo” che migliaia di giovani comunisti italiani hanno fatto, riversando poi tutto nella vittoriosa Resistenza partigiana, con i GAP, i SAP, le Brigate Garibaldi e con la formazione del Comitato di Liberazione Nazionale.
Il CLN realizza effettivamente l’unità d’azione di tutte le forze antifasciste che la situazione richiedeva e che sarebbe stata impossibile senza la lunga lotta che il PCI ha fatto per arrivare a costruirla.
Tratteremo quindi di una storia che è ricca di esperienze ed insegnamenti preziosi per i comunisti di oggi, e che proprio per questo non vogliamo ridurre a celebrazioni nostalgiche.
Prossimo incontro 12 Febbraio h. 18.00 //Dalla Costituente alla morte di Togliatti//
Puoi ritrovare i video dei precedenti appuntamenti sul canale YouTube dell’Accademia Rebelde, su Instagram e sulla pagina fb della Rete dei Comunisti di Roma
>con Danilo Ruggieri<
Accademia Rebelde presenta il primo dei quattro appuntamenti del ciclo “Lotta di classe e movimento socialista e comunista in Italia. A cento anni dalla nascita del PCI”, trasmesso sui nostri canali social il 22 gennaio 2020.
//Dalle società segrete alla nascita del PCd'I//
Iniziamo questo ciclo sulla lotta di classe e il partito comunista in Italia, partendo da lontano.
In questo primo appuntamento racconteremo la strada anche faticosa della nascita del socialismo, partendo dalle prime esperienze spurie del socialismo risorgimentale premarxista, tra mazzianesimo e anarchismo bakunista, terreno di incubazione delle prime forme primitive di organizzazione e propaganda socialista.
Ci concentreremo sulla storia, le caratteristiche del socialismo italiano, la natura del capitalismo italiano in formazione, i protagonisti di questo processo. La scissione di Livorno nel 1921 e la fondazione del Pcd’I, pur avendo come base fondamentale la svolta rivoluzionaria del ‘17, si alimentano anche di una lotta interna alle varie anime del Psi stesso, di uno scontro di classe e un protagonismo delle masse operaie e contadine che stimolano, alimentano la lotta tra riformismo e sinistra socialista.
Oltre al 1917 c’è anche il biennio rosso (1919-1920) che vede per la prima volta la classe operaia nel nord industriale mobilitarsi con una forza e una coscienza politica mai vista prima. Giungeremo ai fatti di Livorno come fatto non casuale, occasione non fortuita, o frutto di scelte avventuriere e personalistiche di alcuni gruppi , ma come passaggio storico epocale, maturato nell’epoca imperialista e accelerato dai nuovi problemi imposti dalla prima guerra mondiale.
La storia che va dal 1892 al 1921 ci dà, anche l’occasione di toccare alcune tendenze, anche limiti, che torneranno nella storia politica del movimento operaio nazionale e che saranno tema delle puntate successive sulla storia del PCI.
Prossimi incontri:
>29 gennaio - La lotta contro il fascismo e la Resistenza
>12 febbraio - Dalla Costituente alla morte di Togliatti
>26 febbraio - Il Pci, il ’68 e il compromesso storico
I nostri canali social:
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Accademia Rebelde
Formazione politica, conoscenza storica, controffensiva culturale. Un filo rosso tra passato e presente, verso il nuovo assalto al cielo!
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