La nuova vi(s)ta di Damiano è luminosa, a volte anche troppo, tanto che spesso si trova a chiudere gli occhi per tornare a “vedere come prima”. La vista, come la vita, è però anche un grande dono: la sintesi tra lo sguardo interiore e quello fisico di oggi è il grande traguardo del percorso di Damiano, che diventa, metaforicamente, la storia di ognuno di noi.

Sullo schermo noi vediamo delle immagini. Ma “schermare” significa anche coprire, velare e impedire la vista. Il mondo di Damiano è stato, fino ad oggi, un mondo schermato, ma senza schermi. Oggi, invece, quagli schermi che ha solo intuito tramite gli assistenti vocali, diventano visibili. E se solo l’invisibile fosse visibile agli occhi come diceva il Piccolo Principe?

Lo scrittore Gabriele D’Annunzio ha scritto la sua opera più autentica e sincera mentre era a letto, privo della vista per un incidente di guerra: si intitola Notturno. A partire da questo spunto, Damiano racconta, con il suo consueto cinismo, il suo rapporto con la creatività e come questo sia cambiato con la riacquisizione della vista.

La madre di Damiano ha la sua stessa patologia degenerativa. Come sarà il loro rapporto ora che lui ha riacquistato la vista? Ma soprattutto come sarà rivedere tutti e due i genitori invecchiati? Il fratello, la sorella che erano ragazzini e ora sono un uomo e una donna. I nipoti, conosciuti, amati, vissuti senza averli mai visti. La nuova fotografia di famiglia avrà certamente nuovi e più nitidi contorni emotivi.

Per lo psicoanalista francese Jacques Lacan, siamo inevitabilmente scissi in due, segnati da una sorta di narcisismo primario. Da un lato c’è “chi siamo”, dall’altro c’è “come ci vediamo”, la nostra rappresentazione immaginaria. Come si è visto, Damiano, in questi anni in cui non ha potuto usare gli occhi? E come cambia la sua percezione di sé ora che si vede? E se le due immagini non collimassero?

La vita di Damiano è stata una grande sinestesia. Ha imparato ad ascoltare con la pelle, a toccare con l’udito, ma soprattutto a vedere con le mani. Osservandole, il protagonista riflette sui momenti in cui gli altri sensi gli hanno permesso di “vedere” anche senza usare gli occhi e di come la vista riacquisita torni ad occupare il trono dell’esperienza del mondo, con la consapevolezza di non essere sola.

Stadio Olimpico, 28 Maggio 2017: Francesco Totti gioca la sua ultima partita, a quarant’anni compiuti. Va in scena un rito collettivo di riconoscimento e disperazione popolare, le cui immagini fanno il giro del mondo. Damiano, romanista da sempre, non ha visto, ma solo immaginato quella scena. Oltre al suo rapporto con il calcio, sfilano nel suo racconto tutte quelle situazioni che, come si è soliti dire, hanno segnato “l’immaginario collettivo”, e che fino a questo momento hanno preso corpo solo nella sua immaginazione.

Ispirato ad una storia vera, il podcast racconterà la storia di Damiano, un uomo di quarantacinque anni che a venti ha perso la vista a causa di una rara malattia. Grazie a una nuova cura, Damiano ha ripreso a vedere e in “Con i miei occhi” ci racconta la sua vita: quella nuova, quella immaginata, quella ricordata.

Dopo vent’anni di buio, Damiano ha riacquisito la vista.
Per la prima volta, al risveglio, dopo il buio della notte, può osservare il suo volto davanti allo specchio, che ora è quello di un quarantenne. I segni che vede sul viso sembrano rimandare a storie di vita vissuta, linee che come pietre miliari ricordano quanta strada è stata fatta, souvenir di luoghi dell’anima visitati da portare in dono a chi è rimasto a casa.

Il teaser di "Con i miei occhi", la prima serie narrativa in formato podcast firmata Salmoiraghi & Viganò.