Lo sguardo che guarisce
Il Vangelo di oggi ci mette davanti a una delle immagini più forti e concrete che Gesù abbia usato. Un cieco che pretende di guidare un altro cieco. Due uomini che non vedono e che si trascinano insieme, fino a cadere in un fosso. È un’immagine semplice, ma spiazzante.
Gesù conosce bene la vita. Sa che tutti noi, ogni giorno, cerchiamo guide. Abbiamo bisogno di punti di riferimento, di persone da seguire. Ma ci mette in guardia: non basta avere qualcuno che cammina davanti, è necessario che veda, che sappia la strada.
Il termine greco usato per “cieco” non solo indica chi non vede, ma anche chi è ottuso, chi ha la mente e il cuore coperti da una nebbia. Non è soltanto un problema degli occhi, ma del cuore. Quante volte siamo ciechi dentro, incapaci di riconoscere la verità su di noi e sugli altri.
E qui arriva il primo paradosso: tanto più io sono nell’errore, tanto più mi sembra di vedere bene l’errore degli altri. È strano, ma succede. Chi ha una trave nell’occhio vede benissimo la pagliuzza nel fratello.
Chi sbaglia grossolanamente diventa acuto giudice degli errori piccoli altrui. È un meccanismo che conosciamo bene: più siamo fragili, più ci difendiamo puntando il dito sugli altri. Gesù lo smaschera.
Ci dice: fermati. Guardati dentro. Non è ipocrita solo chi finge davanti agli altri, ma chi non riconosce la propria cecità. L’ipocrisia nasce quando mettiamo la maschera del giudice per non mostrare la nostra debolezza.
E allora la domanda è diretta: chi stai seguendo? Chi ti guida? Sei sicuro che veda? E ancora: quanto sei onesto con te stesso, nel guardare i tuoi limiti?
Il testo continua con un’altra immagine: la pagliuzza e la trave. Gesù è volutamente esagerato. Una trave è enorme, pesante, ingombrante. Una pagliuzza è minuscola, quasi invisibile. Il contrasto è voluto, perché Gesù gioca con l’ironia.
Vuole farci sorridere, ma anche farci vergognare. È ridicolo pretendere di togliere la pagliuzza dall’occhio di un altro quando abbiamo una trave che ci impedisce perfino di avvicinarci.
Il termine greco usato per “trave” indica la grossa trave che sostiene un tetto. Gesù non parla di un ramo, ma di qualcosa che regge l’intera casa. È il simbolo delle nostre abitudini radicate, dei peccati che ci sostengono senza che ce ne accorgiamo. Sono strutture interiori che deformano lo sguardo.
Ed ecco un’altra verità: chi sa essere esigente con se stesso, sa essere misericordioso con gli altri. Perché ha imparato a vedere la propria trave, a farci i conti, a lottare contro le proprie fragilità. Solo così si diventa capaci di tenerezza.
Invece chi non affronta la propria trave si sfoga sugli altri. Siamo esperti nel diagnosticare i difetti del vicino, ma ciechi di fronte ai nostri. È un paradosso della vita spirituale.
Questo Vangelo allora ci chiede un passo concreto: smetti di fissarti sulla pagliuzza dell’altro. Non significa diventare indifferenti, ma imparare a guardare prima dentro di te. Gesù non ci dice che dobbiamo ignorare i problemi degli altri, ma che il punto di partenza è sempre il cuore.
Se impariamo a togliere la trave, allora “ci vedremo bene”. È bellissimo questo passaggio. Non è un divieto, ma un invito.
Quando avremo gli occhi purificati, potremo aiutare davvero i fratelli. Potremo vedere con chiarezza e agire con amore.
C’è qui un cammino educativo. Gesù lo dice: “Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”.
Il verbo greco per “ben preparato” significa anche “ricostruito”, “rimesso a posto”. È lo stesso termine che si usa per rammendare una rete strappata. Gesù ci sta dicendo che la vera formazione è una ricostruzione interiore.
Non basta sapere, bisogna lasciarsi guarire, rimettere insieme. Ed è qui che nasce la differenza tra il vero discepolo e il cieco che guida un altro cieco. Il vero discepolo si lascia ricostruire da Cristo. Diventa simile al suo Maestro, non perché lo supera, ma perché si lascia plasmare.
E allora ecco la concretezza: quando parliamo degli altri, chiediamoci prima: sto parlando con un occhio libero o con un occhio accecato da una trave? Quando giudico, è per aiutare o per difendermi?
Il Vangelo ci conduce a un invito pratico: scegli di lavorare su di te. Non puntare il dito, ma guarda dentro. Non fermarti alla pagliuzza, ma affronta la trave.
Questo è il segreto della misericordia. Perché la misericordia non è superficialità, non è chiudere gli occhi. È vedere fino in fondo, ma con uno sguardo guarito.
Solo chi è passato attraverso la lotta con la propria trave sa con quanta delicatezza togliere la pagliuzza dal fratello.
E allora, in questo brano, Gesù ci invita a un cambio radicale. Non iniziare dagli altri, ma da te stesso. Non cercare guide cieche, ma guarda al Maestro che vede.
Non lasciarti ingannare dall’illusione di vedere tutto, quando sei tu il primo a essere cieco.
In fondo il messaggio è semplice: diventa discepolo vero, lasciati guarire, e sarai capace di guidare. Guarda prima la tua trave, e imparerai la misericordia. E così, da ciechi, potremo finalmente aprire gli occhi.