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By Angelo Zinna & Eleonora Sacco
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The podcast currently has 24 episodes available.
Nel settembre 2013, il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato la sua visione strategica per la Nuova Via della Seta, meglio conosciuta come "Belt & Road Initiative" (BRI) durante un discorso all'Università Nazarbayev nella capitale kazaka che allora si chiamava ancora Astana.
Questa iniziativa prevede il completamento di più di 100 progetti di infrastrutture su piccola e larga scala - strade, ferrovie, oleodotti, parchi industriali e zone economiche speciali - che puntano a migliorare i collegamenti tra Cina con Europa occidentale principalmente attraverso l'Asia centrale. I cinque stati dell'Asia centrale - Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan - sono un importante centro geografico del progetto. Oggi andiamo a vedere come l'Est diventa Ovest.
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Molti russi che vivono in Lettonia ed Estonia, sulla carta non sono russi. Anzi: alcuni di loro, sulla carta, non sono proprio niente. Quando Estonia e Lettonia dichiararono l’indipendenza nel ‘91, i governi dei due Paesi cercarono di ripristinare la composizione etnica pre-sovietica. I governi dei due Paesi diedero automaticamente la cittadinanza estone e lettone solo a chi viveva già nei loro territori e ai loro discendenti da prima del 1940. La cosa, dal loro punto di vista, ha senso: quella sovietica era un’occupazione illegale, quindi tutte le persone trasferitesi durante quel periodo l’avevano fatto illegalmente. Ma cosa significa essere apolidi in Europa nel 2021?
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Oggi cavalchiamo, in un certo senso, l’onda del dibattito legato alla rimozione di statue dalle piazze pubbliche che è emerso nell'ultimo anno in Europa e Stati Uniti, per ripensare ai processi di decomunizzazione e desovietizzazione che hanno portato alla rimozione di simboli del passato in molti paesi dell’ex Unione Sovietica. Questi processi hanno preso forme diverse da paese a paese. Noi oggi ci focalizzeremo un paese in particolare - l’Ucraina - dove, negli ultimi dieci anni, sono state introdotte una serie di leggi legate proprio all'utilizzo di simboli sovietici negli spazi pubblici.
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L’estate è finalmente arrivata e sia per chi sogna di fuggire dall’afa che per chi vorrebbe lasciarsi alle spalle la città abbiamo una soluzione: la yurta! Utilizzata per millenni dai nomadi kirghisi e mongoli, la yurta è tornata di moda, se così si può dire, da qualche anno, cominciando ad apparire in campeggi di tutto il mondo.
Oltre al loro utilizzo pratico e alla loro estetica, però le yurte hanno anche un grande valore simbolico per le comunità che tradizionalmente vivono al loro interno. Oggi cercheremo di parlare proprio di questo - delle origini della yurta, del loro valore culturale tra i popoli nomadi e dell’uso che si è fatto in anni recenti di questo simbolo.
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Torniamo in Asia Centrale per andare in Tagikistan, il paese più selvaggio di questo angolo di mondo che nel corso degli anni ‘90 ha forse avuto più difficoltà a emergere come stato indipendente post-sovietico. Raccontiamo una storia di un personaggio che collega la Costa Smeralda con l'altopiano del Pamir: Karim al Husayn, il quarantanovesimo Aga Khan secondo gli ismailiti nizariti.
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Oggi torniamo a parlare di architettura, questa volta però andando a vedere la relazione tra la forma di una città, la politica e la vita delle persone. Chi ci segue da più tempo ricorderà una delle prime puntate di Cemento in cui si parlava di brutalismo e modernismo sovietico, gli stili architettonici fatti di forme semplici e lineari, poche decorazioni, e massima funzionalità che ha caratterizzato buona parte del secolo scorso.
Ecco, oggi piuttosto che parlare di estetica andiamo a vedere cosa succede quando le idee di quell’epoca vengono messe in pratica. Prendiamo un caso studio unico nel suo genere: Bishkek, la capitale del Kirghizistan, una delle poche città ad essere stata costruita quasi da zero in epoca sovietica.
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"Pankisi è luoghi turbolenti. Pankisi è particolarmente famosa tra chi cerca armi speciali: fucili da cecchino, tutto ciò che spara con silenziatore, dispositivi per visione notturna…"
Scriveva così sulla Novaya Gazeta la giornalista russa Anna Politkovskaja. Era il 14 ottobre 2002. La valle di Pankisi dista poco più di 150km da Tbilisi e una trentina dalla Cecenia. Nel 2001, finisce sui giornali di tutto il mondo. La Georgia viene pubblicamente accusata dalla Russia di favoreggiamento del terrorismo internazionale perché quella valle, abitata oggi da circa 6.000 anime, sembra sia diventata il quartier generale dei più ricercati terroristi ceceni e caucasici. La puntata di oggi racconta un pezzetto del grande caos di guerre, conflitti, proteste e rivolte che hanno insanguinato il Caucaso negli anni ‘90 e primi anni 2000.
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Il decennio della dissoluzione dell’URSS ha incluso due colpi di stato falliti nel 1991 e nel 1993, un passaggio per niente semplice all'economia di mercato e la privatizzazione di massa di industrie e infrastrutture. L’impatto di questi cambiamenti è stato immenso. Sotto il governo Yeltsin, il primo presidente della Federazione russa, l'aspettativa di vita in Russia è scesa, con circa cinque milioni di morti in eccesso tra il 1991 e il 2001 rispetto al decennio precedente, diminuzione delle nascite, la svalutazione della moneta, un aumento del traffico di esseri umani (e di donne in particolare). In più, c’è stato l’emergere di una classe di oligarchi che ha aumentato drasticamente la differenza tra ricchi e poveri.
È in questa epoca di incertezza che in Russia è avvenuto un ritorno di massa alla religione. Settant'anni di repressione religiosa sembravano aver avuto poco potere nel cancellare la fede come avrebbe voluto Marx.
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Bentornati a Cemento! Con questa puntata siamo arrivati alla fine di questa seconda stagione. Speriamo di essere riusciti a tenervi compagnia durante questa estate diversa dal solito e concludiamo oggi parlando di grandi esplorazioni, esploratrici ed esploratori - un po’ per sognare tutti quei luoghi remoti che non abbiamo avuto la possibilità di visitare in questi mesi incerti, un po’ per dedicare uno spazio alla nostra passione per la montagna, un po’ perché il mondo come lo conosciamo esiste anche grazie ai viaggi delle persone di cui vi parleremo.
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Negli ultimi anni il vino georgiano sta venendo riscoperto nel mondo occidentale e la domanda di bottiglie dalla Georgia è esplosa. Nel 2006 c'erano circa 80 cantine registrate in Georgia, mentre nel 2018 il numero era salito a 961, e continuano a spuntarne altre. I georgiani si stanno formando come sommelier professionisti, enologi e guide turistiche di cantine, e ci sono sempre più corsi e degustazioni disponibili per i consumatori locali e stranieri.
I motivi dietro a questo successo sono diversi. La Georgia vanta almeno 500 vitigni autoctoni, ma fino a poco tempo fa la produzione commerciale si concentrava solo su pochi vini selezionati. Da pochi anni si sta provando a far resuscitare questo patrimonio unico e variegato e all’estero la curiosità per questi vini esotici è cresciuta di conseguenza. Molti produttori stanno piantando varietà antiche che erano quasi dimenticate.
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