Valerio Carando descrive il film come una "notte dei morti viventi" narrata da un grande umanista, capace di creare ponti tra il passato e il presente del cinema. L'opera dialoga con classici come La grande illusione di Jean Renoir e anche con lo stesso film di Ferraro, I morti rimangono con la bocca aperta, evocando atmosfere ricche di spunti di riflessione. Nonostante l'apparente nichilismo che permea le sue immagini, Desert Suite apre a vie di fuga luminose e significative, come mostrato nel suo finale, dove la "resurrezione dei corpi" segna un movimento di speranza e rinascita. Questo sguardo umano e rigenerativo è una costante del cinema di Fabrizio Ferraro, richiamata anche in film come Wanted, che, pur imprigionato in atmosfere chiuse e oscure, lascia sempre intravedere una possibilità di evasione e rinnovamento, in linea con lo splendido epilogo di Un condannato a morte è fuggito di Robert Bresson. Attraverso riferimenti cinefili, Desert Suite si configura come un'opera che supera la catatonia generale della modernità per aprire nuove prospettive di senso e libertà.